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mercoledì 16 maggio 2012

Intruders (2012)

Clive Owen: John Farrow
Carice Van Houten: Susanna
Ella Purnell: Mia
Kerry Fox: Dott. Rachel
Daniel Bruhl: Padre Antonio

Regia: Juan Carlos Fresnadillo
Sceneggiatura: Nicolas Casairego, Jaime Marques
Fotografia: Enrique Chediak
Musiche: Roque Banos




Corrono apparentemente parallele le storie di Juan e di Mia. Juan vive a Madrid con la madre, così stremata dagli incubi del figlio da rivolgersi a Padre Antonio; Mia, invece, vive a Londra ed è fin troppo legata al padre John, che comincia a condividere le orrori fiche visioni della figlia. A tormentarli è un’oscura presenza cui i bambini danno il nome di “Senzafaccia”. Dietro l’inglesizzazione di un nome si cela la chiave di questo incubo che permetterà ad entrambi di salvarsi.

Vicino alle suggestioni visive del regista messicano Guillermo del Toro, Fresnadillo prende come punto di partenza un classico horror onirico/infantile, trovando, però, come punto d’approdo uno psico-dramma familiare dalle sfumature ben più complicate. Quelle che sembrano due storie contemporanea si allontanano sempre di più nello spazio come nel tempo e, in un tacito gioco di richiami, flashback ed intuizioni sapientemente lasciate alla mercé dello spettatore, si rincontrano per una strada secondaria. Le traumatiche  ferite lasciate nella mente e nel cuore di un piccolo uomo diventano un tormento d’eredità familiare che, finalmente, alimenta un cinema diverso anche se non impeccabile. Perché se la tensione non è di quelle che ti mozzano il fiato e la pellicole in alcuni punti si arena (su tutte, la sequenza finale è quella che più lascia a desiderare), va comunque premiata la creatività dell’entourage spagnolo.

A proposito di nazionalità, Fresnadillo ha a disposizione un cast europeo di altissima qualità. Su tutti l’inglese naturalizzato hollywoodiano Clive Owen, che vedremo tra poco meno di un mese nelle sale italiane interprete dell’action “Killer Elite”. Al suo fianco l’attrice olandese Carice Van Houten, lanciata al successo internazionale da “Black Book” di Paul Verhoeven, lo spagonolo Daniel Bruhl, che dal Piccolo al Grande Schermo si è guadagnato la fiducia, ripagata s’intende, di un certo Quentin Tarantino che lo scelse per il suo “Bastardi senza gloria”, e l’inglese Ella Purnell, alla sua seconda apparizione dopo “Non lasciarmi”, che la vide affiancare attori del calibro di Keira Knightley e Andrew Garfield.

Già sottoposto al doppiaggio italiano, “Intruders” aspetta solo la distribuzione alle sale cinematografiche, per cui si spera non ci sia da attendere troppo.

VOTO 6/10
Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano

Il Punto del Weekend


Fine settimana ricchissimo in quantità, con ben undici pellicole di nuova uscita, tra le quali le attesissime “Chronicle” e “Dark Shadows” e ben sei film di produzione italiana. Andiamo a conoscere insieme i protagonisti del weekend appena trascorso.

