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martedì 3 maggio 2011

Thor (2011)

Anthony Hopkins: Odino

Chris Hemsworth: Thor

Tom Hiddleston: Loki

Natalie Portman: Jane Foster

Stellan Skarrsgard: Prof. Eric Selvig

Kat Dennings: Darcy Lewis

Clark Gregg: Agente Phil Coulson

Jeremy Renner: Clint Barton

Samuel L: Jackson: Nick Fury

Colm Feore: Laufey

Rene Russo: Frigga

Regia: Kenneth Branagh

Soggetto: J. Michael Straczynski, Mark Protosevich, Marvel

Sceneggiatura: Ashley Miller, Zack Stentz, Don Payne

Fotografia: Haris Zambarloukos

Musiche: Patrick Doyle

Scenografie: Bo Welch

Costumi: Alexandra Byrne


Di padre in figlio una leggenda vive nel tempo, nei cuori delle genti del freddo. Per non dimenticarla, lo storico islandese Snorri Sturluson la mette per iscritto nell’Edda, nel 1220. Per renderla magia Stan Lee la traspone sulle chine che hanno appassionato milioni di lettori. Per darla ai “nostri figli”, l’industria del grande schermo gli dona il 3D.

Secoli or sono, il Re degli Dei, Odino (Anthony Hopkins), difese la pace e l’armonia dei Nove Mondi dalla minaccia dei Giganti del Ghiaccio: in una battaglia campale su Midgard (la Terra), Odino costrinse alla resa Laufey (Colm Feore), sovrano di Jotunheim, convinto di averne placato gli ardori di conquista. Purtroppo, però, anche il re di Asgard può sbagliarsi: al momento dell’incoronazione del primogenito Thor (Chris Hemsworth), preferito da Odino al suo secondo figlio Loki (Tom Hiddleston), alcuni Giganti del Ghiaccio riescono ad infiltrarsi nel reame degli Dei, interrompendo la cerimonia. Il belligerante e arrogante Thor, ad un passo dal succedere l’ormai venerando padre, si lancia all’attacco dei nemici, nonostante l’opposizione di Odino stesso. Lascia Asgard per raggiungere Jotunheim, attraverso il ponte dell’arcobaleno, il Bifrost: oltraggiato dal comportamento del figlio, Odino lo spoglia dei suoi divini poteri e della magica arma, il martello Mjolnir, e lo scaglia sulla Terra. Atterrato in New Mexico, uno spaesato Thor farà la conoscenza della giovane astrofisica Jane Foster (Natalie Portman), mentre, l’ambizioso fratello Loki, venuto a conoscenza della terribile verità che fine a quel momento gli era stata negata, approfitta del “letargo” in cui cade volontariamente Odino e della lontananza del Dio del tuono per tentare di impadronirsi del regno di Asgard. Non ha ancora fatto i conti con Thor che, influenzato dalla permanenza sull’umana Terra e forte dell’appoggio di altri guerrieri asgardiani, metterà “il martello” tra i piani di conquista del fratello.

Il film è una trasposizione del famosissimo fumetto Marvel, uno dei tanti figli del “padre dei supereroi” Stan Lee, disegnato dal maestro Jack Kirby. Su carta, il Dio del tuono appare per la prima volta nel 1962, sulla rivista Journey into Mistery (n. 83), col nome di “The Mighty Thor”. Lo stesso Lee, nella creazione del personaggio, si ispirò alle mitiche leggende norrene dei popoli scandinavi, da cui prende vita l’intero mondo di Thor.

La grande “Famiglia Marvel” accoglie il nuovo nato. E questa volta lo fa in grande stile. Memore dei flop, di critica e di pubblico, della saga del Golia Verde Hulk e dei dissapori che già si avvertono nei riguardi delle nuove pellicole in produzione (in particolare per il nuovo capitolo di “Spiderman”), Michael Helfant e Kevin Feige scelgono di puntare sullo stile e sulla caratterizzazione alla “Iron Man”, che tanto era piaciuta ai fan, da unire ad una vena umoristica da commedia, senza mai dimenticare le origine epiche della storia che si sta narrando. Ciò che ne deriva è grande intrattenimento, un film che, prima di ogni cosa, interpreta pienamente quella “umana” voglia di evasione, inserendosi in quel filone fantasy/fantascientifico/eroico così ben voluto: Odino e le altre divinità ci consentono un viaggio in un mondo surreale e perfetto, frutto di un’ottima resa concettuale e di effetti grafici sempre spettacolari, anche se l’abitudine fiacca l’occhio. La pellicola funziona pienamente finchè ci si trova su Asgard: rischia di perdere d’efficacia quando ci si sposta su Midgard, ma non è così. La scelta di ambientare il tutto in una New Mexico terra di confine, e non in una metropoli trita e ritrita giova al cambiamento. Ma è soprattutto lo humor a stupire piacevolmente: la pellicola risente dell’influenza shakespeariana cui è stato sottoposto durante la carriera il regista Kenneth Branagah. Il film è, si, più leggero, ma non banale, consentendo un avvicinamento tra il pubblico e la divinità Thor, reso, in questo modo, più terreste. Pecche evidenti, una trama spesso solo accennata che non permette di godere a pieno della narrazione in sé, così come viene solo abbozzata la storia d’amore tra Thor e Jane, anche se in questo casa si parla più di una scelta registica/produttiva, che di una vera mancanza.

