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giovedì 13 ottobre 2011

Ciclo Per non dimenticare: "Storie di vita"


La leggenda del pianista sull'oceano(1998)




Tratto da un monologo di Baricco(“Novecento”), “La leggenda del pianista sull’oceano” è un affascinante film fantastico sulla straordinaria vita di Novecento, il più grande pianista di tutti i Sette Mari.



Diretto dall’italiano Giuseppe Tornatore, Tim Roth dà il meglio di sè nell’interpretare questo complesso personaggio, dotato di un talento naturale e quasi sovrannaturale, ma anche spaventato dal mondo della terraferma, quasi un alieno, che ha vissuto tutta la sua vita sopra una nave nutrendosi soltanto della sua stessa musica. Novecento vive in simbiosi con la nave, della quale solo lui conosce tutti i luoghi ed i segreti fino in fondo, ma anche con la musica di cui sembra lui stesso la incarnazione umana: danza col mare e accompagna i suoi suoni con una fantasia compositiva illimitata.


La storia di questo incredibile personaggio è narrata da Max Tooney(Pruitt Taylor Vince), trombettista che lo conobbe viaggiando sulla sua stessa nave, il “Virginian”. Spesso la vicenda è connotata da caratteri mistici, a partire dal nome della nave stesso, al ritrovamento miracoloso del bambino da parte di Teddy Boodman, che lo trova in una cassetta di legno con sopra scritto “T.D. Lemon” ed interpreta la scritta come “Thanks Daddy”, al nome significativo del bambino: “Novecento”, perchè ritrovato nel gennaio del 1900.


Anche il modo in cui il suo talento prodigioso si manifesta ha del soprannaturale: dopo essere scomparso per giorni per sfuggire alla minaccia dell’orfanotrofio, ricompare suonando magnificamente un pianoforte, e non smetterà mai più di farlo.

Max Tooney ci conduce con la sua parlantina infuocata ed ispirata, come se fosse il profeta di Novecento, lungo le tappe della vita del pianista, la scoperta dell’amore, i tentativi di lasciare la nave, la sua leggendaria maestria.


Purtroppo la nave, che rappresenta anche il mondo di Novecento, l’unico che conosca e che mai conoscerà, è la sua benedizione e la sua maledizione. è un mondo nel quale lui è sicuro, che lo avvolge da quando è nato, del quale conosce i confini. Ma il mondo là fuori, sulla terraferma, non ha una fine, la linea dell’orizzonte continua senza mai fermarsi, una visione insostenibile.



Questo è un film che parla anche delle casualità della vita, del destino, di quanto le scelte che compiamo possono cambiarci, di occasioni perse, vite non vissute, sogni infranti. La struttura è costituita da flashback che lentamente ci riportano all'atto finale della vita di Novecento e tengono vigile la nostra attenzione; ciò rende il film estremamente piacevole da guardare, unitamente con i superbi costumi e le ambientazioni. Il finale riesce a commuovere.



Voto: 7/10

Pier Lorenzo Pisano
Marco Fiorillo

La pelle che abito (2011)




Pellicola ricca di richiami al noir (a partire dalla presentazione del titolo), ispirata dal romanzo breve “Tarántula” di Thierry Jonquet, “La piel que habito” è il 18esimo lungometraggio diretto dal regista Pedro Almodòvar.

Il film si alterna tra differenti suggestioni registiche e varia molto spesso ritmo. La sua maggiore peculiarità è l’impossibilità di collocarlo in un genere ben definito, poiché spazia dal thriller al drammatico, dalla fantascienza all’horror, a costituire un unicum molto complesso ma omogeneo.
 A volte i momenti del film si sostanziano di silenzio e precisione, gesti precisi e simmetria, come le api. Altre volte sullo schermo c’è una realtà drammatica e lacerante che non può non lasciare scosso lo spettatore. Certe volte l’orrore non è nella violenza fisica, ma nei meandri della mente umana.

Robert Ledgard (A. Banderas) è un chirurgo e biologo di chiara fama, che ha sviluppato un tipo di pelle estremamente resistente. Robert è un uomo cinico e determinato, ma soprattutto un manipolatore; gioca con la natura e la assoggetta alle sue regole, controlla tutto ciò che gli passa vicino, da un bonsai ad una giovane donna, Vera (Elena Anaya, già celebre per i suoi ruoli controversi), che tiene “prigioniera” per motivi sconosciuti insieme alla governante Marilia (Maria Paredes).
Questa è la situazione iniziale, dalla quale scaturiranno una cascata di colpi di scena, in uno dei migliori twist-movie degli ultimi anni.

Il film trae la sua forza dalla ricchezza delle sotto-trame, ma anche dalle azioni che si verificano nel presente, tanto sconvolgenti quanto ciò che le ha precedute. Sicuramente la pellicola ha un grosso debito nei confronti del romanzo anche se a nostro parere alcune modifiche hanno evidenziato certi tratti in maniera ancora più efficace.
Almodòvar crea un nuovo complesso edipico, una nuova perversione, più moderna e più adatta ad incarnare la sfrenatezza della società moderna. Un nuovo mito, che incarni l’uomo del 2012, anno in cui è ambientata la vicenda.

Quanto l’apparenza può davvero influire sulla psiche? E qual’è il limite all’orrore e agli abissi nei quali può sprofondare la mente umana? Ed è peggiore il vuoto interiore od esteriore? Una “marionetta” può assemblare altre marionette?
Questo è uno di quei casi in cui il film non ci lascia una volta usciti dalla sala, anzi ricorre nelle nostre riflessioni per la sua potenza. Finalmente un prodotto recente che riesce a scuotere le coscienze intorpidite dai blockbuster.

Voto: 7/10

Pier Lorenzo Pisano
Marco Fiorillo

martedì 11 ottobre 2011

Jane Eyre (2011)


Mia Wasikowska: Jane Eyre
Michael Fassbender: Edward Rocherster
Jamie Bell: St. John Rivers
Judi Dench: Mrs. Fairfax
Sally Hawkins: Mrs. Reed
Imogen Poots: Blanche Ingram
Simon BcBurney: Mr. Brocklehurst
Holliday Grainger: Diana Rivers
Tamzin Merchant: Mary Rivers
Jayne Wisener: Bessie Lee
Harry Lloyd: Richard Mason
Regia: Cary Fukunaga
Soggetto: Charlotte Bronte
Sceneggiatura: Moira Buffini
Fotografia: Adriano Goldman
Musiche: Dario Marianelli
Scenografie: Will Hughes- Jones
Costumi: Michael O’Connor

