traduzione

sabato 17 dicembre 2011

Il Gatto con gli Stivali (2011)






Regia: Chris Miller
Soggetto: David Steinberg, Jon Zack
Sceneggiatura: Brian Lynch, Tom Wheeler

Dopo sette anni di peripezie, il Gatto con gli Stivali, ritrova Humpty, amico fraterno da cui si era allontanato quando lo aveva costretto con l’inganno a compiere una rapina. Nonostante i dissapori passati i due decidono di fare nuovamente squadra, insieme alla gattina Kitty Zampe di Velluto, per realizzare il sogno d’infanzia: trovare i fagioli magici e raggiungere il Castello che custodisce l’Oca dalle uova d’oro.

Un po’ Danny Ocean, un po’ “C’era una volta in Messico”, un po’ Zorro, Il Gatto con gli Stivali viene presentato come un donnaiolo spaccone veloce di spada e di mano. Un’inedita versione del personaggio fiabesco creato generazioni or sono, che rientra in quel progetto di rivisitazione tanto appoggiato dall’animazione moderna, e di cui è stato partecipe proprio Chris Miller, approdato alla regia de “Il Gatto con gli Stivali” dopo aver diretto tre episodi di “Shrek” e due di “Madagascar”. Nonostante il buon utilizzo di canovacci passati (“Jack e il fagiolo magico”) e di recenti suggestioni (le simpatiche citazioni di “Fight Club” e “Prison Break”), è proprio questa costante voglia di rivisitare e stupire che sembra aver fatto il suo corso in casa DreamWorks. Di sicuro, il lavoro di Miller e la caratterizzazione del personaggio, amplificata dal doppiaggio di Banderas (il quale, oltre la versione spagnola, ha doppiato anche quella inglese e italiana), permettono la realizzazione di un prodotto godibile e divertente, seppur scontato per narrazione e trovate.

VOTO 6/10
Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano  









Le Idi di Marzo (2011)

Ryan Gosling: Stephen Myers
George Clooney: Mike Morris
Evan Rachel Wood: Molly Stearn
Marisa Tomei: Ida Horowicz
Paul Giamatti: Tom Duffy
Philip Seymour Hoffman: Paul Harden
Jeffrey Wright: Senatore Thompson

Regia: George Clooney
Soggetto: Beau Willimon
Sceneggiatura: George Clooney, Grant Heslov
Fotografia: Phedon Papamichael
Musiche: Alexandre Desplat
Scenografie: Sharon Seymour
Produttore Esecutivo: Leonardo di Caprio

 Siamo alla vigilia delle primarie in Ohio, tappa fondamentale per la corsa alla presidenza americana in cui si scontrano il Senatore Pullman e il Governatore Morris (George Clooney). La campagna del governatore è guidata dal veterano Paul (Philip Seymour Hoffman) e dal suo allievo, l’ambizioso e brillante Stephen (Ryan Gosling). La purezza di ideali e sentimenti del giovane Stephen verranno messa a dura prova quando Tom Duffy (Paul Giamatti), uomo di fiducia di Pullman, gli chiederà di cambiare schieramento, preannunciando la sconfitta in Ohio di Morris. A ciò si aggiungerà l’inaspettata telefonata ricevuta da Molly (Evan Rachel Wood), stagista ed amante di Stephen. Tutto il mondo del giovane sta per mostrare il suo vero volto, a Stephen la scelta di adattarsi al cambiamento.

