Gary Oldman: George Smiley
Colin Firth: Bill Haydon
Tom Hardy: Ricki Tarr
Mark Strong: Jim Prideaux
Ciaràn Hinds: Roy Bland
Benedict Cumberbatch: Peter Guillam
Toby Jones: Percy Alleline
John Hurt: Control
David Dencik: Toby Esterhase
Regia: Tomas Alfredson
Soggetto:
John le Carrè
Sceneggiatura:
Bridget O’Connor, Peter Straughan
Fotografia:
Hoyte van Hoytema
Musiche:
Alberto Iglesias
Scenografie:
Maria Djurkovic
Londra, 1973. L’agente Prideaux (Mark Strong), inviato a Budapest dal
capo del Circus Control (John Hurt), rimane ucciso durante l’operazione. Un
anno dopo il vertice del Circus è cambiato: Control e Smiley (Gary Oldman) sono
stati dimessi insieme a molti altri colleghi, in favore della nuova conduzione
di Alleline (Toby Jones), affiancato da Haydon (Colin Firth), Bland (Ciaràn
Hinds), ed Esterhase (David Dencik). Il nuovo organico dell’agenzia governativa
deve però fare i conti con la minaccia d’una spia all’intero
dell’organizzazione, la cui presenza potrebbe minare le attività della neo
“Compagnia delle Streghe” di Alleline e Co., alle prese con una
“collaborazione” con russi e statunitensi. Sulle tracce della presunta spia si
mette proprio Smiley, in tandem con Peter Guillam (Benedict Cumberbatch). I
sospettosi movimenti che si registrano presso l’abitazione del russo Polyakov,
il rientro in Britannia dell’agente Ricki Tarr (Tom Hardy) e le nuove
riguardanti la morte di Prideaux renderanno le acque più torbide per Smiley.
“Tinker, Taylor, Soldier, Spy” ,questo il titolo originale della
pellicola, è tratta dall’omonimo romanzo dell’inglese John le Carrè. Professore
al prestigioso Eaton College, funzionario del Foreign Office, consigliere
politico ed agente del Secret Intelligence Service, le Carrè ha trovato anche
il tempo di redigere una vasta collezione di romanzi di spionaggio, di cui “La
Talpa”occupa il filone più recente, responsabile della sua definitiva
consacrazione a scrittore. Si tratta della serie “ispirata” proprio alla sua
militanza nei servizi segreti britannici, interrotta da Kim Philby,
doppiogiochista del KGB che fece saltare le coperture di moltissimi agenti.
A raccogliere l’eredità cartacea di John le Carrè per farne celluloide
di estrema qualità, il regista svedese
Tomas Alfredson. Il risultato è una storia raccontata con impeccabile bravura e
vividezza, sia alle spalle dell’obiettivo che sul set. Il regista sceglie una
linea estremamente pulita ma non priva di talentuosissimi tecnicismi: alcune
scelte, come la lunga sequenza iniziale tutta musica e immagini e le svariate
soggettive irreali, hanno solamente impreziosito una direzione già ottima. Ciò
che costituisce il valore aggiunto è l’implicito romanticismo che fa da sfondo
alla vicenda: i lunghi silenzi di Smiley/Oldman, la scelta di non inquadrare
mai il volto della sua perduta compagna, la disperazione negli occhi di
Prideaux/Strong. Il tutto, riportando
con leggerezza e fedeltà il composto e
taciturno stile britannico: non è un caso che ogni membro del cast sia di
origini britanniche, eccetto lo svedese David Dencik.
La sottile sceneggiatura di Bridget O’Connor, cui Alfredson dedica la
pellicola, la fotografia d’autore di Von Hoytema e le musiche del compositore
spagnolo Alberto Iglesias ribadiscono solamente l’elevato standard qualitativo
del girato.
Discorso a parte lo merita il ricchissimo cast che da solo potrebbe
far inneggiare al capolavoro. Su tutti il talento sempreverde di Gary Oldman
che con poche parole e molta recitazioni riesce ad emozionare come pochi. Al
suo fianco, attori rodati come Colin Firth e Mark Strong, i giovani volti di
Tom Hardy, che cavalca nel migliore dei modi il successo riscosso con
l’interpretazione in “The Warrior”, e Benedict Cumberbath, noto ai più nelle
vesti di Sherlock Holmes nell’ultima versione seriale, e un padrino d’eccezione
come John Hurt. Probabilmente, si tratta del gruppo di caratteristi più
ricercati del Cinema moderno.
“Tomas è uno specialista dell’arte cinematografica, quella di poche
parole. Qualcuno dice qualcosa e qualcun altro muove la mano o il piede. È lo
sguardo tra due persone al posto di pagine di dialoghi. Quella è l’eloquenza di
cui abbiamo bisogno”. Alle parole di Colin Firth va aggiunto solo che siamo di
sicuro dinanzi ad uno dei film protagonisti dell’assegnazione dei prossimi
Oscar.
VOTO 8/10
Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano
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