Una donna si trascina nella brughiera inglese, stremata dalla fame e dalle intemperie. Riesce a trovare asilo nella casa di St. John Rivers (Jamie Bell), cui la donna dirà d’essere Jane Elliott (Mia Wasikowska): in vero la ragazza porta un altro cognome, le cui origini ci saranno svelate dal recupero dei suoi ricordi, dall’infanzia disperata da orfana in casa della zia (Sally Hawkins), alla cacciata nel rigido collegio di Lowood, fino al soggiorno a Thornfield, nel castello nello stravagante quanto fascinoso Edward Rocherster (Michael Fassbender). In un turbinio di emozioni celate e di silenzi ossequiosi, la vicenda ritornerà al punto di partenza, riconducendo il cognome alla sua proprietaria.
Trasposizione del celeberrimo romanzo del 1847 di Charlotte Bront, quest’ultimo “Jane Eyre” si colloca in un lunga tradizione di riduzione cinematografica, vantando ventitré precedenti dal 1910, tra film per la televisione e pellicole per il Grande Schermo. Il prodotto, però, si allontana in modo evidente dalle altre produzioni per merito di un’impostazione tutta nuova, tessuta sulle pagine del romanzo dall’americano Fukunaga e da Moira Buffini: regista e sceneggiatrice prediligono per la prima volta una versione cupa della storia, sottolineando le atmosfere romantiche e pesanti. Rammentano i tratti rigidi di quella società colma di fanatismo religioso e di sentimento antifemminista, descritta dalla Bronte, ma alla storia di formazione viene data una innovativa impostazione emotiva, che ne amplifica le qualità anche sullo schermo.
Fukunaga si serve per l’occasione, oltre che dell’abile trasposizione della Buffini, della perfetta caratterizzazione della ventiduenne Wasikowska e del maturo Fassbender: la coppia, che approfitta dell’arrivo dell’onda del successo per lanciarci al meglio verso l’Olimpo Hollywoodiano, fa perno sulla perfetta incarnazione nei protagonisti del racconto per farne due personaggi “reali”, la cui sfera emotiva, trattenuta secondo i costumi dell’epoca, esplode in parole mai dette e passioni abortite. Alla coppia si aggiunge un altro giovane, Jamie Bell, anch’egli recentemente impegnato in’un’altra trasposizione letteraria, “The Eagle”, e Judi Dench, madrina di qualità. A testimonianza della cura data alla pellicola, la maggior parte del cast proviene dal mondo del Teatro, come a voler tessere una filo conduttore tra le tre arti. A tal proposito, una curiosità: Harry Lloyd, che interpreta Richard Mason, è il pronipote dello scrittore inglese Charles Dickens.
Completano l’entourage, il direttore della fotografia Adriano Goldman, responsabile della resa gotica delle ambientazioni, ed il compositore Dario Marinelli. Un plauso va anche a Charles O’Connor, responsabile della realizzazione dei costumi di scena, perfettamente evocativi.
Riproporre un romanzo usando la cinepresa è sempre un’operazione rischiosa e complicata, soprattutto se si tratta di una pietra miliare della letteratura. Dopo così tanti precedenti, il vero merito sta nell’aver trovato una nuova chiave di lettura senza distorcere l’anima letteraria infusa dalla Bronte. Onore al merito.
VOTO 6/10
Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano

domenica 9 ottobre 2011

I Pirati della Silicon Valley(1999)


“Pirates of Silicon Valley” tratta della storia, romanzata, dell’ascesa di Bill Gates e Steve Jobs, da giovani ma talentuosi nullatenenti, ai vertici del mondo finanziario ed informatico. Nonostante sia un film per tv, mantiene una buona qualità e presenta anche delle soluzioni registiche interessanti (si veda la scena dell’accordo con l’IBM).


Il film si apre con la pubblicità creata da Ridley Scott per la Apple, ispirata al romanzo 1984, poi, con il primo di una lunga serie di salti, l’annuncio da parte di Steve Jobs del raggiungimento di un accordo con la Microsoft. La storia prosegue attraverso le voci narranti di Steve Wozniak e Steve Ballmer, presenti nel film come personaggi secondari , che ci accompagneranno per mostrarci come si è arrivati a tutto ciò.

Il film mostrerà anche molte caratteristiche sconosciute ed interessanti dei personaggi (la giovinezza ribelle di Jobs), delineati in maniera estremamente accurata. I due caratteri sono molto approfonditi e sono estremamente credibili: Jobs è un artista stakanovista, puntiglioso, dotato di una enorme capacità di affabulare e di vedere più lontano di chiunque altro, ma anche ossessionato dal lavoro, tanto da trascurare ogni altra cosa, ed un grande stronzo. Bill è presentato come un nerd, ma è molto astuto, doppiogiochista, sembra quasi che la sua successiva fortuna sia basata solo sull’inganno e il sotterfugio.

