A Dangerous Method (2011)
Viggo Mortensen: Sigmund Freud
Michale Fassbender: Carl Jung
Keira Knightley: Sabina Spielrein
Vincent Cassel: Otto Gross
Sarah Gadon: Emma Jung
Regia: David Cronenberg
Soggetto: John Kerr, Christopher
Hampton
Sceneggiatura:
Christopher Hampton
Fotografia:
Peter Suschitzky
Musiche: Howard Stone
Scenografie: James MaAteer
Costumi:
Denise Cronenberg
Una storia vecchia di un secolo incontra il Grande Schermo, dopo aver
conosciuto le pagine di un romanzo e il palco teatrale. Opera di mediazione
commerciale o appagamento di un’esigenza veramente conoscitiva, il risultato
rimane estremamente positivo.
Zurigo, 1904. La giovane Sabina Spielrein (Keira Knightley) viene
ricoverata a Burgholzli, ospedale psichiatrico che vede tra le file del proprio
personale il ventottenne Carl Jung. Il dottore decide di sottoporre Sabina all’innovativa “teoria delle parole”, ispirata dagli studi
del maestro Sigmund Freud (Viggo Mortensen), allora conosciuto solo di fama da
Jung. La terapia condurrà i due in una profonda ricerca che abbandonerà le
sicure sponde della scienza analitica per raggiungere gli infausti scogli
dell’amore e della passione fisica.
La vicenda narrata in “A Dangerous Method” fu desunta dal ritrovamento
di alcuni cartigli andati perduti, testimonianza dei rapporti intrattenuti dal trio di studiosi Freud- Jung- Spielrein.
La scoperta ispirò dapprima il volume “A Most Dangerous Method”, pubblicato nel
1993 da John Kerr, poi “The Talkin Cure”, opera teatrale sceneggiata da
Christopher Hampton nel 2002. Ad entrambe le produzioni fa riferimento il
regista canadese David Cronenberg per la realizzazione della sua pellicola. Considerato
uno dei principali esponenti del cosiddetto “cinema body horror”- ramo
cinematografico attento all’esplorazione del terrore umano dinanzi alla
mutazione del corpo ed alle contaminazioni della carne- ha abbandonato la
sperimentazione più “corporale”, propria delle prime opere fantascientifiche e
del terrore, per avvicinarsi ad un’interpretazione più psicologica
dell’argomento. Incarna pienamente questo spirito il suo ultimo “A Dangerous
Method”, in cui il regista sceglie di indagare due temi in particolare: da una
parte il rapporto medico/ paziente, dall’altra quello allievo/maestro. Il tutto
avvolto in un clima di continua ricerca scientifica, di dubbi, di
interrogativi. L’esperienza carnale diviene protagonista nel bene e nel male
mentre assume valore secondario la disputa tra i limiti della psicoanalisi e
più “facili espedienti”, quali misticismi e oniriche credenze proposte a più
riprese da Jung/Fassbender. I tre studiosi, più o meno consapevolmente,
indirizzano la psicoanalisi verso un nuovo sentiero: un percorso mirabilmente
proposto da Cronenberg, indagatore come sempre.
Considerata la natura tutta della vicenda, si tratta di una storia che
non poteva sfuggire al regista canadese: definitosi personalmente un “filosofo
esistenzialista”, la sua speculazione cinematografica si è spinta verso tematiche
metafisiche, come testimonia la pellicola in questione. Al suo fianco, due
storici compagni. Peter Suchitzky, direttore della fotografia, fu notato dopo
la sua collaborazione con Lucas per la realizzazione de “L’Impero colpisce
ancora”: da quel momento il regista l’ha sempre voluto con sé. Howard Stone,
compositore canadese, ha raggiunto l’apice del successo realizzando le musiche
della trilogia de “il Signore degli Anelli”, aggiudicandosi ben due Oscar.
A vestire i panni dei due famosissimi psicoanalisti troviamo l’oramai
affermato Viggo Mortensen, anch’egli debitore nei confronti della riduzione
cinematografica dei romanzi di Tolkien, e il talentuoso Michael Fassbender,
approdato forse troppo tardi al Mondo del Cinema ma ancora in tempo per
lasciare il segno. La giovane Spielrein è, invece, interpretata da un’ottima
Keira Knightley: liberatasi definitivamente dell’ombra della” piratessa
Elizabeth Swan”, mostra un talento ormai maturo che gli permette di interpretare
il personaggio sia nei momenti di lucidità che nei momenti in cui è la nevrosi
a prendere il sopravvento. Secondario l’apporto di Vincent Cassel, utile alla
causa.
Ciò che abbiamo di fronte è un delicato affresco di vita vissuta.
Un’esplosione di retorica che non manca di rapire lo spettatore usufruendo solo
di dialoghi perfettamente sceneggiati e del giusto ritmo narrativo. Niente 3D,
nessuna sequenza action, solo qualità recitativa pura e semplice.
VOTO 7/10
Marco
Fiorillo
Pier Lorenzo
Pisano
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