I PROTAGONISTI
È  “Chronicle” a fare da succoso anticipo infrasettimanale del mercoledì. Protagonisti della vicenda sono tre giovani studenti, Andrew, Steve e Matt, che durante un rave rinvengono in un cunicolo uno strano oggetto che conferisce loro incredibile poteri. Ma, prendendo in prestito la famosissima battuta Marvel, “da grandi poteri derivano grandi responsabilità”, e Andrew, introverso, distrutto dalla malattia terminale della madre e in pessimi rapporti col padre, dovrà fare i conti con la mancanza di questa responsabilità.  Se ci si fermasse ai primi venti minuti di visione, “Chronicle” sarebbe semplicemente l’ennesimo sci-fi commerciale girato in presa diretta, dal finale scontato e dallo scarso respiro narrativo. È arrivando fino ai titoli di coda che il primo lungometraggio di Josh Trank dimostra la sua vera essenza: il mockumentary diventa found footage, la penna di Max Landis scorre fluida tra storia e caratterizzazioni e la prova di Dane De Haan è di altissimo livello.
Dagli States arriva la pellicola sicuramente più discussa del fine settimana, l’ultima fatica dell’instancabile due Burton-Deep “Dark Shadows”. Nella Collinsport del XII secolo Barnabas Collins, ricco signore inglese emigrato dall’Inghilterra, si innamora di Josette spezzando il cuore della domestica Jaqueline Bouchard, insospettabile strega che trasforma l’amato in un vampiro e lo seppellisce in una cassa. Nel 1972, Barnabas ritorna tra i vivi, in una Collinsport ormai in malora, abitata dai suoi lontani discendenti. Usufruendo della sceneggiatura di Seth Graham-Smith ed ispirandosi alla serie televisiva di Dan Curtis, il duo compie un altro piccolo miracolo, almeno dal punto di vista mediatico. Perché se tutti seguono la moda del vampiro,  Burton e Deep gli danno quella veste baroccamente tetra e stravagante che è la chiave del loro universo cinematografico . Per gli amanti del loro cinema di sicuro si tratta dell’ennesimo capolavoro, per chi non ne idolatra le gesta, “Dark Shadows” sa un po’ di stantio.
Dalla Francia arrivano tre pellicole. In “Special Forces” la giornalista francese inviata in Afganistan Elsa Casanova si compromette agli occhi di Ahmed Zaief, leader di un gruppo di soldati talebani. Rapita insieme ad un collaboratore autoctono, il governo francese invia in suo aiuto una squadra di recupero che perde contatto con la base. Senza contare il documentario di genere “L’ecole des berets verts”, “Special Forces” è l’opera prima di Stephane Rybojad nonché una delle poche produzioni francesi dedicata alla war action. Di sicuro Rybojad padroneggia bene l’argomento, come dimostrano il buon spiegamento dei personaggi, il superamento della “marinesizzazione” dei soldati, il discernimento circa tattiche militari e realtà socio-culturali. Se a mancare è la qualità meramente estetica della parte action ( in cui restano imbattuti i cineasti d’oltreoceano!) poco importa. Di ben altro respiro è “Sister”. Simon e Luoise sono fratello e sorella, vivono insieme ai margini di un impianto sciistico di lusso. Abbandonati dai genitori, di cui non hanno notizia, i due si mantengono grazie ai furti di Simon e alle attenzioni della maggiore Louise. Al suo secondo lungometraggio, Ursula Meier sfrutta, dopo “Home”, ancora una storia di confine, intessuta questa volta alla fragilità familiare dei due giovani: laddove ci dovrebbe essere paradosso e incredulità, Meier riesce a rendere veridicità e forza narrativa, anche grazie alla prova della coppia protagonista Seydoux- Klein. Infine, “Tutti i nostri desideri”. Claire è un magistrato del Tribunale di Lione, moglie, madre, e malata di tumore celebrale. Tacendo la malattia alla famiglia, decide di gettarsi a capofitto nel caso di Celine, una giovane madre coinvolta nei raggiri di un istituto di credito che l’ha ridotta sul lastrico. Al suo terzo lungometraggio, Philippe Lloret continua ad alimentare il suo gusto per il quotidiano, per le piccole grandi tragedie personali. È il caso della giovane Claire, ormai con i giorni contati; è il caso di Celine, ridotta a sopravvivere insieme al figlio; è il caso del profondo legame che si crea tra le due donne, non amicizia mielosa e miracolosa ma stima e rispetto reciproci.
Dedichiamoci ora alle numerose produzioni italiane del finesettimana. In “100 metri dal Paradiso” il giovane Tommaso Guarrazzi, promessa italiana dell’atletica, decide di abbandonare la carriera sportiva per intraprendere la strada ecclesiastica. Il padre Mario, ex campione di atletica col rimorso delle Olimpiadi, rivela il suo dispiacere all’amico e monsignore Angelo Paolini che ha un’epifania: formare una squadra di atleti-preti, da far gareggiare alle Olimpiadi sotto la bandiera vaticana. In “Workers- Pronti a tutto”, Sandro e Filippo sono i gestori di un’agenzia di lavoro che tratta con i più disparati e disperati disoccupati. Tra questi, Giacomo, badante di un paraplegico tossicodipendente, Italo, che lavora in un allevamento di tori occupandosi della raccolta dello sperma, e Alice, truccatrice costretta a lavorare presso un’agenzia di onoranze funebri. Alla stregua del vampiro d’oltreoceano, la crisi dello stivale ha suggestionato, sta suggestionando e (considerata la situazione in cui vessiamo) ancora suggestionerà il Grande Schermo tricolore. Questa è la volta di “Workers”, commedia dell’amaro e dell’assurdo articolata nel più classico trittico ad episodi. Sarà per la moda dei tempi o per la poca verve di Vignolo e Co. ma “Workers” offre una semplice accozzaglia di storie e nulla più. Al “Cinema della Crisi” appartiene anche “Disoccupato in affitto”. Dopo aver perso il proprio impiego, Pietro Mereu, indossato un cartello con su scritto “disoccupato in affitto”, parte dalla natia Sardegna alla volta di otto centri della penisola, più che per cercare lavoro, per denunciare questa maledetta crisi che ormai ci imbriglia da due anni (le riprese risalgono all’estate del 2010!). Seguito dalle telecamere di Luca Merloni, il viaggio diventa un documentario sulla realtà economica della penisola, sullo stato d’animo dei suoi cittadini. Al di la del basso tasso tecnico e del limitato budget, si tratta di una buona rivisitazione del soggetto.
Protagonista di “Isole” è Ivan, un muratore di Tirana che ogni mattina raggiunge le Tremiti per lavorare. L’ennesimo giorno senza paga fa scattare il muratore che in cambio riceve solo la violenza di tre abitanti dell’isola; viene, però, avvicinato da Martina che lo invita nella casa canonica in cui vive insieme al suo tutore, Don Enzo. Senza nulla a pretendere, Stefano Chiantini realizza uno spaccato di vita più vicino alla messinscena teatrale che alla cinepresa. Non ci si cala nel melodrammatico o nella critica socio-economica, ed è proprio questa fumosità quasi isolana a dare valore al girato.
In ultimo, l’altro documentario di giornata “Napoli 24”. Sotto l’ala protettiva di Paolo Sorrentino, ventiquattro registi, per lo più alla prima esperienza o di recente approdo all’universo cinematografico, si dividono tre minuti per raccontare la città. Il clima è di quelli da polpettone nostalgico che parte da un interessante progetto creativo ma che si perde in una confusione generale che determina la poca riuscita del progetto.  

