Koji Yakusho: Shinzaemon Shimada
Takayuki Yamada: Shin Rouko
Yusuke Iseya: Koyata
Goro Inagaki: Lord Naritsugu Matsudaira
Masachika Ichimura: Hanbei Kitou
Mikijiro Hira: Sir Doi
Hiroki Matsukata: Kuranaga
Ikki Sawamura: Mitsuhashi
Arata Furuta: Sahara
Tsuyoshi Ihara: Hirayama
Masataka Kubota: Ogura
Sosuke Takaoka: Hioki
Seiji Rokkaku: Otake
Yuma Ishigaki: Higuchi
Koen Kondo: Horii
Regia: Takashi Miike
Soggetto: Kaneo Ikegami
Sceneggiatura: Kaneo Ikegami, Daisuke Tengan
Fotografia: Nobuyasu Kita
Musiche: Koji Endo
Scenografie: Yuji Hayashida
Togugawa, 1884. Il fratello dello Shogun, Naritsugu (Goro Inagaki), ebbro di violenza e depravazione, sta seminando la morte tra le famiglie della regione. Accertata l’impossibilità di risolvere la questione per vie diplomatiche e per l’eccessiva efferatezza dei crimini, il ciambellano Doi (Mikijiro Hira) dispone l’eliminazione del “nobile”. Il compito viene affidato al venerando maestro di katana Shinzaemon Shimada (Koji Yakusho). Per portare a compimento la missione, il samurai riunisce attorno a se dodici valorosi guerrieri: i tredici assassini saranno chiamati a porre fine all’incubo partorito dalla perversa mente di Naritsugu.
La pellicola, presentata con discreto successo alla 67° Mostra d’arte cinematografica di Venezia nel settembre del 2010, è un rifacimento del nipponico “jidai geki” (il nostrano “cappa e spada”) “13 Assassini”, diretto nel 1963 dal maestro Eiichi Kudo. Eguaglia la maestria dell’omonimo precedente, l’opera di Takashi Miike. Ne è passato di tempo da quando, il cineasta giapponese, vide esplodere il suo successo al di fuori dei confini di patria, con la produzione di “Fudoh”, prima, e della trilogia de “Dead or Alive”, poi. Eppure il suo cinema dalle radici sempreverdi non ha smesso di impressionare, come dimostra l’ultimo “13 Assassini”. Se da una parte il film incanta per la vivida e magistrale presa visiva, frutto del talento del regista e dell’abilità nel renderlo su celluloide di Kita, Direttore della fotografia, e per la suggestiva colonna sonora, cassa di risonanza d’estrema evocazione, la vera abilità sta nel sapere impastare, con mano esperta, la perfezione stilistica con la resa contenutistica. Ed è così che prende vita un Giappone malfermo, spaccato tra l’atavica tradizione che porta sulle spalle e la strada che conduce alla modernità: il tutto, reso dallo scontro tra samurai e fucili, portato sullo schermo con intense scende d’azione ed una violenza cruda ma mai eccessiva, considerando le carneficine cui ci ha abituato Miike.
Il tutto farebbe sperare in un meritato spiraglio qualitativo, nel grigiore di una contemporanea produzione cinematografia che lascia alquanto a desiderare. Tuttavia, il successo, nella sua completezza, viene minato da due fattori: l’eccessiva durata determina un dispiegamento dell’azione troppo rallentato, cui si unisce una resa linguistica che risente delle difficoltà di traduzione di un idioma così complesso, come quello della tradizione nipponica.
Si tratta, nonostante qualche pecca, di una prova brillante, che testimonia come il valore d’una pellicola possa passare ancora per il talento e per la dedizione, e non solo per la lente 3D di un paio d’occhiali.
VOTO 7/10
Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano
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