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sabato 17 marzo 2012

L’altra faccia del Diavolo (2012)

Fernanda Andrade: Isabella Rossi
Suzan Crowley: Maria Rossi
Simon Quarterman: Ben
Evan Helmuth: David
Ionut Grama: Michael
Preston J. Hiller: reporter

Regia: William Brent Bell
Sceneggiatura: William Brent Bell
Fotografia: Gonzalo Amat
Montaggio: William Brent Bell, Tim Mirkovich
Musiche: Brett Detar
Scenografie: Tony De Mille

30 Ottobre 1989. Il pronto intervento riceve la telefonata di una sconvolta Maria Rossi che confessa l’omicidio di tre persone. All’arrivo sul posto, le autorità rinvegono i cadaveri di tre membri della locale comunità ecclesiastica, uccisi durante un esorcismo rivolto a Maria. Tra l’indecisione e l’incredulità generali, Maria viene assolta e inviata all’Ospedale Psichiatrico di Centriano, a Roma. Circa  vent’anni dopo Isabella, figlia di Maria, la raggiunge nella capitale con l’intento di capire cos’è accaduto realmente alla madre. Ad affiancarla un reporter incaricato delle riprese e due giovani esorcisti piuttosto anticonvenzionali.

Pellicola horror a sfondo teologico, “L’altra faccia del Diavolo” sente palesemente l’imposizione delle ultime suggestioni modaiole che hanno fatto del satanico, del soprannaturale e del loro rapporto col piano del reale i soggetti più ghiotti del genere. Questa volta, però, si aggiunge veramente poco al filone: il regista William Bell si lancia in un’ambiziosa summa tra precedenti più recenti, su tutti “Il Rito” (che diventa precedente autorevole per l’occasione!) , di cui tenta di richiamare la fascinazione per le tematiche e per le locations della città della fede per eccellenza, e opere storiche, vedi l’utilizzo fondamentale del sesso femminile per la veicolazione del male; il tutto declinato nell’ormai stanco mockumentary (alla maniera di “Paranormal Activity” e “Rec”, per intenderci). Ridotto in qualità e durata, oltre che nelle spese di produzione, “L’altra faccia del diavolo” viene praticamente privato di un impianto narrativo: tutto succede troppo velocemente, i personaggi non vengono minimamente delineati e lo stesso vale per le loro paure. Il risultato è un lavoro mal riuscito che manca anche dell’obiettivo primo, spaventare la sala.
Nonostante tutto, al solo milione speso rispondono 83 milioni incassati, segno questo dell’ormai preoccupante divario tra qualità e botteghini.

Dietro le telecamere, Bill Brent: dopo il precedente di genere “Stay Alive” del 2006, approda all’ultima prova insieme all’inseparabile collega sceneggiatore Matthew Peterman, con lui dai tempi del primo lungometraggio del 1999, “Sparkle and Charme”. Il cast è interamente composto da “incensurati”, tra cui spicca la bella Fernanda Andrade, attrice brasiliana impregnata soprattutto sul Piccolo Schermo.

VOTO 4/10
Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano  

venerdì 16 marzo 2012

L’Uomo Bicentenario (1999)

Ciclo "Per non dimenticare": Deus ex Machina


Robin Williams: Andrew Martin
Sam Neill: Richard Martin
Wendy Crewson: Rachel Martin
Hallie Kate Eisenberg: Amanda Martin da bambina
Embeth Davidtz: Amanda Martin da adulta/ Portia Charney
Oliver Platt: Rubert Burns

Regia: Chris Columbus
Soggetto: Isaac Asimov, Robert Silverberg
Sceneggiatura: Nicholas Zakan
Musiche: James Horner


In un futuro non troppo lontano, i Martin accolgono in casa il proprio robot NDR, battezzato dalla più piccola della famiglia Andrew. Diverso fin da subito dagli altri automi, Andrew dimostra caratteristiche uniche per la sua natura meccanica: volontà d’apprendimento, tecniche di conoscenze e soprattutto curiosità e attaccamento familiare. Percependo la sua nascosta umanità, Andrew comincerà il proprio viaggio per conquistarla, scoprendo dove finisce il robot e dove comincia l’individuo.

