traduzione

martedì 24 aprile 2012

Il Punto del Weekend


Ben otto le nuove uscite che si registrano venerdì, per un concentrato di qualità e quantità distribuito durante tutto l’arco della settimana, a partire dal mercoledì. Vediamone insieme i protagonisti.

I PROTAGONISTI
La settimana cinematografica si apre nel peggiore dei modi, con l’uscita di “Street Dance II”. Per battere gli “Invincibili”, crew di street dancers che appunto non conosce rivali, ci vogliono i migliori ballerini di strada, raccolti in giro per l’Europa, e il connubio con la più estrema tradizione latina della danza. Cominciando le riprese con un finto flashback accompagnato dalla voce del protagonista, Max Giwa e Dania Pasquini attuano solo il primo degli scandalosi e paradossali espedienti del loro secondo episodio di “Street Dance”. Così ritroviamo la solita crew, la solita gara importantissima a cui manca poco tempo, la solita contaminazione di stili e di cuori. Senza un  briciolo di narrazione, caratterizzazione e reale rappresentazione artistica (il protagonista Falk Henteschel non è mai inquadrato interamente quando balla ma è sempre aiutato dal montaggio e dalla velocizzazione del girato!), ciò che rimane è solo il discreto utilizzo della tridimensionalità.
Segue, di giovedì, un’altra produzione statunitense, “George Harrison- Living in the material World”, film documentario diretto da Martin Scorsese che ripercorre la vita di George Harrison, dai primi anni a Liverpool al successo dei Beatles, ai viaggi in India. Nell’opera Scorsese si serve di filmati inediti, interviste e canzoni coi cui racconta cronologicamente la parabola di uno ei profeti della musica, fino alla sua dipartita da questo mondo. Lo stesso giovedì vede l’uscita della pellicola italiana “Male di Miele”. A seguito d’una delusione d’amore, la giovane Sara decide di raggiungere il peso ideale di 38 chili e si impegna giorno per giorno nel ferreo regime alimentare e sportivo e nella straziante operazione di facciata nei confronti dei genitori, in evidente crisi coniugale, e delle amiche, illuse dalla superficiale serenità ostentata da Sara. Né “pubblicità progresso” né pellicola adolescenziale, “Male di Miele” alza il tiro ad ampia il respiro, facendosi forte delle immagini del cinema per raccontare un disagio, fisico ed emotivo, declinato al giovanile ma possibile ad ogni età. Quello di Marco Pozzi diventa un racconto dalla duplice anima, il puro e sconfinato universo della giovane Sara, e la stretta gabbia in cui l’attanaglia l’anoressia.
I riflettori del venerdì sono tutti puntati su “To Rome with Love”, l’ultima fatica di Woody Allen. Nella capitale si ritrovano senza volerlo tutti i protagonisti della pellicola. Il giovane architetto americano Jack, innamoratosi di Monica e aiutato dai consigli di John; Jerry e Phyllis, coniugi produttori discografici, che arrivano il Italia per lavorare con una cantante d’opera; Leopoldo, investito fatalmente da una fama illusoria; Antonio, invaghitosi della bellissima Anna e sposato con l’adulterina Milly. Dirige ed interpreta ancora una volta ma la brillantezza (tecnica, attoriale e di scrittura) che l’ha contraddistinto sembra cominciare a sbiadire con l’avanzare dell’età. Woody Allen fa di tutto per il suo ultimo lungometraggio: riunisce un cast d’eccezione, consumando finalmente il tandem con la sua controparte italiana Roberto Benigni; ritorna in Italia, a Roma, richiamando alla memoria il miglior cinema d’annata. Neppure in questa chiave trova validità la stanchezza che contraddistingue tutto il girato.
Dagli USA arriva ancora una pellicola. “Una spia non basta” vede gli amici e colleghi della CIA Franklin e Tuck contendersi la bella Luren a colpi di missioni segrete e videocamere nascoste. Poco da dire della spy-comedy messa in piedi da Mc G: buona la parte comedy, molto meno la parte spy, lasciata in balia del caso e dell’arrangiamento. A poco servono le buone scene d’azione e la performance, tutto sommato interessante, del trio protagonista, composta da Matt Hardy, Chris Pine e Reese Witherspone.
Altra produzione nostrana del finesettimana è “Sandrine sotto la pioggia”. Il protagonista della vicenda è l’agente di polizia Leonardo che, nello sventare una rapina in banca, uccide malauguratamente la giovane Martine. Distrutto dai sensi di colpa, decide di ritirarsi dalla strada in favore del lavoro d’ufficio. La tranquilla esistenza scelta da Leonardo viene, però, turbata da Sandrine, femme fatale di cui il poliziotto s’innamora, ignorando il segreto che si porta dentro. Diviso tra il noir ed il drammatico, “Sandrine sotto la pioggia” diventa la declinazione sbiadita d’entrambi i generi, sfociando nel racconto della semplice tensione sessuale tra i protagonisti.
Dalla multietnica collaborazione tra Francia, Algeria ed Italia nasce, invece, “Il Primo Uomo”, in cui lo scrittore algerino Jean Cormery fa ritorno nella terra natia poco prima degli anni ’60, per perorare la causa d’unione razziale pacifica ed equilibrata che scoprirà così difficile da far valere. Così, approfitterà per riabbracciare la madre e ripercorrere la travagliata giovinezza algerina. Adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Alberto Camus, di cui Cormery è l’ater ego narrativo, “Il Primo Uomo” non ha niente da invidiare alla carta stampata. Una riduzione fedele e ben congegnata, diretta e scritta sapientemente e con profonda partecipazione emotiva, cui si aggiungono l’ottima fotografia di Yves Cape e la prova attoriale di un intero cast in stato di grazia, su tutti Jacques Gamblin, perfetto nei panni di Cormery.
Ducis in fundo, “Leafie” la storia d’una gallina, Leafie appunto, che riesce a realizzare il proprio sogno, scappare dal pollaio. Ad attenderla, però, c’è la libertà d’un mondo spietato, in cui la prima vittima che incontra è il piccolo Greenie, un anatroccolo rimasto orfano a causa della donnola One-Eye: Leafie decide di allevare Greenie come un proprio cucciolo. Dalla Korea del Sud arriva un esperimento veramente ben riuscito: Seong-Yun Oh riesce ad unire l’intricata precisione grafica della Pixar ai racconti Disney più lontani nel tempo, miscelando il tutto nel pentolone della cultura orientale. A doppia superbia, doppio onore!

LE SORPRESE
Dispiace dover registrare la sorprendente caduta di Allan Stewart Konigsberg, al secolo Woody Allen. Pareva essersi liberato dell’ascendente negativo degli ultimi anni con il capolavoro “Midnight in Paris”, ma il comico più famoso della nostra epoca ci ricasca di nuovo con “To Rome with Love”. Ma a uno come Woody è concesso questo ed altro.

I FLOP E I TOP
Ricca la quantità, ricco anche il novero dei cattivi del fine settimana:
3°.    Ultimo del podio Jospeh Mc Ginty Nichol. Mc G, come preferisce essere chiamato, continua a dividersi tra la fotografia, la musica, la tv, la pubblicità ed il cinema: se qualcosa gli riesce meno, pazienza.
2°.    Secondo dei peggiori, l’italiano Tonino Zangardi. Il regista de “Sandrine della pioggia” utilizza un soggetto tutto sommato sufficiente, anche se trito e ritrito, distruggendo tutto quello che di buono portava con se.
1°.    Primi sul podio, Max Giwa e Dania Pasquini. Riprendono “Street Dance” dove l’avevano lasciato, firmandone il secondo episodio con la stessa svogliatezza e riluttanza tecnica: certo il genere aiuta poco ma qui si è alla frutta.
Ora appuntiamo le coccarde:
3°.    Terzo posto per Benedetta Gargari. La giovanissima classe 1995, da ancora una volta prova del suo talento, notato già nel 2003 e poi quattro anni dopo da Ferzan Ozpetek, che la scelse per “La finestra di fronte” e “Saturno contro”.
2°.    Medaglia d’argento per Seong-Yun Oh. Il regista mette in “Leafie” lo spirito onirico di Miyazaki e gli anni di sviluppo tecnico e concettuale della Walt Disney, dimostrando come il mercato koreano possa dire la propria in materia di animazione di qualità.
1°.    Il migliore del weekend è Gianni Amelio. Da vita ad una delle migliori riduzioni su pellicola degli ultimi anni, un lungometraggio di spessore emotivo, culturale e civile.

BOX OFFICE
Guadagna la testa delle classifiche “To Rome with Love”, segno dell’inestinguibile ammirazione dell’Italia per Woody Allen. A seguire “Battleship”, a quota 3.5 milioni di euro, e “Titanic”, ormai vicino agli 8 milioni d’incasso. Unica new entry degna di nota è “Street Dance II”, che porta a casa circa mezzo milione di euro.

Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano 

Una spia non basta (2012)

Tom Hardy: Tuck Henson
Chris Pine: Franklin “FDR” Foster
Reese Witherspoon: Laureen Scott
Chelsea Handler: Trish
Til Schweiser: Heinrich
Rosemary Harris: Nonna Foster

Regia: Joseph Mc Ginty Nichol
Soggetto: Timothy Dowling, Marcus Gautesen
Sceneggiatura: Timothy Dowling, Simon Kinberg
Fotografia: Russel Carpenter


Fdr e Tuck, amici per la pelle e colleghi della CIA. Sfrontato, egocentrico e vincente di natura il primo, riservato, introverso e responsabile il secondo. Accidentalmente conoscono la stessa ragazza, Laureen, e decidono d’ingaggiare una gara di conquista, mettendo in gioco tutti se stessi e le risorse dell’Intelligence.

La classica commedia romantica all’americana trova, finalmente, una nuova cornice. Così i due amici che cercano di conquistare la stessa ragazza mettendo a repentaglio il duraturo legame, diventano due agenti operativi pronti ad usare ogni “mezzo speciale”, dalle videocamere nascoste alle specifiche abilità tattiche personali. Menzogne e testosterone si mescolano in un cocktail apparentemente ben congegnato che declina i cliché di genere in maniera innovativa. Per una volta l’inseguimento del russo di turno passa in secondo piano ma, come sempre, il lieto fine è per tutti.
Ciò che manca, ed è questa mancanza a mettere criticamente in cattiva luce tutto il girato, è la veridicità della parte spy, fin troppo arrangiata e lasciata in pasto ai dubbi degli spettatori (anche i meno attenti), seppur controbilanciata da un discreto impatto narrativo e dall’ottima realizzazione delle scene  action, in cui è evidente la mano di Russel Carpenter, il direttore della fotografia vincitore dell’Oscar per “Titanic”.
Le idee c’erano, come conferma lo stesso Chris Pine: “Quello che mi piaceva era che Mc G ha messo tutte queste cose in una pentola e l’ultima cosa simile che ho visto era “Mr e Mrs. Smith”. E ho pensato forse a “True Life”. Ma aveva quel tocco di Mc G e lui fa, se c’è una cosa che Mc G sa fare veramente è un film popolare”. Peccato per il risultato finale.

Vertici del triangolo protagonista Tom Hardy, Chris Pine e Reese Witherspoon. Inglese di Hammersmith, nei pressi di Londra, Hardy deve la sua recentissima esposizione mediatica all’interpretazione del nerboruto lottatore di “Warrior” e all’annunciata partecipazione all’ultimo capitolo del “Batman” di Nolan, nei panni del cattivissimo Bane: non male per uno che ama definirsi “un tipo da pipa e pantofole”. Americanissimo d’aspetto e parola e, invece, Chris Pine che debuttò nel 2003, prendendo parte a serie come “E.R.” e “CSI: Miami”. Da lì, è stata in discesa la strada verso il successo da belloccio tutto commedia romantica e action movie: ad attenderlo il secondo capitolo dello “Star Trek” firmato J. J. Abrams. Nel mezzo Reese Witherspoon, la bella bionda di origini tedesche già modella a sette anni ed esordiente sul Grande Schermo nel 1991, con “L’Uomo della Luna”. A condurre il trio, Joseph Mc Ginty Nichol (in arte Mc G): si laurea in psicologia ma lavora come fotografo artistico, comincia a realizzare videoclip e fonda la famosa casa produttiva musicale G Recordings per poi passare alla realizzazione di documentari e spot pubblicitari e al finanziamento di serie tv. Solo nel 2000 il primo famosissimo lungometraggio, quel “Charlie’s Angeles” tanto odiato dalla critica quanto amato dal pubblico. Un artista a tutto tondo molto più attento alla sperimentazione che alla resa qualitativa, come dimostra l’ecletticità generica del suo ultimo “Una spia non basta”.

VOTO 5/10
Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano