Pellicola
ricca di richiami al noir (a partire dalla presentazione del titolo), ispirata
dal romanzo breve “Tarántula” di Thierry Jonquet, “La piel que habito” è il
18esimo lungometraggio diretto dal regista Pedro Almodòvar.
Il film si
alterna tra differenti suggestioni registiche e varia molto spesso ritmo. La sua
maggiore peculiarità è l’impossibilità di collocarlo in un genere ben definito,
poiché spazia dal thriller al drammatico, dalla fantascienza all’horror, a
costituire un unicum molto complesso ma omogeneo.
A volte i momenti del film si sostanziano di
silenzio e precisione, gesti precisi e simmetria, come le api. Altre volte
sullo schermo c’è una realtà drammatica e lacerante che non può non lasciare
scosso lo spettatore. Certe volte l’orrore non è nella violenza fisica, ma nei
meandri della mente umana.
Robert Ledgard
(A. Banderas) è un chirurgo e biologo di chiara fama, che ha sviluppato un tipo
di pelle estremamente resistente. Robert è un uomo cinico e determinato, ma
soprattutto un manipolatore; gioca con la natura e la assoggetta alle sue
regole, controlla tutto ciò che gli passa vicino, da un bonsai ad una giovane
donna, Vera (Elena Anaya, già celebre per i suoi ruoli controversi), che tiene
“prigioniera” per motivi sconosciuti insieme alla governante Marilia (Maria
Paredes).
Questa è la
situazione iniziale, dalla quale scaturiranno una cascata di colpi di scena, in
uno dei migliori twist-movie degli ultimi anni.
Il film trae
la sua forza dalla ricchezza delle sotto-trame, ma anche dalle azioni che si
verificano nel presente, tanto sconvolgenti quanto ciò che le ha precedute. Sicuramente
la pellicola ha un grosso debito nei confronti del romanzo anche se a nostro
parere alcune modifiche hanno evidenziato certi tratti in maniera ancora più
efficace.
Almodòvar crea
un nuovo complesso edipico, una nuova perversione, più moderna e più adatta ad
incarnare la sfrenatezza della società moderna. Un nuovo mito, che incarni
l’uomo del 2012, anno in cui è ambientata la vicenda.
Quanto
l’apparenza può davvero influire sulla psiche? E qual’è il limite all’orrore e
agli abissi nei quali può sprofondare la mente umana? Ed è peggiore il vuoto
interiore od esteriore? Una “marionetta” può assemblare altre marionette?
Questo è uno di
quei casi in cui il film non ci lascia una volta usciti dalla sala, anzi
ricorre nelle nostre riflessioni per la sua potenza. Finalmente un prodotto
recente che riesce a scuotere le coscienze intorpidite dai blockbuster.
Voto: 7/10
Pier Lorenzo Pisano
Marco Fiorillo
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