Prendendo le mosse dalla pièce teatrale di Beau Willimon, George Clooney porta in scena il suo quarto lungometraggio, una pellicola magistrale ed intensa. Nell’ “Era Obama”, quando sembra che tutta la cattiva politica sia stata definitivamente osteggiata, Clooney squarcia nuovamente il velo, gettando un occhio su meccanismi che Bruce Willis definirebbe duri a morire. “Le Idi di Marzo” colpisce con forza il Mondo della Politica, senza risparmiarne nessun protagonista: il politico perbene che cerca di nascondere i suoi peccatucci, il giovane idealista costretto a cambiare, gli assistenti manipolatori e corrotti, gli arrivisti bastardi e ricattatori, i media in cerca di scoop e scandali. È una critica intelligente ed arguta condensata nella parabola di Stephen/Gosling, una corsa verso un lieto fine che di lieto conserva poco: il giovane ottiene ciò che vuole ma il prezzo da pagare è la propria anima. L’impeccabile tecnica registica di Clooney e l’arguta e tagliente sceneggiatura di Heslov diventano strumenti perfetti per raccontare questa storia affascinante e potente. Se poi vi aggiungiamo la fotografia di Papamichael e le musiche di Despalt, anche ciò che poteva rimanere implicito restituisce l’anima del girato.

Discorso a parte va fatto per il ricchissimo cast messo insieme da Clooney. Protagonista assoluto è il talentuoso Ryan Gosling: entrato da poco nell’Olimpo Hollywoodiano, ricordare le sue primissime apparizioni in “Mickey Mouse Club” e “Young Hercules” danno prova della sua incredibile scalata. Al suo fianco, oltre lo stesso Clooney nei panni del Governatore, due caratteristi d’eccezioni come Paul Giamatti e Philip Seymour Hoffman, la giovane Evan Rachel Wood, scoperta alcuni anni or sono da Ron Howard, cui si aggiunge un’ottima Marisa Tomei.
Quando nel 44 a. C. veniva ucciso il tiranno Cesare, la violenza era l’unico verbo della politica. Nel 2011, di quella politica sanguigna esiste solo un vago ricordo: ora il proprio avversario va avvicinato con ricatti e con menzogne, con cui si dovrà convivere per tutta la vita. È questa la realtà magnificamente denunciata da “Le Idi di Marzo”.

VOTO 8/10
Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano  


Sherlock Holmes- Gioco di Ombre (2011)



Sherlock Holmes - Gioco di ombre
Titolo originale: Sherlock Holmes: A Game of Shadows
USA: 2011. Regia di: Guy Ritchie Genere: Azione Durata: 129'
Interpreti: Robert Downey Jr., Jude Law, Rachel McAdams, Kelly Reilly, Eddie Marsan, Geraldine James, Gilles Lellouche, William Houston, Affif Ben Badra, Jared Harris, Stephen Fry, Noomi Rapacen
Sito web ufficiale: www.sherlockholmes2.co.uk
Sito web italiano:
Nelle sale dal: 16/12/2011
Voto: 7,5
Trailer
Recensione di: Francesca Caruso
L'aggettivo ideale: Trascinante
Scarica il Pressbook del film
Sherlock Holmes - Gioco di ombre su Facebook

Il leggendario detective, scaturito dalla penna di Sir Arthur Conan Doyle, torna nuovamente sul grande schermo con il sequel “Sherlock Holmes – Gioco di ombre” in un’avventura molto più impegnativa e pericolosa della precedente.
Guy Ritchie dirige Robert Downey Jr, Jude Law e un nutrito cast che si sposa perfettamente con i vari personaggi, su una sceneggiatura dei coniugi Michele e Kieran Mulroney.

Sherlock Holmes è intenzionato a scovare e fermare il professor Moriarty, dimenticandosi completamente dell’imminente matrimonio del Dr. Watson. Holmes, anche questa volta, riesce a coinvolgerlo nelle sue indagini, che porteranno i due amici a svelare un complotto atto a creare disordini inimmaginabili. In questa nuova avventura fanno la loro comparsa alcuni personaggi che i lettori dei racconti originali di Conan Doyle conoscono bene.
Il professor Moriarty è il genio del male con il quale si scontrerà il nostro detective.
Entrambi nutrono sincera stima per l’intelletto dell’altro, sempre impegnati a neutralizzare le mosse dell’avversario.
Poi c’è Mycroft Holmes, fratello maggiore di Sherlock, dotato come lui, ma più pigro. Se nel primo episodio si è dato più spazio e tempo ad esplorare i due personaggi principali, qui si approfondisce meglio la loro amicizia e si dà ampio spazio all’azione, fatta di combattimenti corpo a corpo, rincorse contro il tempo, esplosioni e tanta ironia, servita ad hoc per rendere la storia entusiasmante.
I travestimenti di Holmes abbondano e sono uno più spiritoso dell’altro. L’intento del regista e della produzione è stato quello di creare “un giallo che alzasse la posta in gioco per Holmes”. Holmes e Watson sono spinti agli estremi, mettendo alla prova la loro amicizia. Quella venutasi a creare tra i due è un legame fraterno.
Per il detective Watson è l’unico vero amico che abbia mai avuto e Ritchie ha mantenuto lo spirito con cui Conan Doyle aveva descritto il loro rapporto nei suoi racconti.