LE SORPRESE
Si sa poco del piccolo Kacey Mottet Klein se non che “Sister” è il primo lungometraggio che lo vede partecipe, nonché protagonista, è che la sua è un ottima interpretazione, ben coadiuvata dalla vicinanza di Lea Seydoux e dalla direzione di Ursula Meier, brava nel gestire un talento così giovane e precoce.

I FLOP E I TOP
Le dolenti note del weekend:
3°.    Il minor rimprovero va a Johnny Deep. Pare che la realizzazione di “Dark Shadows” sia stato un suo personalissimo capriccio, lui che della serie di Dan Curtis era un grande fan, accontentato dalla sua controparte registica Tim Burton.
2°.    Secondo sul podio è Raffaele Verzillo. Il regista italiano ritorna al Grande Schermo dopo sei anni, cercando di mescere nel migliore dei modi l’impresa sportiva alla comicità tricolore, e lo fa utilizzando l’artificio pontificio che caratterizza quasi la totalità dell’impianto comico della pellicola, che, per questo, risulta asettica e di limitatissimo respiro.
1°.    Primo tra i cattivi, Lorenzo Vignolo. Il suo “Workers- Pronti a tutto” non è altro che l’ennesima rivisitazione scontata e stucchevole della moda cinematografica italiana del momento. Che il soggetto sia quello appropriato o meno, ciò che è sbagliato è continuare a riproporne la stessa declinazione.
Infine, i migliori della classe:
3°.    Medaglia di bronzo per Lea Seydoux. La giovane attrice e modella francese continua ad alzare il tiro passando dalle passerelle agli spot pubblicitari, dalle piccole parti alle interpretazioni da protagonista, fino all’ultimo “Sister”.
2°.    Al secondo gradino troviamo Philippe Lioret. Il cineasta parigino ritrova la collaborazione con Vincent Lindon, cui aggiunge l’ottimo sodalizio con le attrici Amandine Dewasmes e Marie Gillian, facendo, ancora una volta, del problematico mondo occidentale il soggetto delle proprie telecamere.
1°.    Oro a  Dane de Haan. Nei panni del potente Andrew, de Haan, dopo la gavetta teatrale e il successo televisivo (“True Blood” e “Law&Order”), approda al Grande Schermo proprio con “Chronicle”. Buona la prima, speriamo che rispetti le aspettative.

BOX OFFICE
Preannunciato successo ai botteghini del duo Burton-Deep: il loro “Dark Shadows” incassa 2 milioni nel primo finesettimana. Restano sul podio i Vendicatori, ormai arrivati ai 16 milioni, e l’ironica commedia americana “American Pie- Ancora insieme”. Tra le nuove uscite “Chronicle”, “Special Forces” e “100 metri dal Paradiso” entrano in top ten, anche se le cifre non sono di quelle interessanti.

Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano

13- Se perdi muori (2011)

Sam Riley: Vincent Ferro
Ray Winstone: Ronald Bagges
Curtis Jackson: Jimmy
Mickey Rourke: Patrick Jefferson
Jason Statham: Jasper Bagges
Michael Shannon: Henry
Alexander Skarsgard: Jack

Regia: Gèla Babluani
Sceneggiatura: Gèla Babluani
Soggetto: Gèla Babluani
Montaggio: Gèla Babluani
Musiche: Alexander Van Bubenheim

Vincent Ferro ha un padre in fin di vita ed una famiglia in ristrettezze economiche che tenta di aiutare come può. Facendo dei lavoretti domestici in casa di William Harrison, scopre che l’uomo sta per ingegnarsi in un affare che gli farebbe intascare moltissimi soldi in una sola notte. L’ennesima operazione del padre coincide con la morte di Harrison, tossicodipendente, cui Vincent ruba la lettera con le istruzioni del losco affare. Il gioco in cui si ritroverà invischiato varrà veramente la candela?