Naturalmente il film presenta numerose imprecisioni, alcune anche funzionali allo svolgimento della trama e alla definizione dei personaggi, ma per chi non è esperto apparirà come un insieme molto coerente. Tuttavia questo non ha impedito che il film non fosse particolarmente apprezzato da Steve Jobs(la scena “lei è vergine”), mentre risultò molto gradito a Ballmer. Una curiosità: durante il Macworld 1999, Noah Wyle è stato chiamato per impersonare Steve Jobs, creando una simpatica messinscena. Da sottolineare inoltre, la incredibile somiglianza fisica di tutti gli attori con i personaggi reali.

La vicenda si lascia seguire con facilità e piacevolezza, è come un “infedele” documentario che ci lascia con qualche informazione interessante in più ed una (seppur alterata) idea di come il mondo dell’informatica si sia costituito a partire da un paio di garage e dalla creatività di un piccolo numero di persone che hanno avuto la tempestività di essere al posto giusto, al momento giusto e con le idee giuste.

VOTO 6/10

Pier Lorenzo Pisano
Marco Fiorillo

Drive(2011)



Una scena notturna altamente adrenalinica,ritmata da una musica che batte come un cuore pulsante. Sin dall’inizio ”Drive” si mostra nelle sue caratteristiche principali: un uomo di cui non conosceremo nemmeno il nome, la sua macchina, poche regole precise e poche parole, un rapporto tra sguardi, inquadrature ed elementi sonori sorprendente (che ha conquistato Cannes!).

Quest’uomo (Ryan Gosling), guida durante le rapine, ed è il migliore nel suo campo.
Ci aspetta dunque un gangster movie on the road? Lo seguiremo durante i suoi spostamenti, da una rapina all’altra, osserveremo con quanta arguzia si rende irrintracciabile e lo compatiremo per la sua vita priva di contatti sociali?
No, perché dopo pochi minuti lo vediamo di giorno in uniforme da poliziotto.
E’ un geniale doppiogiochista?
No, e non è nemmeno un criminale, almeno non a tempo pieno: è uno stuntman di poche parole, che apparentemente non dà molto valore alla sua vita (esattamente 500 dollari in più, se durante la sequenza capovolge anche la macchina).

Alle prese con gli altri esseri umani concede rari, ma radiosi e sinceri sorrisi, sembra evitare il contatto umano e pare vivere in un mondo separato, il mondo di chi controlla completamente la sua vita o almeno è convinto di poterlo fare, così come la sua maestria al volante gli consente di fare quello che vuole in strada.
 E’ un personaggio magnetico, caratterizzato da una gestualità minima, capace di una violenza selvaggia ma anche di attimi di dolcezza, sebbene non lo lasci mai trasparire. Si troverà incastrato in una situazione più grande di lui, e vivrà l’esperienza più bella della sua vita, come ammette egli stesso: un’ embrionale relazione fatta di qualche parola, sguardi e silenzi più eloquenti, ma anche alcuni dei momenti più atroci della sua vita.

Non bisogna pensare che per i dialoghi ridotti all’osso e l’apparente pacatezza del personaggio il film sia lento. Quando si sta dentro una macchina i nostri capelli non si muovono nemmeno, ma intorno a noi il mondo scorre freneticamente: così il film presenta molte scene di pura tensione, un intreccio interessante anche se ad un certo punto prevedibile, e un grande attore protagonista.

Punti deboli del film, un certo cambio di registro verso la metà, con una decisa virata verso lo splatter che non tutti potrebbero apprezzare, l’evolversi prevedibile della vicenda, ed il personaggio stesso, che nonostante ci abbia conquistato ci fa sorgere il dubbio che non sia appositamente costruito per piacere al pubblico.

Da segnalare assolutamente l’ottima colonna sonora, perfettamente incastonata con le atmosfere, sempre in sintonia con la scena del momento, ed anche bella da ascoltare.
Un film che getta finalmente un pò d’acqua ghiacciata nell’inferno del cinema attuale. Poteva essere ancora di più, ma diventerà comunque un cult.

Voto: 7/10
Pier Lorenzo Pisano
Marco Fiorillo