Marzo
comincia sotto il segno del made in Italy: quattro delle sette pellicole in
uscita nel weekend sono state, infatti, realizzate nei confini dello stivale,
cui si aggiungono due progetti d’oltreoceano e un film britannico.
I PROTAGONISTI
Ulisse, ex produttore musicale, Domenico, imprenditore alla deriva, e
Fulvio, ex critico cinematografico costretto a scrivere di gossip:
apparentemente lontani tra loro, i tre protagonisti de “Posti in piedi in Paradiso”,
lasciate le rispettive famiglie, si ritrovano a vivere insieme per sbarcare il
lunario. Il 23° lungometraggio di Carlo Verdone è stato impropriamente
inscritto nel filone neofita del “Cinema della Crisi”: storia di padri e figli,
di possibilità economiche e carriere ma anche palcoscenico comico per l’eterno
Verdone, nelle vesti di attore, regista e sceneggiatore, “Posti in piedi in
Paradiso” non può essere iscritto in nessuna categoria, è proprio questo il suo
valore.
In “Safe House”, l’ex
agente della CIA Tobin Frost viene raggiunto dal giovane e inattivo Matt Weston
e portato nella safe house di sua competenza. Durante l’interrogatorio,
riguardante alcuni documenti compromettenti in possesso di Frost, l’edificio
viene attaccato da un gruppo di mercenari: a salvarsi sono solo Frost e Weston,
costretti a rimanere insieme per indagare sull’accaduto. Il buono ed il
cattivo, il maestro e l’allievo: questi i due protagonisti dell’avvincente film
diretto da Daniel Espinosa, perfettamente interpretati da Denzel Washington e
Ryan Reynolds, in viaggio nell’intricato mondo della giustizia, sempre troppo
scuro per quanto segreto. L’ottimo andamento della narrazione spy, la
rivisitazione dei cliché e le ottime scene d’azione realistiche e coinvolgenti
(in una delle scazzottate delle prove, Reynolds ha avuto l’onore di rifilare un
occhio nero a Washington!), ne fanno un ottimo prodotto.
Sempre dagli States arriva “50
e 50”, in cui la vita fin troppo tranquilla del ventisettenne Adam viene
sconvolta dal sopraggiungere di un particolare tipo di cancro. All’iniziale rassegnazione
alla malattia, Adam contrappone la ricerca di ciò che è veramente importante
per la vita che gli rimane. È sempre molto difficile affrontare un tema
delicato come le malattie terminali; farlo tenendo come sottofondo una linea
divertita ed ironica, perfettamente gestita da Seth Rogen, capace di addossarsi
da solo l’intera impalcatura comica del girato, sembrerebbe addirittura
impossibile. Ci riesce, e ci riesce veramente bene, Jonhatan Levine, i cui
meriti vanno egualmente frazionati col protagonista Joseph Gordon-Levitt.
Un’esplosione di emozioni, spesso patetiche ma genuine.
Ci spostiamo poi in Gran Bretagna per “The Woman in Black”. Lasciati a Londra il figlioletto e la badante,
l’avvocato Arthur Kipps si reca in uno sperduto villaggio per occuparsi dell’eredità
della proprietaria di Eal Marsh House. La tenuta, schivata da tutti gli
abitanti della brughiera, contiene tra le propria mura un terrificante segreto.
Già adattato per il Grande Schermo, la radio ed il teatro, il romanzo di Susan
Hill “La donna in nero” viene preso in prestito, questa volta, da James
Watkins, responsabile della riduzione peggiore fino a questo momento.