I primi minuti del girato fanno pensare al classico action “serioso”, tutto droga, affari e sparatorie di vendetta. Ma la pellicola trasfigura, diventando una storia al limite del possibile e, per questo, interessantissima e avvincente, grazie anche all’ottimo lavoro svolto da Gèla Babluani, regista, sceneggiatore e scrittore della pellicola. La tensione che anima il nucleo del girato (di cui non sveliamo nulla proprio perché così sorprendente!) incolla lo spettatore e si incastra perfettamente alla seconda, altrettanto coinvolgente e ricca. Se poi ci aggiungiamo il “finale che non ti aspetti”, si tratta veramente di un’ottima pellicola. Non stupisce, anche se fa pensare, che Gèla Babluani sia il regista di “13 Tzameti”, versione francese del 2005 della storia di Vincent Ferro. Il regista malese, naturalizzato francese, appunto, durante gli anni dei primi lavori cinematografici, non fa altro che hollywodianizzare “13 Tzameti”, potendo disporre di un budget più elevato e, ovviamente, di volti nuovi, su tutti l’ottimo Sam Riley. L’attore britannico formatosi al National Youth Theatre e poi prestato alla televisione, fece la sua comparsa sul Grande Schermo con “Control”, che gli valse un British Independent Award. Al suo fianco uno dei volti più noti dell’azione del nuovo millennio Jason Statham, i caratteristi Ray Winstone e Michael Shannon, il rapper 50 Cent e il senatore Mickey Rourke.

VOTO 7/10
Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano 

Il Punto del Weekend


Finesettimana atipico che vede l’uscita solo di quattro pellicole, cui si aggiunge, nell’anticipo del 1 Maggio, “Hunger Games”, nel tentativo di sfruttare il giorno di festa per superare gli introiti dell’inarrivabile “The Avengers”.

I PROTAGONISTI:
Ad aprire la settimana, come appena preannunciato, il tanto atteso “Hunger Games”. In una post apocalittica rivisitazione dell’America del Nord, dodici distretti sottomessi devono annualmente pagare un tributo alla dominante Capital City: una giovane donna e un giovane uomo da mettere a disposizione degli Hunger Games, violenti giochi di sopravvivenza in cui si sfidano i trbutii. Quando la sorte sceglie la piccola Prime Everdeen del distretto 12, è sua sorella maggiore Katniss a prenderne il posto offrendosi volontaria. Tratto dall’omonimo romanzo di Suzanne Collins, “Hunger Games” trova una delle migliori forme, considerato l’indirizzo giovanile del prodotto, calata in sorprendenti prove attoriali, singole e corali. Ciò che manca al ritorno al Grande Schermo di Gary Ross è una comunione d’intenti, un unico spirito da dare alla pellicola, mal distribuita tra dramma, azione e troppi minuti. Per una volta, l’amaro in bocca rimane perché davvero si doveva fare di più.
Il fine settimana vede il nostalgico ritorno degli studenti più famosi del Grande Schermo in “American Pie- Ancora Insieme”. Tutta la classe ’99 dell’East Great Falls si ritrova insieme per festeggiare il decennale del diploma, per scoprire come sono passati gli anni: Jim e Michelle si sono sposati ed hanno avuto un bambino, Kevin e Vicky si sono lasciati così come Oz e Heather, Finch ha girato il mondo mentre Stifler pare essere l’unico a non essere mai cambiato. John Hurwitz e Hayden Scholssberg aggiungono  il quarto capitolo ad una delle serie comico-adolescenziali più famose della storia del Cinema, ritrovando tutti i personaggi che hanno fatto la fortuna di Paul e Chris Weitz e di Adam Herz, rispettivamente registi e sceneggiatore del primo “America Pie”. Se le caratteristiche restano sostanzialmente invariate (l’umorismo semplice ed immediato, le gag striminzite e i vari caratteristi), “Ancora Insieme” ha il gusto della rimpatriata nostalgica che non ammette  critiche.
Arriva, invece, dalla Francia “Gli Infedeli”. Si tratta d’una pellicola composta da sette episodi, ognuno firmato da un diverso regista, in cui si affronta il tema dell’infedeltà maschile, declinata in vari e diversi aspetti, tutti velatamente ispirati ad un certo tipo di Cinema di matrice italiana. Ad alternarsi dietro le cineprese Emmanuelle Bercot, Fred Cavaye, Alexandre Courtes, gli eroi dell’anno Michel Hazanavicius e Jean Dujardin, Eric Lartigau e Gilles Lellouche. Nonostante i cervellotici tentativi francesi di fare cinema d’autore abbiano già stancato, l’idea di fare del film una composta di sette episodi, ognuno con un proprio registro narrativo e tecnico, non è quella che dispiace di più. A funzionare poco sono i camaleontici protagonisti Jean Dujardin e Gilles Lellouche, più attenti alla propria personale riuscita che a quella de “Gli Infedeli”.
Sembra una produzione disneyana ma non lo è “Seafood”, la storia del piccolo Pup, squalo bambù che, dopo aver assistito alla cattura di alcune uova proprio di squalo bambù da parte di due pescatori di frodo, decide di mettersi alla ricerca dei suoi fratelli per avvertili del pericolo. Ad aiutarlo il pescecane Julius, il polpo Octo ed una serie di variopinti abitanti degli abissi. Opera prima della Silver Ant, fondata dal regista malese Aun Hoe Goh proprio in occasione della realizzazione di “Seafood”, supportata da Al Jazeera Children Channel, “Seafood”, appunto, si inserisce nella fitta schiera di controparti animate delle ben più famose produzioni Pixar, facendo il paio, nello specifico, a “Alla ricerca di Nemo” e “Shark Tale”. Ciò che Aun Hoe Goh aggiunge è la destinazione anche ad un pubblico più avanzato, come dimostrato dalla minor selezione delle immagini e dai sottesi messaggi ecologici- ambientalistici. Se qualcosa di nuovo c’è è quasi impossibile notarlo e “Seafood” aggiunge poco o niente ai più illustri contemporanei d’oltreoceano.
Dulcis in fundo, “Ulidi piccola mia”. È vicina ai diciotto anni Paola, figlia di un contadino emiliano e di una donna marocchina che, negli ultimi quattro mesi, è stata ospite di una comunità, lontana dalla famiglia. Prendendo spunto da uno spettacolo teatrale, Mateo Zoni regala una pagina finemente preziosa al dramma giovanile. Le sue telecamere seguono con delicatezza e discrezione la giovane Paola, capace, in questo modo, di dispiegare con realismo ed intensità il proprio personaggio. Né voci narranti né finali strappalacrime al limite del mieloso.