La pellicola si innesta in un lungimirante progetto di eroica cooperazione cinematografica, avvalendosi sempre del bagaglio cartaceo della Marvel. “Thor”, presenta ben tre dei protagonisti del prossimo “The Avengers”, in cui il Dio del Tuono, suo fratello Loki e Hawkeye si troveranno al fianco di eroi già noti al grande schermo, come Iron Man (Robert Downey Jr,), Capitan America (Chris Evans) (prossima la sua apparizione nelle sale cinematografiche), Natasha Romanoff (Scarlett Johansson), cui si aggiunge un Hulk, rigenerato nella sua “fase umana”: Bruce Banner non verrà interpretato né da Eric Bana né da Edward Norton, bensì da Mark Ruffalo. Ciò ci permette di guardare diversamente alcuni particolari che caratterizzano il girato. Vengono citati un certo pioniere degli studi dei raggi gamma, Bruce Banner, e l’ormai famoso Tony Stark, oltre che lo scienziato e super-eroe Hank Pym. Inoltre, ritroviamo l’agente dello S.H.I.E.L.D. Phil Coulson (Clark Gregg), già presente nella serie “Iron Man” e inserito nel cast di “The Avengers”; stesso discorso vale per Nick Fury (Samuel L. Jackosn), Eric Selvig (Stellan Skarsgard) e per Clint Barton (Jeremy Renner), alias Hawkeye: l’arciere di Stan lee appare per alcuni minuti sullo schermo, nell’atto di colpire Thor con un arco (appunto!). Di sicuro niente viene lasciato al caso: come moderne canzoni di bardi impresse su celluloide, le pellicole tracciano una nuova mitica saga, pronta a sfidare l’usura del tempo.

Per chi non dovesse rimanere in sala fino alla fine dei titoli di coda, sveliamo l’ultima scena del film: Eric Selvig viene contattato dal direttore dello S.H.I.E.L.D. Nick Fury, che gli mostra il Cubo Cosmico, un artefatto in grado di donare poteri illimitati al suo possessore. Selvig, controllato in realtà da Loki, comincia a studiare l’oggetto. Viene così tracciata la linea di continuità con i capitoli seguenti della storia.

Fa piacere ricordare i camei di Stan Lee e Michael Straczynski, oltre quello di Eric Allan Kramer, interprete di Thor ai tempi del film TV “La rivincita dell’incredibile Hulk”.

In Italia, il film conquista e come: porta a casa un totale di 3,7 milioni di euro, raggiungendo la testa della classifica dei film più visti, nella sua prima settimana di trasmissione nelle sale.

La scelta del cast non dà adito a polemiche. L’imponente Chris Hemswarth sembra nato per impugnare Mjolnir: al di la delle estenuanti sedute di palestra per raggiungere la perfezione fisica di un Dio, il lavoro sul set si è ridotto al minimo, ammetterà lo stesso attore alla fine delle riprese: si spera che non resti incastrato nei panni dell’eroe troppo lungo, come accaduto a Brandon Routh, l’ultimo Superman. Al suo fianco, Natalie Portman, forse l’interprete che convince di meno, e l’immortale Anthony Hopkins, che si regala l’onnipotenza di un Dio sul finire della carriera. Il trio viene affiancato da professionisti affermati, come Stellan Skarsgard e Rene Russo, da giovani talenti, vedi Tom Hiddleston e Kat Dennings, e dalla comparsata di Samuel L. Jackson.

La vera star è però il “direttore d’orchestra” (come lo definisce Hopkins), Kenneth Branagh. Giovanissimo talento teatrale, raggiunge il successo a soli ventitré anni; da quel momento non si ferma più, vivendo sia di teatro che di cinema e televisione, nelle vesti di attore e regista. Riflette nelle sue opere l’eterno amore per Shakespare: rimane legato al bardo per tutto l’arco della sua carriera, traducendone i motivi ed i modi nelle sue opere.