Ritorniamo, poi, in Italia. In “Henry”,
è il titolo a dare il nome alla protagonista della pellicola: l’eroina, da cui
dipendono Rocco, Gianni e Nina, venduta da Spillo e dalla famiglia malavitosa
di Civitavecchia e motivo d’indagine per il commissario Silvestri ed il suo
ambiguo collega Bellucci. Al suo terzo lungometraggio, Alessandro Piva cerca di
raccontare l’Italia della criminalità e dello spaccio nelle sue svariate
declinazioni personali: buone le premesse, non si può dire lo stesso della
realizzazione. Ne “Gli Sfiorati”,
invece, Metè e Belinda si ritrovano improvvisamente fratellastri, al momento
delle nozze dei rispettivi genitori. Intrigato dalla sensualità ingenua e
stralunata della sorellastra, Metè tenterà in ogni modo di distrarsi, aiutato
dagli amici fraterni Damiano e Bruno. Prendendo spunto dall’omonimo romanzo di
Sandro Veronesi, Matteo Rovere continua il proprio personale viaggio nel
mondo giovanile, intrapreso nel 2008 con
l’opera prima “Un gioco da ragazze”, e continuato, ora, raccontando degli
sfiorati: un gruppo di ragazzi che la vita la assaggiano ma non la mordono,
costantemente in bilico tra volontà di fare e l’irrisolto. Il tutto
interpretato da un cast vario e all’altezza, su tutti Andrea Bosca e Claudio
Santamaria. Dulcis in fundo, l’ultima perla stillata dall’infinito talento dei
fratelli Paolo e Vittorio Taviani, “Cesare
deve morire”. A metà tra il documentario e l’esperienza filmica, “Cesare
deve morire” è il racconto della messinscena
del “Giulio Cesare” di William Shakespeare da parte dei detenuti del
carcere di Rebibbia. Un progetto toccante, intelligente e realizzato con
dovizia e bravura, tutte caratteristiche che non fanno altro che moltiplicarsi
sul Grande Schermo: a testimoniarlo l’Orso d’Oro vinto a Berlino, titolo che
mancava all’Italia dal 1991.
LE SORPRESE
A dividersi la titolatura di questo fine settimana, due italiani. Andrea Bosca approda finalmente alla
fama dopo la lunga gavetta: terminati gli studi al Teatro Stabile di Torino, ha
alternato il teatro al cinema, fino all’ultimo “Magnifica Presenza”, film in
uscita il prossimo 16 Marzo, in cui ha trovato la direzione del maestro Ferzan
Ozpetek. Sappiamo di meno dell’ex detenuto Salvatore
Striano, se non che la sua interpretazione di Bruto in “Cesare deve morire”
è sulle bocche di tutti i critici d’Europa.
I FLOP E I TOP
I meno bravi della settimana:
3°.
Ultimo del podio, Daniel Radcliffe. Poche le colpe che gli si possono ascrivere per
la cattiva riuscita di “The Woman in Black”, tuttavia l’attore britannico
sembra aver contratto la sindrome della saga, dopo l’interpretazione di Harry
Potter, il maghetto più famoso della storia.
2°. A seguire, l’italiano Alessandro Piva. Il regista di “Henry” sfrutta male un soggetto
tutto sommato interessante, realizzando un film scontato e costantemente in
affanno, per dialoghi e sbocchi narrativi.
1°.
Premio di peggiore a James Watkins. Alla direzione di “The Woman in black”, il regista
delle scuderie della Hammer Film Production non riesce a declinare nel modo
migliore il soggetto ansiolitico/orrorifico, il preferito della casa di
produzione: il risultato è una bella cornice senza una foto, una pellicola esteticamente
perfetta ma vuota al proprio interno, che non fa altro che parafrasare il
racconto della Hill.
Ed infine, i migliori del weekend:
3°.
Medaglia di bronzo per Daniel Espinosa. Un altro talento svedese, che si aggiunge ai più
famosi Tomas Alfredson e Niels Arden Oplev, testimoniando la preparazione e la
selezione delle scuole del Vecchio Continente.
2°. Secondo
sul podio Joseph Gordon-Levitt.
L’attore statunitense è riuscito ad evitare il destino delle star bambine,
troppo spesso destinate a vedere estinta la propria luce ancor prima
dell’adolescenza: la prova attoriale de “50 e 50” ne è la perfetta
dimostrazione.
1°.
Premio scontato per Paolo e Vittorio Taviani.
Invitati allo spettacolo di Rebibbia, i fratelli ne rimasero folgorati e
decisero di farne un lungometraggio originale e toccante, che ha il merito di
portare bellezza ed emozione laddove c’è solo cemento e ripensamento. Una
menziona la merita anche Nanni Moretti, presidente della Sacher Distribution
che s’è fatta carico della pellicola.
BOX OFFICE
Trionfa nel fine settimana Carlo Verdone: il suo “Posti in piedi in
Paradiso” raggiunge quota 3 milioni di € in soli due giorni. Al secondo posto
si piazza “Quasi Amici”, segnando la fortunata rivalutazione del pubblico
nostrano nella seconda settimana di programmazione; a seguire, “Viaggio
nell’Isola Misteriosa” impedisce alle nex entry di arrivare al podio: finiscono
fuori dalla top ten “Cesare deve morire”, “50 e 50” e “Gli Sfiorati”.
Marco
Fiorillo
Pier Lorenzo
Pisano