LE SORPRESE
Alla sua prima uscita si rende artefice di un’ottima prestazione Paola Pugnetti, che si aggiudica la nomina a sorpresa del weekend. Un plauso relativo lo merita Mateo Zoni, capace di dirigere nel miglior dei modi un talento ancora grezzo come quello della Pugnetti. Speriamo solo che le doti così “impegnate”, in un mercato così poco attento all’impegno, non ne minino i futuri successi.

I FLOP E I TOP
Vediamo ora i protagonisti che si sono messi in cattiva luce:
3°.    Richiamo retorico più che critico per la coppia Hazanavius- Dujardin. Dopo i tanto discussi Oscar vinti nell’ultima tornata degli Awards, il duo francese non perde la voglia di ritornare ad un cinema d’avanguardia di cui, tutto sommato, si sente poco il bisogno: tornare indietro, nell’epoca del 3D, non è di sicuro la scelta azzeccata!
2°.    Anche in questo caso, solo richiamo per il malese Aun Hoe Goh. Il regista di “Seafood” si impegna a caratterizzare, almeno tematicamente, la prima pellicola della sua Silver Ant, riuscendo solo in un Pixar ben stereotipato.
1°.    Di critica vera si tratta, invece, per Gary Ross. A nove anni dall’ultimo lungometraggio, tutto l’impegno profuso nella realizzazione così attenta di “Hunger Games” finisce per risultare inutile alla luce del funzionamento ultimo della pellicola nella sua interezza.
In ultimo, i più lodevoli:
3°.    Medaglia di bronzo per Jason Biggs&Co. I verginelli di “American Pie” ritornano, dopo dieci anni, sul Grande Schermo, per accompagnare nel magico mondo dell’evasione e della scoperta anche le nuove generazioni. Di sicuro il loro operato è più educativo di tanti altri mezzi.
2°.     Seconda sul podio è Jennifer Lawrence. La ragazza del Kentucky ha in “Hunger Games” la possibilità di dar sfoggio di tutto il suo talento interpretativo e caratteriale, riuscendo anche nella fase action del girato. un’altra giovane promessa!
1°.    Oro del finesettimana a Mateo Zoni. Alle tante parole già spese va aggiunto solo che per il regista parmense si tratta della prima opera. Aggiungere ancora qualcosa avrebbe del superfluo.

BOX OFFICE
Nonostante l’ottima accoglienza riservata alla new entry “Hunger Games”, “The Avengers” rimane saldamente in vetta alle classifiche, toccando quota 10.977.822 €. La concorrente della Warnes  Bros arriva comunque, in meno di una settimana, a 6.419.761. Volendo considerare solo il finesettimana, invece, a trionfare ai botteghini è l’ultimo capitolo de “American Pie”, che raggiunge i 2.367.964 € d’incasso.

Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano

Seven Below (2012)

Val Kilmer: Mc Cormick
Ving Rhames: Jack
Luke Goss: Isaac
Bonnie Somerville: Brooklyn
Matt Barr: Adam
Rebecca Da Costa: Courtney

Regia: Kevin Carraway
Sceneggiatura: Kevin Carraway, Lawrence Sara
Musiche: Jake Staley

Nel 1911, in casa Mc Knight si consuma una terribile tragedia: il figlio adottivo Sean accoltella a morte tutti i familiari in casa. Più o meno un secolo dopo, cinque sconosciuti di ritorno da una convention a bordo di un taxi, vengono coinvolti in un incidente in cui perde la vita lo stesso autista. Raggiunti da Jack, un uomo che vive nelle vicinanze, sfuggono all’imminente tempesta rifugiandosi nella sua casa: la stessa dimora abitata un tempo dai Mc Knight.