La storia è ambientata a fine ottocento, periodo in cui si iniziavano a profilare grandi cambiamenti e sconvolgimenti mondiali.
Il regista è riuscito ad amalgamare bene le diverse situazioni, rendendo credibili le manovre sovversive di Moriarty.
Per quanto riguarda la figura di Sherlock Holmes e il suo modo di indagare è certamente diverso dai racconti originali.
Ritchie ha tolto quell’aspetto datato per fare conoscere alle nuove generazioni peculiarità diverse: ha recuperato la destrezza fisica del personaggio, ha optato per abiti molto comodi eliminando il mantello e la pipa ricurva, mantenendo l’ironia e l’aspetto ludico. Una delle sequenze più divertenti e trascinanti del film è quella in cui Holmes si deve spostare a cavallo, suo punto debole, e opta per un pony. Robert Downey Jr. è stato abile nell’alternare il serio dal faceto del suo personaggio. Il suo Sherlock Holmes è irresistibile sotto ogni punto di vista.

Per ciò che riguarda l’aspetto tecnico il lavoro fatto è notevole. Il direttore della fotografia Philippe Rousselot è riuscito egregiamente a conferire un’atmosfera diversa in ogni situazione in cui i nostri si vengono a trovare.
Quella descritta è una Londra misteriosa, dall’atmosfera rarefatta, senza dimenticare la villa lussuosa sulle Alpi Svizzere, ricoperta dalla neve e con una posizione a strapiombo, che conferisce fin dalla prima immagine una sensazione di pericolo, oltre che di spettacolare bellezza.
La colonna sonora è un altro aspetto predominante del film. Le musiche curate dal veterano Hans Zimmer (con una carriera trentennale alle spalle) hanno echi internazionali: da quelli che richiamano la cultura gitana alla musica classica.
Non vi è dubbio che lo Sherlock Holmes ideato da Guy Richie e da Robert Downey Jr (che ci ha messo del suo) è sicuramente unico, stravagante e pungente quanto basta. È ricco di fascino e divertente, e saprà appassionare.

giovedì 15 dicembre 2011

Dillinger è morto (1969)
















Un film praticamente muto, ma non in bianco e nero.
No perché i colori svolgono invece un ruolo importante, possono far cambiare il significato di un oggetto, ridicolizzarlo o renderlo più nostro e familiare, i colori possono rendere gli oggetti che ci circondando tutti i giorni altri da noi, alienandoci completamente.

Ed è infatti sul gioco tra significanti e significato che si basa quest'opera, perché ogni gesto può essere rielaborato: Glauco(Michel Piccoli) si diverte a giocare con le forme e destabilizzarle, creando in noi una sensazione di non piena comprensione, vive ogni suo gesto, ci spiazza sempre, non lascia mai una chiave interpretativa precisa, ogni volta che sembra siamo riusciti ad afferrare la sua essenza ecco che ci sfugge.

Ferreri tra le due alternative proposte da Hitchcock, “sopresa” e “suspance”, sceglie la prima, ma il lavoro per creare la sorpresa è stupendo. Girato quasi praticamente solo in interni ad accrescere la dimensione teatrale già fortissima, stiamo parlando di un lavoro che potrebbe essere definito “teatro filmato” per la pulizia dei gesti, il tipo di messaggio inviato, il ritmo, la telecamera che segue quasi incessantemente il volto del protagonista.

