Brad Pitt: Billy Beane
Jonah Hill: Peter Brand
Philip Seymour Hoffman: Art Howe
Robin Wright: Sharon
Chris Pratt: Scott Hatterberg
Kerris Dorsey: Casey Beane
Regia:
Bennet Miller
Soggetto:
Michael Lewis
Sceneggiatura:
Steven Zaillian, Aaron Sorkin
Fotografia:
Walter Wally Pfister
Montaggio:
Christopher Tellefsen
Effetti
Speciali: Robert Cole
Musiche:
Mychael Danna
Scenografie:
Jess Gonchor
Produzione:
Scott Rudin
1979. Billy Beane (Brad Pitt), già stella del baseball scolastico e
promettente talento del circuito professionistico, è chiamato a scegliere tra
la carriera sportiva e il proseguimento degli studi all’Università di Stanford.
2001. Molte partite dopo, Billy Beane, ormai General Manager degli
Oakland Athletics, si prepara ad affrontare una nuova stagione, dopo aver perso
i tre giocatori migliori. Con un budget da media classifica, decide di
affidarsi a Peter Brand (Jonah Hill), giovane economista della Yale e teorico
d’una nuova filosofia del baseball: costruire una squadra senza dar conto a
nomi e cartellini ma valutando solo gli standard di rendimento dei giocatori. Dopo
aver concesso metà della sua vita al baseball, Beane affronta l’ennesima sfida.
Dopo la riduzione su celluloide del suo “The Blind Side: Evolution of
a Game” nella quasi omonima pellicola del 2009 “The Blind Side”, il saggista e
giornalista statunitense Michael Lewis regala una nuova storia al Grande
Schermo, il suo ultimo romanzo “Moneyball: The Art of Winning an Unfair Game”.
Trasformato in “Moneyball” (questo il titolo originale) dal regista Bennet
Miller, quella che ci si para davanti ad una prima occhiata è la classica
storia sportiva americana, in cui a vincere sono gli sfavoriti, quelli con
tanto cuore e pochi soldi per intenderci. Niente di più sbagliato, dal momento
che “Moneyball” è prima di tutto la parabola di un uomo, Billy Beane. Sarebbe
meglio dire di tre uomini che hanno dedicato la propria vita al baseball: è la
storia di un giovanotto che vede nascere e morire il proprio sogno di successo,
che vede sfiorire col passare degli anni il proprio talento; è la storia di un
General Manager cinico e spocchioso, convinto e deciso a vincere ciò che il
campo non gli ha concesso; è la storia di un uomo che del baseball è ancora
innamorato, quello che festeggia in una palestra vuota, che scappa dallo stadio
perché convinto di non portar fortuna alla squadra, dell’uomo che riesce ancora
a dire “Difficile non fare i sentimentali col baseball”. È la storia di un uomo
che, ancora prima della sport, ha fatto della vittoria l’unica ragione della
propria vita.
Parlare di capolavoro sembra più che doveroso, considerate le sei
nominations agli Oscar, ricevute proprio la scorsa settimana.
Protagonista e perno del girato
Brad Pitt, ormai maturo e serioso, si lascia scrutare dalla cinepresa più
interiormente di quanto non abbia mai fatto: gli sguardi, i gesti e qualche
nuova ruga non fanno che esaltare un talento non più esclusivamente muscolare
ma più vicino al cuore. Gli fa da spalla Jonah Hill in un’inedita veste
seriosa: fa sfoggio di un’ottima interpretazione legandosi perfettamente al
senatore che affianca. Meno spazio viene concesso, invece, a Philip Seymour
Hoffman, “relegato” ad un ruolo marginale.
Al suo terzo lungometraggio Miller si affida agli ottimi sceneggiatori
Steven Zaillian e Aaron Sorkin, espertissimi nella riduzione cinematografica di
storie cartacee: vincitore dell’Oscar nel 1994 per “Schinder’s List”, il primo,
fresco di statuetta con “The Social Network”, il secondo. A completare il
ricchissimo entourage Wally Pfister,magistrale direttore della Fotografia, e
Christopher Tellefsen, addetto al Montaggio. Se le nominations a Miglior
Attore, Miglior Attore non Protagonista, Miglior Sceneggiatura non Originale,
Miglior Montaggio e Miglior Missaggio Sonoro sottolineano lo spessore tecnico
dei singoli, la candidature a Miglior Film ne consacra definitivamente la fattura
eccellente.
Se le vicende sportive mirano spesso al dramma, “Moneyball” emozione come poche.
VOTO 8/10
Marco
Fiorillo
Pier Lorenzo
Pisano
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