Mal ispirato a “Il Sesto Senso” e a “The Skeleton Key”, “Seven Below” si serve di una paura spicciola, tradizionale. Perché fantasmi negli specchi degli armadietti dei bagni, vecchie foto con qualche figuro inquietante, esperienze oniriche fin troppo realistiche e strani uomini che si spacciano per demoni, diavoli ed angeli della morte fanno, ormai, poca paura e ci riescono solo quando sono sapientemente usati dai direttore dei lavori. Non si tratta, purtroppo, del lavoro di Carraway e colleghi, che non tentano nemmeno di rimescolare le carte del mazzo ma le servono sul piatto con svogliatezza e veramente poco criterio (su tutti l’improbabile spostamento finale nel nebbioso bosco). Artifizi triti e ritriti e un impianto narrativo decisamente povero sono i miseri ingredienti della ricetta di Carraway, giustificabile solo perché alla prima uscita.
Al fianco dell’irriconoscibile Val Kilmer e di Ving Rhames, che ci prova in tutti i modi a salvare da solo tutta la baracca, con scarsi risultati, meritano una menzione Luke Goss, per la prima volta umano dopo aver vestito i panni del vampiro Nomak in “Blade II” e del principe Nuada in “Hellboy- The Golden Army”, e l’incesurata Rebecca Da Costa, che dimostra buona disposizione all’horror.

VOTO 4/10
Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano   

Hunger Games (2012)

Jennifer Lawrence: Katniss Everdeen
Liam Hemsworth: Gale Hawthorne
Elizabeth Banks: Effie Trinket
Josh Hutcherson: Peeta Mellark
Willow Shields: Prime Everdeen
Woody Harrelson: Haymitch Abernathy
Donald Sutherland: Presidente Snow
Stanley Tucci: Caesar Flickerman

Regia: Gary Ross
Soggetto: Suzanne Collins
Sceneggiatura: Gary Ross, Suzanne Collins
Fotografia: Tom Stern
Musiche: T-Bone Burnett
Scenografie: Philip Messina

Dove un tempo le carte geografiche segnavano il Nord America, ora è lo Stato di Panem, sorto a seguito di una ribellione che vide vincitrice Capital City, ora accerchiata da 12 distretti sotto il suo controllo. Ogni anno, ognuno di quei distretti deve selezionare a caso una giovane donna ed un giovane uomo, da inviare come tributo agli Hunger Games, cruento spettacolo teatrale in cui si sfidano fino alla morte i 24 ragazzi. Paura e sottomissione, ecco i risultati conseguiti da Capital City attraverso i giochi.
Al momento dell’ennesima selezione nel Distretto 12, viene pescata a sorte la piccola Prime Everdeen, prontamente sostituita dalla sorella maggiore Katniss, cui si affiancherà Peeta. Insieme raggiungeranno la pittoresca Capital City, mettendo in gioco la propria vita per il sudicio spettacolo dei potenti.

L’omonima versione post apocalittica della scrittrice Suzanne Collins incontra il Grande Schermo di Gary Ross, un connubio dai tratti decisamente discordanti.
Tecnicamente ed esteticamente, si tratta di un vero capolavoro: la tensione e la fatica della vita da distretto  è resa splendidamente dalle macchine a mano di Ross, mentre la seconda parte regala tutta la grandiosità del sci-fi d’azione, grazie alla sempre valevole fotografia di Tom Stern (tra i suoi lavori basti citare “Mystic River” e “Million Dollar Baby”). L’action cede il posto alla scrittura, da cui l’ottima riduzione delle pagine della Collins, e si delineano le eccellenti prove attoriali: delicata quanto fumosa l’interpretazione dell’appena ventunenne Jennifer Lawrence, attorniata da un cast di ottimi caratteristi, tra cui è doverosa una menzione per il sempiterno Donald Sutherland. Anche la destinazione al pubblico più giovane risulta scelta più che giusta, laddove il mercato aveva rifilato solo “Twilight&co.”.
Ciò che manca, ed è questa mancanza a disturbare il progetto di Ross, è un’omogeneità di fondo che potesse dare agli Hunger Games un solo spirito. Laddove le pagine del romanzo potevano attingere all’intera tavolozza delle tinte narrative, la riduzione di Ross, imboccata per buona parte del girato la strada della scrittura e del dramma, l’abbandona bruscamente in favore di un’azione cui finisce per dare poco respiro. Il tutto condensato in 142 minuti di girato che risultano decisamente eccessivi.
Che si tratti dei già chiacchieratissimi sequel o di nuovi lavori, non ci resta che sperare che la fortuna sia sempre dalla parte di Gary Ross.

VOTO 5/10
Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano

Il Punto del Weekend


Settimana ricchissima oltre che di numero, come di consueto, soprattutto di qualità, complice l’occasione della festa della liberazione che riempie ancor di più le sale. Conosciamo insieme i protagonisti della settimana.