Siamo di fronte ad un capolavoro, un tipo di cinema che ad oggi è praticamente scomparso, perché si preferisce la chiarezza dei significati, alla indefinitezza. Ma l’indefinitezza è propria dell’arte, che deve sempre lasciare un interrogativo nello spettatore, deve stupirlo, specchiarlo e poi rovesciarlo e mostrargli cosa ha dentro di sé.

Nella ordinaria piccola follia di Glauco tutti possono riconoscersi in qualcosa, ma attenzione: non è un film schematico. Infrange le regole del cinema tradizionale; qui non riconoscersi in Glauco è proprio quel “disturbo” che ci crea un costante interesse e ci fa entrare ed uscire dal personaggio grazie alla maestria di Ferrerri, ed il climax della tensione è dato da piccoli movimenti, uno sguardo particolare, un suono, e non culmina, ma implode improvvisamente.

Un piccolo tesoro oggi poco conosciuto e che meriterebbe moltissima attenzione ed ammirazione.

VOTO 8/10
Pier lorenzo Pisano
Marco Fiorillo

martedì 13 dicembre 2011

True Justice- Giustizia Letale (2011)


Steven Seagal: Elijah Kane
William Stewart: Andre Mason
Sarah Lind: Sarah
Meghan Ory: Juliet
Warren Christie: Radner
Tia Carrese: Avvocato
Regia: Wayne Rose, Keoni Waxman, Lauro Chartrand
Sceneggiatura: Steven Seagal
Fotografia: Nathan Wilson
Musiche: Carly Paradise7
Scenografie: Andrew Deskin
Montaggio: Trevor Mirosh

Alla vigilia delle elezioni della municipalità di Seattle, il candidato afroamericano Burris è vittima di un attentato: i principali indiziati individuati dalla SIU di Kane (Steven Seagal) sono i membri di una sorta di comune nazista, la “Nuova Speranza”, che militano poco fuori Camp Harmony. Radner (Warren Christie), di ritorno dalla missione in incognito a Los Angeles, si arma di brutto carattere, stivaloni in pelle e tatuaggi e si mischia ai membri di Nuova Speranza per scoprire di più sul loro conto. Intanto, Juliet (Meghan Ory), durante la parallela indagine ai danni di uno stupratore, si lascia travolgere dagli eventi memore di un’esperienza che l’ha segnata.
Nella seconda parte della pellicola, la SIU al completo si troverà sulle tracce di un particolare omicida: un tiratore scelto che opera solo all’uscita delle Chiese. Kane e i suoi ragazzi potranno avvalersi del consulto tecnico di Bird, ex- soldato amico proprio di Kane. E c’è ancora tempo per vedere cadere le accuse di omicidio mosse contro Juliet e assistere alla verbalizzazione di un’attrazione tra Radner e Sarah (Sarah Lind) che già era nell’aria.
Per questo terzo episodio, i tre registi Rose, Waxman e Chartrand danno finalmente prova di una buona conduzione, coadiuvati anche da prove corali più interessanti, considerati i maggiori spunti “emotivi” delle vicende: in particolare Radner/Christie con le difficoltà dell’infiltrato che ritorna alla propria vita e Juliet/Ory alle prese con cattivi ricordi mai condivisi con qualcuno. Se l’operato davanti e dietro le telecamere sembra essere all’altezza, purtroppo non può dirsi lo stesso della sceneggiatura di Seagal: nonostante qualche spunto interessante seppur trito e ritrito (si fa riferimento alle sopracitate vicende emotive), la scelta dell’imperante patriottismo articolato in immagini e dialoghi rovina il resto del lavoro svolto da cast e troupe. Inoltre, mai come negli episodi precedenti, si è avvertita come nell’ultimo “Giustizia Letale” l’inadeguatezza di sostituire i film alle puntate, che sicuramente avrebbero dato maggior senso narrativo e temporale a molte delle idee messe in scena da Seagal e co.
Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano

Il punto del weekend

Si ferma per un fine settimana la corsa al Natale cinematografico, con sei pellicole che parlano di tutto tranne che delle imminenti festività. Si aggiunge alle uscite del secondo venerdì di Dicembre, il concerto/documentario di Luciano Ligabue, resoconto dell’evento musicale del 16 Luglio che, francamente, ha veramente poco a che fare con celluloide e macchina da presa.

I PROTAGONISTI

Anticipa i film del venerdì la produzione turco-tedesca “Almanya”, nelle sale da mercoledì. La pellicola racconta delle tre generazioni che costituiscono la famiglia Yilmaz, immigrata in Germania alla fine degli anni ’50 ed di ritorno nella natia Turchia, per riscoprire un’identità persa nel corso degli anni di permanenza in terra straniera. “Almanya” si iscrive perfettamente nel modernissimo filone della “commedia d’integrazione”, raccontando con leggera intensità l’esperienza dell’immigrazione, con le sue privazioni, le sue malinconie, le sue scoperte.

Dagli States arrivano le solite commedie della settimana. “Cambio vita” racconta dei due amici Mitch e Dave: burlone e attore pornografico il primo, rampante avvocato e padre di famiglia il secondo. Stanchi delle rispettive vite, riescono a scambiarsi reciprocamente le identità, solo per scoprire che quello che avevano e tutto quello che vogliono. Proseguendo uno dei classici filoni della commedia d’oltreoceano, lo scambio di personalità, Dobkin, seppur tenti di animare il girato con un finale a sorpresa, rimane ancorato a cliché tematici e registici che non fanno decollare la pellicola. “Win Win- Mosse Vincenti” narra, invece, di Mike, avvocato del New Jersey, costretto a truffare uno dei suoi anziani clienti, Leo Poplar, per portare lo stipendio a casa. Mike, però, dovrà fare i conti con il sedicenne nipote di Leo, Kyle, che accoglierà nella sua casa, nella sua squadra di lotta e nel suo cuore. Se pareva che Thomas McCarthy avesse messo in piedi la solita storia di confronto giovani- adulti intrisa di vicenda sportiva, le aspettative di monotona ripetitività sono traditi positivamente da una storia raccontata con vivido realismo e resa con estrema qualità dal cast, su tutti la coppia protagonista costituita da Paul Giamatti e dall’esordiente Alex Shaffer.

La produzione più attesa e discussa di questo weekend proviene dalla Francia: si tratta di “The Artist”, la pellicola muta realizzata completamente in bianco e nero diretta da Michel Hazanavicius. La produzione nasce dall’impellente necessità di riscoprire il cinema delle origini, quel cinema di qualità non più protagonista nell’era dell’apparenza grafica e del vuoto narrativo: Hazanavicius riscopre l’Hollywood senza parola e senza colore riunendone tutte le anime, da Orson Wells a Billy Wilder, da Lubitsch a Eleonor Powell.

Sempre dall’America, più in particolare dall’Argentina, arriva “Enter the Void”. Si tratta della storia di Oscar, narcotrafficante statunitense di stanza a Tokyo, assassinato dalla polizia ma incapace di lasciare il mondo dei vivi per il legame che ha con la sorella Linda. Più che di un film vero e proprio, “Enter the Void” rappresenta più un’esperienza viva, cui lo spettatore è chiamato a partecipare dal regista Gaspar Noè: sfruttando un lungo piano sequenza, Noè permette la piena immedesimazione in Oscar, in un trip di sostanze, prima, in un viaggio onirico, poi.

In ultimo, l’italiano “Bloodline”, racconta di Sandra e Marco due giornalisti chiamati a fare un servizio sul set di un film pornografico dopo un lavoro andato male: tutto normale se non fosse che nella casa che ospita il porno, quindici anni prima, la sorella di Sandra venne assassinata. L’omicida sembra ancora in attività all’arrivo della giornalista. “Bloodline” si perde nel fitto sottobosco di produzioni horror italiane mai apparse nelle sale ma preda ambita degli appassionati del genere che ne fruiscono, soprattutto all’estero, via etere e mediante l’home cinema. Fa piacere che tra queste produzioni possa emergerne una, quella di Edo Tagliavani appunto, che sfrutta appieno le varie anime del genere (non a caso il suo sceneggiatore è il nipponico Taiyo Yamanuchi), legate da una discreta conduzione registica. Niente di nuovo ne di eccezionale ma “Bloodline” si merita, comunque, l’onore delle sale.

LE SORPRESE

Sorprendono assai positivamente le sorelle Samdereli, Yasemin e Nesrins, rispettivamente regista e sceneggiatrice di “Almanya”, loro opera prima. Le due sorelle, turche immigrate in Germania in tenera età, raggiungono la produzione cinematografica dal bisogno di dare forma alla propria personalissima esperienza: è proprio questa partecipazione così carica ad animare la pellicola, avvolgendola di familiarità ed emotiva intensità

Accanto alle Samdereli, merita una menziona il giovanissimo Alex Shaffer, co-protagonista di “Win Win” al fianco di Paul Giamatti. Nonostante il suo personaggio sia molto silenzioso, a Shaffer va riconosciuta l’abilità di renderlo particolarmente espressivo, una dote che di certo tornerà utile al novello interprete negli anni a seguire.

I FLOP E I TOP

Veniamo alle note dolenti del fine settimana:

3°. Una ramanzina va fatta a Edo Tagliavini. Nonostante il suo “Bloodline” si sia aggiudicata la proiezione cinematografica, non si tratta sicuramente di una pellicola che brilli per originalità e conduzione registica. Niente è totalmente deprecabile e “Bloodline” diventa l’espressione della mediocrità.

2°. Al secondo gradino Gaspar Noè. Ossessionato dall’idea di stupire, il regista esagera trasformando il suo “Enter the Void” in una pura e narcisistica espressione di stile e tecnica.

1°. Si aggiudica il titolo di peggiore del weekend David Dobkin. Il regista di “Cambio Vita” per buona metà del film illude la platea, suggerendo un finale tutto nuovo per un format visto e rivisto: nonostante le premesse d’innovazione Dobkin non riesce a portare a compimento ciò che aveva preannunciato, annoiando e invertendo con troppa macchinosità la propria pellicola.

Dopo tanto criticare, premiamo i migliori:

3°. Medaglia di bronzo a Paul Giamatti. Dopo la lunga gavetta da co- protagonista troppo spesso posto in secondo piano, l’interprete a saputo aggiudicarsi le scene avanzate a suon di ottime interpretazioni, da ultimo quella di “Win Win”.

2°. Secondo posto a Jean Dujardin. Affiancato in “The Artist” dalla splendida Berenice Bejo, Dujardin fa sfoggio del suo enorme talento, trasformando la difficoltà del film muto in un’interpretazione d’autore. Il risultato: il Premio alla Miglior Interpretazione Maschile al Festival di Cannes.

1°. Ancora da “The Artist”, il migliore della settimana, Michel Hazanavicius. Regista francese dal cuore di celluloide, idea e costruisce una pellicola straordinarae per originalità e realizzazione. Perfetto dietro e davanti le telecamere, “The Artist” sarà sicuramente uno dei film protagonisti dei prossimi Oscar.

BOX OFFICE

Nonostante le già espresse riserve circa la sua affiliazione al campo della cinematografia, “Ligabue- Campo Volo” si aggiudica, comunque, 722.00.€. Continua l’ascesa ai botteghini di “Midnight in Paris” che raggiunge quota 3.793.430€, contro i 2.393.785€ di “Cambio Vita”, la più remunerativa delle ultime uscite. Mentre continuano ad accumulare milioni e critiche negative i vampiri di Twilight, ci prepariamo a vivere l’ultimo weekend che precede il Natale. Appuntamento a lunedì prossimo

Marco Fiorillo

Pier Lorenzo Pisano