“E’ il più difficile adattamento dei fumetti Marvel. C’erano molti modi per sbagliarlo”, ammette Branagh. Nonostante la pronosticata difficoltà, l’obiettivo è raggiunto.

VOTO 6/10

Marco Fiorillo

Pier Lorenzo Pisano

Cane di Paglia


Ciclo "Per non dimenticare": La giusta violenza


Cane di paglia (1971)

Dustin Hoffman: David Summer

Susan George: Amy Summer

Peter Vaughan: Tom Hedden

T.P. McKenna: Major John Scott

David Warner: Henry Niles

Colin Welland: reverend Barney Hood

Regia: Sam Peckinpah

Soggetto: Gordon Williams

Sceneggiatura: Sam Peckinpah, David Goldman

Fotografia: John Coquillon

Musiche: Jerry Fielding

Scenografie: Ray Simm


Tratto dal romanzo “The Siege of Trencher's Farm” di Gordon Williams, “Straw Dogs” è la storia di David Summer, (Dustin Hoffman), giovane matematico che si trasferisce insieme alla bella moglie Amy,(Susan George), nel villaggio di Wakely in Cornovaglia, del quale lei è nativa, ignaro di andare incontro a terribili esperienze.

A dispetto del paesaggio gentile ed incantevole del piccolo villaggio, la gente che lo abita è sgarbata e chiusa nei confronti della coppia e dimostra grande ostilità nei confronti di David che è considerato un corpo estraneo, un “cittadino”, qualcosa di radicalmente diverso ma nei confronti del quale non si ha interesse ad indagare.

Fin dall’inizio sono tratteggiate scene dove i figuri che popolano il paese dimostrano di essere dei prevaricatori e grandi bevitori, ottusi e violenti. Il paese di Wakely si potrebbe forse paragonare ad una tribù, dove vige il diritto del più forte. Questa ipotesi viene suggerita, ad esempio, dall’uccisione del gatto della coppia, poi ritrovato appeso all’armadio: un segnale tanto chiaro quanto primitivo ed animalesco. L’equivalenza tra gli abitanti del paese e degli animali continua per tutto il film: gli abitanti sono gli avvoltoi che scrutano la bella Amy dalla cima dei tetti, sono i lupi che braccano Henry Niles(David Warner), sono soprattutto, sempre e comunque, un branco.

La Comunità si mostra lentamente, in un crescendo di provocazioni e violenza, per quello che è: un mostro, una grande massa con una sola mente, ottenebrata dai pregiudizi, che si articola nelle varie singolarità, come Charlie Venner,(Del Henney), o il grottesco cacciatore di ratti Chris Cawsey,(Jim Norton), ma senza perdere le sue caratteristiche, che conserva intatte in ogni paesano: l’intolleranza, l’alcolismo, la violenza.

David Summer è un uomo che ha scelto di non scegliere: ha scelto di nascondersi, di sfuggire ai disordini della grande città, alle manifestazioni contro la guerra. Non riesce ad imporsi sulla comunità, non riesce ad imporsi sulla moglie e si sente sempre a disagio. David cerca sempre di razionalizzare ogni circostanza, ma nel villaggio di Wakely la moneta della razionalità non ha corso.

Amy dal canto suo è bella, estroversa, bisognosa di attenzioni e molto immatura, come si evince dai continui dispetti che fa al marito, e le provocazioni agli operai che le costeranno caro. David le dirà “Sembri una ragazzina di 14 anni” e lei risponderà “Si infatti”.

Nel mondo chiuso e rurale della comunità, l’emancipazione di Amy pagherà con lo stupro: una scena terribile e che riesce ancora oggi a impressionare. Dallo stupro in poi, Amy continuerà a sovrapporre ciò che il suo sguardo incontra con delle immagini della sua terribile esperienza dalla quale è perseguitata.

La sovrapposizione però non riguarderà solo le immagini dello stupro. Col proseguire del film infatti anche i ruoli dei personaggi si sovrapporranno: la vittima diventerà giustiziere, l’assassino diventerà l’innocente, il mite diventerà un carnefice, in un’atmosfera sempre più violenta ed irrazionale. Il film presenta scene di altissima tensione, molto disturbanti, ed uscì lo stesso anno di “Arancia meccanica”, facendosi evidentemente interprete di una particolare sensibilità di quel periodo storico.

La tensione è presente in questo film a tutti i livelli: è psicologica e fisica, è violenza carnale, è omicidio. Un incubo di violenza che cresce diventando sempre più insensato e cupo, ma senza nessun risveglio.

La pellicola supera la prova del tempo: esiste un remake del 2011, assolutamente non all’altezza.

VOTO 7/10

Pier Lorenzo Pisano

Marco Fiorillo