I PROTAGONISTI
Si comincia di martedì, con l’uscita dell’ultimo film di Johnny Deep “The Rum Diary”. La pellicola vede protagonista Paul Kemp, buon giornalista e gran bevitore, che si trasferisce a Puerto Rico per collaborare al San Juan Star, giornale locale sull’orlo del fallimento. A stargli accanto durante il movimentato soggiorno portoricano il fotografo Sala, il collega, di penna e di bicchiere, Moberg e la bellissima Chenau. Deep in persona si è occupato del ritrovamento dell’omonimo romanzo di Hunter S. Thompson da cui è tratto il lungometraggio, di cui l’attore è produttore oltre che protagonista. le fumose e alcoliche traversie di Kemp vengono affidate a Bruce Robinson che ne fa un’ottima riduzione in fase di scrittura, lui che di mestiere fa lo scrittore; molto meno brillante la conduzione registica, a tratti stanca e pesante. D’altronde proprio Robinson aveva dichiarato che non si sarebbe più seduto sulla sedia del director: un bacio d’addio, dunque, e non un bentornato.
La festività del 25 Aprile tocca i due apici opposti. Sicuramente dalla parte migliore c’è “Il castello nel cielo”. Nello sfuggire ai pirati dell’aria, la giovane Sheeta cade da un aereo ma, levitando nell’aria, riesce a salvarsi e ad atterrare tra le braccia del coetaneo minatore Pazu. La caccia a Sheeta non è ancora conclusa, alimentata dal segreto della città nel cielo che la ragazza si porta dentro. Il ritardo con cui questo capolavoro del maestro dell’animazione Hayao Miyazaki arriva nelle nostre sale è avvilente e imbarazzante. Si tratta, infatti, del primo lungometraggio propriamente dello Studio Ghibli, nato nel 1985 per volere di Miyazaki e Isao Takahata. “Laputa” (questo il titolo originale) fu distribuito solo per l’home video ma presto ritirato per poi essere distribuito al Grande Schermo 27 anni dopo la sua realizzazione! Come a voler richiamare il 4 Luglio d’oltreoceano, “The Avengers” arriva nella sale proprio il 25 di Aprile. Questa volta la minaccia di Loki, fratellastro divino di Thor in combutta con i temibili guerrieri Chitani ed in possesso del potente Cubo Cosmico, è tale che Nick Fury, capo dello S.H.I.E.L.D., deve attivare il “Progetto Vendicatori” formando la squadra composta da Iron Man, Capitan America, Thor, Hulk, la Vedova Nera e Occhio di Falco. I supereroi Marvel si ritrovano nell’epico lungometraggio che li vede, finalmente, uniti, dopo il lungo e laborioso processo di rimandi, richiami ed anticipazioni che ha caratterizzato le produzioni Marvel del passato più recente. Fa il cattivo tempo del mercoledì, invece, “Ho cercato il tuo nome”, storia di Logan Thibault, ufficiale dei Marines che, di ritorno dall’Iraq, decide di cercare la donna ritratta su una foto trovata nel deserto. Quella donna è Beth che nell’Hampton gestisce un canile insieme alla nonna Nana e al piccolo Ben, figlio avuto dal matrimonio con lo scontroso sceriffo Clayton. Criticare la pellicola di Scott Hicks significa fare un passo indietro e concentrarsi sulla fonte del regista, l’omonimo romanzo dell’ “harmony man” Nicholas Sparks. Ormai da anni la sua letteratura rosa è la più famosa e seguita al Mondo e “The Lucky One” (titolo originale de “Ho cercato il tuo nome”) non è altro che l’ultimo di un’infinita serie di mielosi drammi dalla lacrima facile e dalla retorica sdolcinata che troppo hanno influenzato le produzioni del Grande Schermo, tra cui, a onor del vero, si salva solo Kevin Kostner.
Il solitario intermezzo del giovedì è “Interno Giorno”, in cui vengono ripercorse le vicende della vita dell’attrice Maria Torricello, in occasione dell’uscita del suo ultimo film. Poco da dire del primo lungometraggio di Tommaso Rossellini: l’encefalogramma rimane quasi totalmente piatto e “Interno Giorno” si affatica verso i titoli di coda.
Le uscite dell’ormai non più così regolare venerdì. Nell’Irlanda del Nord di “Hunger”, il ministro Margaret Thatcher abolisce lo statuto speciale di prigioniero politico. i carcerati dell’IRA, dopo quello “della coperta” e dell’igiene, cominciano un durissimo sciopero della fame, guidati da Bobby Sands che troverà la morte nella protesta insieme a nove compagni. Pellicola estrema e carnale, Mc Queen porta sullo schermo una storia dal fortissimo impatto, stabilendo con il soggetto un rapporto filmicamente fisico. È la battaglia che passa per l’utilizzo del corpo, ultima arma per chi, come Sands, ha solo quattro mura che si stringono intorno.
Protagonista di “Maternity Blues” è,invece, Clara, costretta in un ospedale psichiatrico della Toscana a seguito dell’omicidio dei 2 figli neonati. Mentre Clara entra in contatto con un gruppo di infanticide, stringendo rapporti in particolare con le tre compagne di cella, fuori delle mura dell’ospedale Luigi, suo marito, deve fare in  conti con l’amore che prova ancora per quel mostro. Prendendo spunto dalle pièce teatrale della scrittrice Grazia Verasani, Frabrizio Cattani affronta lo spinoso problema dell’infanticidio materno, in una riduzione cinematografica che conserva molto della versione teatrale. Ed è proprio tale mantenimento a fare in modo che il soggetto non si macchi di patetica drammaticità all’italiana: quello di Cattani è un viaggio nell’universo psicologico di una Clara che diventa il modo per capire quanta madre ci sia in ogni femmina.
In ultimo “La Casa nel vento dei morti”. Attilio ed altri sbandati come lui dopo gli eventi della fondazione della Repubblica di Salò, compiono una rapina in banca in cui ci scappa il morto. Durante la fuga attraverso l’Appennino parmense si fermano in una cascina, in cui vengono accolti ed ospitati da tre donne: ciò che li aspetta non è una notte di riposo. L’incipit così realistico, il viaggio verso la casa protagonista, il modo di rappresentare gli eventi fino al loro dispiegamento fanno pensare d’essere di fronte ad un piccolo horror cult italiano. Ci si aspettano i gesti più efferati e le aspettative, in tal senso, non vengono disattese ma a “La Casa nel vento dei morti” manca decisamente dello spirito, nonostante gli sforzi per ricrearlo.