La vita e la morte, la famiglia, l’amicizia e l’amore ed ancora l’individualità, la perfezione e il “casino” che ogni umano porta dentro di se. Tutto questo è “L’Uomo Bicentenario”, riduzione cinematografica dell’omonimo romano di Isacc Asimov, poi ampliato da “Robot NDR 113”, scritto a quattro mani da Asimov e Robert Silverberg.
In tempi in cui la macchina convive abitualmente con l’umano, a volte sostituendolo, indagarne l’incontro/scontro risulta accattivante quanto obbligatorio. Precursore come pochi, Asimov aveva vagliato questa necessità in tempi non sospetti, finendo per parteggiare per entrambi gli schieramenti. Profondamente fascinato dalla macchina (una produzione letteraria intera a testimoniarlo), il romanziere celebra in egual misura l’umano, di cui prende il meglio ed il peggio come fattori legati in un’unica unicità.

A dirigere questa pietra del sci-fi lo statunitense Chris Columbus: dopo i primi passi mossi come sceneggiatura al fianco di un certo Spielberg, comincia a lavorare autonomamente dietro le cineprese, firmando gli storici “Mamma ho perso l’aereo” e “Mrs. Doubtfire”; più recentemente ha iniziato il maghetto Harry Potter al Grande Schermo, dirigendone i primi due episodi.
Per l’occasione punta tutto su Robin Williams: la sua incredibile espressività ed ironia riescono a rendere Andrew umano fino dalle primissime scene della pellicola. Lo affiancano il caratterista Sam Neill e la bella Embeth Davidtz, oltre alla macchietta Oliver Platt.

La buona revisione dell’opera di Asimov operata da Zakan, gli incredibile effetti speciali, la sottile ironia e l’intensità delle prove attoriali, ne fanno una pellicola imperdibile anche per i palati meno golosi di fantascienza.

VOTO 8/10
Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano 

mercoledì 14 marzo 2012

Il Punto del Weekend


Il secondo weekend di Marzo spicca per l’estrema abbondanza: ben undici le pellicole di nuova uscite, spalmate durante l’arco della settimana per ingolosire tutti i gusti.

I PROTAGONISTI
Si comincia di lunedì con “Project Nim”. Agli inizi degli anni ’70, lo scienziato comportamentista Herbert Terrace testò l’intelligenza dei primati tentando d’insegnare ad un esemplare il linguaggio dei segni. Viene così avviato il “Project Nim”, dal nome Nim Chimpsky dato allo scimpanzé sottoposto al progetto : dopo quattro anni e tre studiose affidatarie del cucciolo, i test falliscono rendendo la vita di Nim impossibile tra gli uomini e tra gli scimpanzé. Il docu- film orchestrato da James Marsh celebra l’intero esperimento con spiccata delicatezza e chiara resa narrativa.
Si prosegue mercoledì col kolossal “John Carter”. Catapultato misteriosamente su Barsoom (l’umano Marte), il capitano di ventura John Carter, reduce della recente Guerra di Secessione, si ritrova immischiato in un nuovo conflitto, la battaglia che imperversa sul Pianeta Rosso e che rischia di distruggerlo. Sintesi perfetta di resa grafica, caratterizzazione e prosa narrativa, la pellicola firmata Andrew Stanton riduce per il Grande Schermo “Sotto le Lune di Marte”, romanzo di Edgar Rice Burroughs: nonostante si respiri aria disneyana, il risultato è un progetto adatto ad ogni pubblico capace di emozione ed interessare nella totalità del girato.
Prima delle uscite regolari del venerdì, ancora spazio per gli anticipi con “A Simple Life”: la pellicola racconta della rispettosa e profonda amicizia tra la domestica Ah Tato ed il suo padrone Roger, attore cinematografico. Dopo trent’anni dedicati con amore e maestria allo Schermo, grande e piccolo, la regista Ann Hui dimostra di non aver allentato la propria voglia di raccontare ciò che vede, inscenando una storia profonda e delicata.
Arriviamo, poi, al weekend vero e proprio.  In“The Double” il serial killer noto col nome in codice di Cassio ritorna all’azione dopo vent’anni di inoperosità. Alle sue calcagna viene rimesso l’ex agente della CIA Paul Shepherdson , affiancato per l’occasione alla recluta dell’FBI Ben Geary. Dopo aver firmato insieme le sceneggiature di “Quel Treno per Yuma”, “Fast&Foriuos” e “Wanted”, si ritrova la coppia Brandt- Haas. Il primo dietro le telecamere, il secondo alla penna, insieme tentano di mettere in scena una spy story alla John le Carrè dall’ansia hitchockciana. Dopo appena trenta minuti l’identità del killer viene svelata e da quel momento è una noiosa corsa ai titoli di coda, durante la quale la presenza di Richard Gere serve veramente a poco.
D’altra ispirazione è, invece, “La Sorgente dell’Amore”. In un piccolo villaggio islamico della collocazione imprecisata, le donne continuano da sempre ad attingere da una fonte in cima ad un monte, sottoponendosi ad indicibili fatiche mentre gli uomini stanno con le mani in mano. Capeggiate dalla giovane Leila e da una delle anziane, le donne indiranno uno sciopero del sesso. Riunendo le esperienze di “Train de Vie”, “Vai e vivrai” e “Il Concerto”, Radu Mihaileanu decide di dedicarsi alla dicotomia uomo/donna nel mondo islamico: invocando esplicitamente il racconto fantastico, Mihaileanu celebra il difficile mondo femminile della propria terra, saturo di limitazioni e contraddizioni. Nonostante le ottime prove precedenti, “La Sorgente dell’Amore” non è all’altezza delle aspettative, soprattutto per il mancato tentativo di leggerezza.
Ritorniamo poi in USA con “Young Adult”, in cui Mavis Gray  scrittrice di libri per bambini alle prese con problemi personali e di alcol, decide di far ritorno nella natale Minnesota per partecipare al battesimo del figlio del fidanzatino del liceo. Il viaggio nasconde la necessità di cercare la propria identità, frugando nell’albo fotografico del liceo che la vedeva reginetta di bellezza odiosa ed odiata da tutti. Al terzo lungometraggio, Jason Reitman ritrova la sceneggiatrice Diablo Cody dopo “Juno”, per firmare insieme un altro splendido progetto. L’attenzione si rivolge tutta su Mavis, interpretata dalla sempiterna Charlize Theron, invecchiata ma mai cresciuta, un’eterna bambina dispettosa desiderosa di rivivere solo i momenti migliori della propria vita, ormai tragicamente incrinatasi. Ogni gesto, ogni dialogo, ogni sguardo sono perfettamente curati dalla penna di Cody e messi in scena con eccellente tecnica e partecipazione da Reitman: l’anello di congiunzione è proprio Charlize Theron, misurata ed emozionante al tempo stesso.
Ci spostiamo, infine, in Italia da cui provengono le ultime quattro pellicole del finesettimana. In “L’Arrivo di Wang”, l’interprete cinese Gaia viene prelevata dal suo appartamento per un incarico segreto e ben pagato. Ad ingaggiarla l’agente Curti che la porterà in una sala interrogatori volutamente scura per l’occasione: oltre Gaia e Curti, il fantomatico Sig. Wang, che di signore dimostrerà veramente poco. Ennesimo lavoro low budget per i Manetti Bros. (dopo “Piano 17” e “L’Ombra dell’Orco”), stavolta dedicato al mondo della fantascienza e dell’incontro con l’altro. La scelta di ambientare un sci fi alla “E.T.” in un’inedita Roma e i buoni effetti speciali messi a disposizione dai costi fanno la qualità di questa pellicola che, però, trova un lavoro di sceneggiatura piuttosto scialbo.
I protagonisti di “Ti Stimo Fratello” sono due gemelli, Giovanni, laureato e sistemato economicamente e sentimentalmente, e Jonny, discotecaro instancabile dalle qualità nulle: la vita tranquilla del primo verrà sconvolta dall’arrivo del secondo. Dopo Aldo, Giovanni e Giacomo, Ficarra e Picone e Ale e Franz, Zelig regala al Grande Schermo una nuova figura. Si tratta, tuttavia, del peggiore rappresentante del programma comico italiano: privo d’una vera vena comica, Jonny Groove deve inscenare l’abusata macchinazione del doppio, del fratello impiastro; le difficoltà di scrittura pesano troppo ed il tutto termina in noia, in soli 93 minuti di girato.
In “Là- Bas”, invece, Yssouf, artista emigrato dall’Africa a Napoli, viene accolto in una piccola villa a Castelvolturno, meglio nota come la “Casa delle Candele”. Mentre gli altri inquilini immigrati si guadagnano qualche soldo ai semafori, Yssouf si rivolge allo zio Moses, potente boss del narcotraffico. Rimanendo in bilico tra le denuncia ed il racconto drammatico, “Là- Bas” trova la sua forza nell’equilibrio: racconto di formazione criminale, rimane fedele al tema scienza scadere in facili giochi di razzismo e luoghi comuni.
Nelle campagne ferraresi di metà ‘900 di “Colour from the Dark”, Pietro e Lucia vengono sorpresi dall’arrivo d’una presenza oscura che prende possesso del corpo della sorella autistica di lei. Sarà l’intera comunità a fare le spese di questo male. Prendendo spunto dal romanzo “The Colour out of the Space” firmato Lovercraft, Ivan Zuccon si muove tra sequenza splatter, tensione ansiolitica ben orchestrata ed una buona prova attoriale corale.
In ultimo, “Native”. Tornata alla propria Sicilia per gestire una clinica psichiatrica, Michela deve affrontare una terribile minaccia, una nativa strega che tenta di rubarle l’anima. Altro low budget italiano diviso tra l’horror paranoico e lo studio tradizional- antropologico, “Native” mette insieme troppe suggestioni realizzandosi completamente solo nella voglia di spaventare: volontà ben realizzata sui set siciliani ma che a lungo andare stanca, finendo per scarnificare l’essenza del girato. L’inesperienza quasi totale del cast fa il resto.

LE SORPRESE
Merita la nomina Guido Lombardi. Non più giovanissimo (classe 1975), il napoletano cominciò la carriera firmando il lavoro corale “Napoli 24”, documentario sulla città che lo vide collaborare anche con Paolo Sorrentino e Bruno Oliviero. Nel 2010 realizzò “Vomero Travel” ma il suo più grande successo è quest’ultimo “Là- Bas” che gli vale il Leone del Futuro- Premio Venezia Opera Prima Luigi de Laurentiis alla XXVI Settimana Internazionale della Critica della Mostra del Cinema di Venezia.

I FLOP E I TOP
L’importante numero delle pellicole di ultima distribuzione permette ampia scelta, sia in senso negativo che positivo. Cominciamo, come al solito, dai meno bravi:
3°.    Richiamo formale per John Reale. Pseudonimo “hollywoodiano” di Giovanni Marzagalli, John concepisce un film, “Native”, ricco di spunti e tematiche che nella sostanza si perde nelle molte, troppe strade intraprese: sarebbe bastato un pizzico di semplicità in più.
2°.    Michael Brandt occupa il secondo posto del podio. Il regista  statunitense tenta di accorpare le recenti suggestioni de “La Talpa” di Alfredson all’aria poliziesca de “Il Fuggitivo”. Il risultato è un film dalla narrazione debole e limitato in presa emotiva, un esperimento mancato e nulla più.
3°.    È Giovanni Vernia il peggiore della settimana. Simpatica macchietta dello “gileZ”, sceglie di tentare il salto di qualità passando al Grande Schermo: privo delle caratteristiche proprie della comicità cinematografica e ridondante nei suoi sketch, Vernia si arroga anche il diritto di sedere dietro le telecamere e scrivere la pellicola.
Veniamo, in ultimo, ai personaggi che hanno spiccato per merito:
3°.    Ultimo posto del podio a Ivan Zuccon. Con “Colour from the Dark”, Zuccon continua ad alimentare la propria ossessione di genere, dimostrando erroneo il luogo comune che vuole il Cinema horror italiano terminato con Argento.
2°.    Medaglia d’argento a Ann Hui. La poetica conduzione tecnica e soggettivistica delle riprese non fanno altro che celebrare l’inconfondibile cifra della cineasta cinese.
1°.    Il migliore della settimana è James Marsh. Archiviato l’Oscar vinto per “Man on Wire”, il regista britannico realizza un altro docu- film delicato e d’ottima fattura. Alternando registrazioni originali e “ad hoc”, Marsh racconta l’intero esperimento cui si sottopone il primate Nim, con le sue devastanti conseguenze per gli umani coinvolti ma soprattutto per l’animale, strappato al proprio mondo ma mai adattatosi al nostro.

BOX OFFICE
Poche le novità dei tabellini italiani. Rimane in vetta l’ultimo nato in casa Verdone, “Posti in piedi in Paradiso” mentre sorprende la permanenza al suo fianco di “Quasi Amici”, che mantiene costanti le entrate. Esordio poco brillante per “John Carter”, pellicola per la quale le aspettative d’incasso erano molto alte a fronte dei 300 milioni di produzione; delude le previsioni anche “Ti Stimo Fratello”, considerata la popolarità del personaggio.

Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano

domenica 11 marzo 2012

John Carter (2012)

Taylor Kitchs: John Carter
Lynn Collins: Dejah Thoris
Willem Defoe: Tars Tarkas
Thomas Haden Church: Hajus
Samantha Morton: Sola
Dominic West: Sabthan
James Purefoy: Kantos Kan
Mark Strong: Matai Shang
Ciaràn Hinds: Tardos Mors
Bryan Cranston: Powell
Daryl Sabara: Edgar Rice Burroughs

Regia: Andrew Stanton
Soggetto: Edgar Rice Burroughs
Sceneggiatura: Andrew Stanton, Mark Andrews, Michael Chambon
Fotografia: Daniel Mindel
Montaggio: Eric Zumbrunnen
Musiche: Michael Giacchino
Scenografie: Nathan Crowley
Produzione: Jerry Bruckeimer Films, Pixar Animation Studios, Walt Disney Pictures

Capitano di ventura stanco di combattere, dopo la Guerra di Secessione, e alla ricerca d’una miniera d’oro, John Carter viene misteriosamente trasportato su Barsoom (Marte per noi umani), dopo l’incontro con un misterioso individuo. Straniero in terra straniero, Virginia (questo il nome attribuitogli dai primi marziani incontrati), viene subito coinvolto nella guerra che sta distruggendo il pianeta dalla bella principessa Dejah Thoris e dall’alieno indigeno Tars Tarkas.

Sci- fi disneyano dal respiro epico, “John Carter” riduce su pellicola “Sotto le lune di Marte”, primo degli undici romanzi costituenti il “Ciclo di Marte”, centrato sull’omonimo personaggio nata dalla penna di Edgar Rice Burroughs agli inizi del secolo scorso. Già nel 1931 le storie del romanziere statunitense avevano interessato il Grande Schermo e negli anni ’80 fu proprio la Walt Disney a comprarne i diritti per poi cederli alla Paramount e riprenderli definitivamente nel 2007. Ci sono voluti,però altri tre anni per veder iniziate le riprese, avviate negli Shepperton Studios di Londra e terminate nel deserto dello Utah. Il tutto alla modica cifra di 300 milioni di dollari, uno dei budget più alti della storia del Cinema.
Tempi e costi giustificano l’usufruire della parola epicità, ma incorrono nell’aggettivazione ancora molti elementi. Emozionante e costantemente coinvolgente (quasi tre le ore di girato a montaggio ultimato), “John Carter” mette in scena il perfetto impasto di esperienza sensoriale e narrativa. Il maestro della Pixar Andrew Stanton, dopo una vita trascorsa ad animare personaggi di kilobytes, firma un vero capolavoro in live action, curando con attenta perizia ogni sequenza, ogni ambientazione, ogni personaggio, principale e secondario che sia: a testimoniarlo, la difficoltà nel riconoscere Willem Defoe sotto le sembianze animatroniche di Tars Tarkas. L’interessante riduzione delle pagine di Burroughs viene arricchita dalla fantasiosa caratterizzazione, di sceneggiatura e attoriale, dei vari protagonisti e dai perfetti raccordi di suono e di immagine che aumentano il tasso tecnico del girato. Se vi aggiungiamo gli ariosi piani studiati da Mindel ed il commento musicale del connazionale Michael Giacchino, “John Carter” diventa la miglior avventura dell’anno nuovo: vediamo chi fa meglio!

Dal primo “Guerre Stellari” del 1977 fino a “Stargate” e al più recente “Avatar”, la letteratura di Burroughs ha profondamente influenzato il Cinema di genere, tuttavia è questo il primo approccio veramente cinematografico ai suoi romanzi, senza considerare, data la differente tematica, i vari lungometraggi più o meno ispirati al volume “Tarzan delle Scimmie”, pubblicato nel 1914. Dopo i due premi Oscar aggiudicatosi militando nella Pixar (“Alla ricerca di Nemo” e “Wall E”), è Andrew Stanton a lanciarsi in questa nuova avventura in carne ed ossa, affiancandosi Mark Andrews, suo braccio destro ed artista Pixar degli storyboard, Daniel Mindel, direttore della fotografia sudafricano arrivato alla ribalta con i fratelli Scott, ed il compositore d’origine italiane Michael Giacchino. Veste i panni del capitano Carter il canadese Taylor Kithsch, dopo aver indossato quelli del mutante Remy Lebeau in “X- Men Le Origini- Wolverine”, che registra anche la presenza di Lynn Collins, Dejah Thoris su Barsoom, attrice statunitense proveniente dal teatro di matrice shakespeariana. Attorno ai due protagonisti, un cast vario e ben scelto, tra cui spiccano i caratteristi Willem Defoe e Ciaràn Hinds, il villain Mark Strong ed il giovanissimo Daryl Sabara.

VOTO 7/10
Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano