Bruce Willis: Frank Moses
Morgan Freeman: Joe Matheson
John Malkovich: Marvin Boogs
Helen Mirren: Victoria
Karl Urban: William Cooper
Mary-Louise Parker: Sarah
Brian Cox: Ivan Simanov
Richard Dreyfuss: Alexander Dunning
Rebecca Pidgeon: Cynthia Wilkes
Julian Mc Mahon: V.P. Stenton
Ernest Borgnine: Henry
Regia: Robert Schwentke
Soggetto: Warren Ellis
Sceneggiatura: Jon Hoeber, Erich Hoeber
Fotografia: Florian Ballhaus
Montaggio: Thom Noble
Musiche: Christophe Beck
Scenografie: Alec Hammond
Puoi assistere a sparatorie ed inseguimenti, ma non è un action-movie. Puoi vederlo spensierato sul divano, godendo di uno humor perfettamente giostrato e di un clima assolutamente disteso, ma non è una commedia. Puoi aggirarti tra complotti e invisibili tracce governative, ma non è uno spy film.
Tratto dal graphic novel firmato Warren Ellis e disegnato da Cully Hamner, “Red”, nonostante le origini, rompe il tradizionale schema fumetto-film per dar vita ad un filone più dinamico ed originale che, alla luce dell’ottima fattura della pellicola, speriamo possa avere largo seguito. Il tedesco Schwentke, alla regia, prende le mosse dalle chine del prodotto della D.C., da cui desume solo i tratti principali della storia, per realizzare un film che etichettare con precisione risulta quanto meno difficile. Forte del supporto di citazioni sì leggendarie ma mai pesanti, dimostra tutta la sua qualità facendone rivivere l’anima, senza mai dettarsi precise finalità stilistiche. Impossibile non accorgersi della vicinanza, nel proemio, alle scene di apertura di “Pulp Fiction”, così come aleggia vagamente quell’atmosfera ironico- poliziesca propria di produzioni come “Die Hard” e “Arma Letale”, che vedono lo stesso Willis come protagonista, e ancora, più recentemente, la saga degli “Ocean”. Più accurato il richiamo ad un capolavoro degli anni ’90, “Leon”, citato in “Red” per mezzo di una piantina. Cervellotica è,invece, la revisione di quel dramma da guerra fredda che accompagna le più classiche storie di spionaggio ed agenti (vedi “Spy Game” e la saga “Bourne”), che, in quest’occasione, trova quell’alleggerimento auspicato ma mai applicato. Un alleggerimento che arriva al momento giusto: che sia condivisibile o meno, porta una ventata di originalità di cui si sentiva il bisogno.
Ed è così che l’addestramento del giovane agente desideroso come non mai di provare il suo valore, diviene la noia di un vecchio che non riesce a trovare un modo per placare le proprie smanie. È così che la voglia infantile di essere di nuovo con i proprio compagni, rivivere insieme le emozioni della loro vita, diviene più importante che esaltare fantomatiche missioni di super-soldati: siamo di fronte ad una rimpatriata familiare più che ad una missione, e si è capaci di ridere anche assistendo al “dramma” della morte.
Nonostante i tratti già positivi del progetto, il tutto viene arricchito da un cast d’eccezione. Un Morgan Freeman mai pago, si prodiga in un’altra ottima prova: “Recitare è come ballare e se trovi degli attori con cui balli beni, allora è una bella danza”, queste le parole di uno dei migliori “ballerini”, che sottolinea la prelatura dei colleghi, non meno esperti nella danza. Bruce Willis, soldato ormai rodato, non smentisce la fama che si porta dietro. Forte dell’enorme successo di critica e la definitiva affermazione agli occhi del pubblico raggiunti con “The Queen”, pellicola che gli vale anche l’Oscar come miglior attrice protagonista, Helen Mirren, dimostra una straordinaria adattabilità, portando sulla scena un perfetto charme inglese che integra una caratterizzazione dei personaggi già elevatissima. Basti pensare allo strambo agente Boogs, interpretato da John Malkovich o all’impeccabile russo di cui veste i panni Brian Cox. Fornisce una discreta prova anche la Parker, forse gravato dal personaggio meno brillante: le gerarchie vanno rispettate, soprattutto quando siamo di fronte a coloro che hanno contribuito a scrivere la storia del cinema. Se non bastasse, compaiono anche Ernest Borgnine, il vincitore vivente più anziano dell’Oscar come miglior attore protagonista (“Marty, vita di un timido”, 1956), Julian Mcmahon e Richard Dreyfuss.
In cabina di regia, Robert Schwentke, coadiuvato dai fratelli Hoeber, curatori della sceneggiatura, trova finalmente il suo vero primo successo, coordinando una piacevole colonna sonora, ad opera di Christophe Beck, e un accattivante montaggio, diretto da Thom Noble, con cui pure aveva già lavorato durante la produzione di “Flightplan”.
“Non sarà una pellicola che passerà inosservata” dichiara Bruce Willis a pellicola girata. Il commento dell’attore non lascia spazio ad ulteriori parole d’elogio.
VOTO 7/10
Pier Lorenzo Pisano
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