LE SORPRESE
Artista, sceneggiatore e regista britannico, solo omonimo del popolare attore, Steve Mc Queen vede finalmente arrivare nella sale il film che lo vide esordire dietro le cineprese, “Hunger”, primo di una duplice e incredibile collaborazione con Michael Fassbender (ha diretto l’interprete tedesco anche successivamente in “Shame”). Realizzato nel 2008, “Hunger” diede a Mc Queen il titolo della Camera d’Or per la miglior opera prima al 61° Festival di Cannes e l’European Film Awards per la miglior rivelazione.

I FLOP E I TOP
Ed ora i meno bravi del weekend:
3°.    Terzo posto per Francesco Campanini. Il regista mette a disposizione tutto il proprio acume cinematografico nell’ultimo “La casa nel vento dei morti”ma, purtroppo, non è abbastanza e ciò che rimane è solo l’amaro in bocca per l’ennesima occasione sprecata.
2°.    Secondo sul podio Zac Efron. Il belloccio californiano tenta il salto di qualità, dopo le performance canore e danzanti dell’ormai famosissima trilogia di “High School Musical”, affiancando Taylor Schilling in “Ho cercato il tuo nome”. La sua interpretazione, discutibile anche a causa dell’insufficiente conduzione di Hicks, non lo porta lontano dal musical.
1°.    Primo tra i peggiori, Tommaso Rossellini. Nipote d’arte dal cognome che pesa, per la sua opera prima “Interno Giorno” si ispira di più all’esperienza francese che a quella italiana: la combinazione è micidiale!
Dulcis in fundo, i premiati della settimana:
3°.    Medaglia di bronzo a Joss Whedon. Grande appassionato di fumetti e già sceneggiatore per la Marvel, oltre che regista di “Thor”, Whedon realizza un’ottima summa dei più recenti sforzi dei Marvel Studios, riuscendo a rispettare ogni linea di continuity cinematografica (non vale lo stesso per le fonti cartacee) e lo spazio di ogni singolo supereroe.
2°.    Argento per Michael Fassbender. Il tedesco, poi naturalizzato irlandese, deve a “Hunger” buona parte del successivo successo. Dopo la gavetta teatrale, le fugaci incursioni televisive e l’interpretazione dello spartano Stelios in “300”, la collaborazione con Steve Mc Queen ne espose l’incredibile talento, poi regolarmente confermato.
1°.    Non bastano gli elogi per il genio Hayao Miyazaki. “Il Castello nel cielo” permette di ritornare ai primi lavori del regista e sceneggiatore nipponico ma, ripercorrendone la carriera, la considerazione circa la misura del suo talento non cambia.

BOX OFFICE
Indiscutibile e preannunciato il primato ai botteghini di “The Avengers”: con gli 8.156.437 € guadagnati in cinque giorni e mezzo, considerando le anteprima di martedì, l’ultimo lungometraggio della Marvel ha già raggiunto maggior successo di tutti i film precedenti, senza considerare che solo domani arriverà nelle sale d’oltreoceano! Sul podio ci rimane ancora “To Rome with Love” mentre le statistiche sono molto negative per le altre nuove uscite: 505.216 € per “Ho cercato il tuo nome”, 356.725 € per “The Rum Diary” e solo 130.204 per “Il Castello nel cielo”. Esordio ben al di sotto delle aspettative anche per “Hunger”, a quota 75.933 €, come per l’italiano “Maternity Blues”, che incassa 15.232 €.

Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano