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sabato 24 settembre 2011

Ciclo "Per non dimenticare": Le paure primordiali


La Casa (1981)
 Bruce Campbell: Ash
Ellen Sandweiss: Cheryl
Richard Demanicor: Scott
Betsy Bawer: Linda
Teresa Tilly: Shelly

Regia: Sam Raimi
Soggetto: Sam Raimi
Sceneggiatura: Sam Raimi
Produzione: Sam Raimi, Bruce Campbell, Robert Tapert
Fotografia: Tim Philo
Effetti Speciali: Bart Pierce, Tom Sullivan, Sam Raimi
Musiche: Joe Lo Duca
Montaggio: Edna Ruth Paul

Una casa di campagna, un gruppo di studenti universitari ed una telecamera: erano questi i mezzi che, negli anni ’80, il cinema aveva a disposizione per stillare paura nei proprio spettatori. Una massima confuciana dice”Studia il passato se vuoi prevedere il futuro”: è innegabile che siamo di fronte ad uno dei passati maggiormente studiati.

Cinque giovani amici, Ash (Bruce Campbell), Cheryl (Ellen Sandweiss), Scotty (Richard Demanicor), Linda (Betsy Bawer) e Shelly (Teresa Tilly) decidono di trascorrere insieme un weekend in una casa di montagna. Le aspettative di spensieratezza del gruppo sono tradite quando rinvengono, nella cantina dell’abitazione, uno strano libro ed una audiocassetta: il nastro spiega loro che il volume fu ritrovato tempo prima da uno studioso che vi aveva riconosciuto il libro dei morti dei Sumeri. Usando una lingua sconosciuta ai ragazzi, la voce pronunzia un strano passo che riporterà in vita oscure presenze demoniache.

Primo capitolo di una fortunatissima trilogia, “La Casa”costituisce ,a detta dei più, la pellicola madre di quel fortunatissimo genere che è l’ ”horror-splatter”, capace di influenzare in maniera radicale il cinema di genere degli anni a venire. Realizzato nel 1981 dalla triade Raimi-Cambell-Tapert, cofondatori per l’occasione della casa di produzione Renaissance Pictures, fu seguito da “La Casa 2”, nel 1987, e da “L’armata delle tenebre”, del 1992. Fu, tuttavia, la prima parte della trilogia a far gridare all’innovazione. Quando l’industria cinematografica americana muoveva i primi passi verso il magico mondo degli effetti speciali (vedi l’onnipresente Industrial Light & Magic di George Lucas), Raimi decise di realizzare un progetto avveniristico, un film del terrore a basso costo, usufruendo di espedienti molto spesso improvvisati. Protagonisti della pellicola sono la colonna sonora, dalle musiche di accompagnamento ai lugubri rumori di sottofondo, le ottime inquadrature (su tutte i passi di Ash nello scendere la scalinata che porta alla cantina) ed i “trucchi” di Pierce e Sullivan, gli addetti agli “effetti speciali”, sapientemente assistiti da Raimi. A vederlo ora, più che un grido, può strappare un sorriso malinconico ma un’analisi più attenta dimostra come si tratti di un cult movie, apripista del genere. La casa di montagna, la cantina spiritata, la costante presenza di uno specchio, e ancora le inquadrature, i cigoli delle porte, gli schizzi di sangue: elementi introdotti per la prima volta da Raimi e co. ma divenuti, nel corso del tempo, anelli fondamenti del canovaccio tradizionale del genere.
Il film venne realizzato con soli 350.000 $, prevalentemente raccolti da Raimi e Tapert grazie alla realizzazione di “Within the Woods”,un cortometraggio della durata di 28 minuti, girato dai due amici nel 1978 in 8mm: un’opera prima che, se da una parte costituisce il prologo de “La Casa”, dall’altra svela le già evidenti capacità registiche della coppia.
Le riprese de “La Casa” occuparono circa un anno e mezzo di lavoro. Gli effetti furono molto spesso improvvisati al momento e vennero usati come set, oltre la casa di montagna, l’ingresso della casa di campagna di Tapert e la cantina dell’abitazione di Raimi. Il regista mise a disposizione anche la proprio automobile, un vero e proprio portafortuna presente in ogni pellicola realizzata negli anni seguenti.

Appena 21enne al momento della realizzazione de “La Casa”, Raimi dimostrava già un enorme talento, un talento grezzo che aveva solo bisogno d’essere affinato. Il tempo non ha smentito le ottime prospettive del regista d’origini ebraiche, impegnato sia dietro le telecamere (tra le sue opere ricordiamo un’altra fortunatissima trilogia, oltre la sopracitata, quella di “Spiderman”) che in fase di produzione: la sua Renaissance Pictures ha sponsorizzato svariate pellicole dell’orrore e alcune famose serie, tra cui spiccano “Xena- Principessa Guerriera” e “Hercules”. Al suo fianco, spiccano, come abbiamo già detto, Robert Tapert, compagno di stanza ai tempi dell’università, e l’amico di sempre Bruce Campbell, l’unico del cast a vantare un curriculum degno di nota.

Un entourage giovanissimo alla prima esperienza e mezzi tecnici limitati contraddistinguono la pellicola, eppure si tratta di un’opera fondamentale che traccia un solco evidente nell’ andamento del genere. Un esperimento ben riuscito.

VOTO 7/10
Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano
                               

giovedì 22 settembre 2011

Ciclo "Per non dimenticare": Le paure primordiali



Regia: Friedrich Wilhelm Murnau
Max Schreck: Conte Orlok













“Nosferatu” è un film leggendario, capolavoro di Murnau e simbolo del cinema espressionista, una delle colonne portanti del cinema horror. Ancora oggi mantiene intatto un fascino ed una capacità di suggestione ineguagliata.

Ambientato nel 1838 ripercorre più o meno fedelmente la storia del  celeberrimo romanzo di Bram Stoker, “Dracula”, sebbene i nomi dei personaggi siano stati cambiati per evitare di violare i diritti d’autore. Nonostante quest’accortezza Murnau perse la causa con gli eredi di Stoker e tutte le copie del film furono distrutte, a parte una che ha consentito a quest’opera di arrivare fino a noi.

Mentre negli horror recenti il suono gioca una parte fondamentale nel creare tensione, in “Nosferatu” le immagini sono così inquietanti ed evocative da rendere paradossalmente il silenzio un punto a favore della pellicola, perché l’attenzione dello spettatore si concentra così sulla geniale fotografia , sulla emaciata figura del conte Orlox ammantato d’oscurità, sul geniale gioco delle ombre e sugli sguardi.
Il personaggio del conte, in particolare, rimarrà  per sempre impresso nella memoria della cinematografia. Un’inquietante leggenda circola sull’attore principale Max Schreck, secondo la quale egli sarebbe effettivamente stato un vampiro; sull’onda di quest’ipotesi è stato girato il film “L’ombra del vampiro” con John Malkovich. In ogni caso queste voci sono state ispirate in parte dal suo nome(“Massimo Terrore” in tedesco), e sicuramente dal terrificante villain a cui ha dato corpo.

Il Conte è decadente e consunto come il suo castello, una figura alta ed imponente, mostruoso con le sue lunghe unghie ed inquietante con la sua lentezza nei movimenti, esasperata al massimo. La sua rigidità è quasi innaturale, e spesso si trasferisce ai suoi lineamenti del volto, che si possono indurire in una maschera inespressiva dagli occhi sbarrati –e sono gli occhi di un film muto, capaci di trasmettere puro terrore-, o possono inasprirsi in un ghigno diabolico e far trasparire una fila di denti aguzzi. Tutto ciò che ruota attorno al conte si corrompe, deperisce, muore. Il suo pallore fa contrasto con le ombre di cui sia avvolge, e di cui è signore(in particolare l’ombra di Orlox è stata ripresa in maniera interessante nel Dracula di Francis Ford Coppola).
Rispetto all’astuto e raffinato conte Dracula, Orlox è la personificazione stessa del terrore, vive di notte, è un mostro feroce, mai sazio, che prospera nella miseria e nella disperazione che lui stesso crea.
Le ambientazioni ,da quando il conte fa la sua prima apparizione, trasmettono costantemente l’idea del crepuscolo, del degrado, della morte.

L’eco che ha avuto questo film  è incommensurabile, ma ci basta ricordare il film di Herzog, “Nosferatu: Phantom der Nacht”, ispirato direttamente dal film di Murnau, ottimo remake che mette in risalto aspetti diversi della figura del conte rispetto all’originale.

Ciò che può più di ogni altra cosa colpire uno spettatore degli anni 10, è quanto sia spiazzante leggere il terrore negli occhi di un personaggio e non poter sentire l’urlo della sua paura; quanto vedere un’immagine che improvvisamente compare sullo schermo non sia così spaventoso come un lento incedere su di una scalinata; quanto un video rovinato e consumato dal tempo possa stimolare i nostri timori più atavici e colpire nel segno, come il cinema moderno di questo genere non riesce più da troppo tempo.

Voto: 10/10

 Pier Lorenzo Pisano
Marco Fiorillo

mercoledì 21 settembre 2011

Carnage


Carnage (2011)

Regia:Roman Polański
Fotografia:Pawel Edelman
Musiche:Alexandre Desplat
Scenografia     Dean Tavoularis

Jodie Foster: Penelope Longstreet
Kate Winslet: Nancy Cowan
John C. Reilly: Michael Longstreet
Christoph Waltz: Alan Cowan





Due coppie di genitori si incontrano per appianare i conflitti sorti fra i loro figli, Zachary e Ethan, in seguito ad un acceso litigio nel parco. I Longstreet (John C. Reilly e Jodie Foster), esponenti progressisti della middleclass di Brooklyn, invitano nel loro appartamento i Cowan (Christoph Waltz e Kate Winslet), perfetti yuppie degli anni dieci, nel tentativo di discutere sui provvedimenti da prendere in seguito all'“incidente”.
Così, basta poco perché un pomeriggio ricco di convenevoli fra persone bene educate, si trasformi in un gioco al massacro che mette in evidenza tutte le ipocrisie, l'odio animalesco, e la profonda intolleranza che si celano sotto buonismo imperante nella società contemporanea.

Polanski traspone in pellicola l'opera teatrale Le Dieu du carnage del premio Moliere Yasmina Reza, conservandone intatta l'idea, facendo leva sulla sceneggiatura straordinariamente efficace e divertente, e potendo avvalersi di una nomination e tre premi Oscar (di cui un Waltz immenso) per mettere in scena questo dramma della vita quotidiana.

Il film, infatti, impreziosito da magnifiche inquadrature corali, conduce ad una profonda riflessione sulla reale – e meschina! – natura dell'uomo, forse troppo impegnato nei miliardi di microscopiche faccende con cui cerca di occuparsi, per fermarsi a riflettere sulla propria insoddisfazione e provvedere a rimediare in qualche modo.
I quattro personaggi sembrano delle bombe cariche di frustazioni, malumori, ansie e nevrosi che attendono solo che qualcosa le inneschi per poter esplodere in tutta la propria violenza.

Quando accade – ed è un crocerossinismo maleodorante e affettato a scatenare il “massacro”, in un climax ascendente di piccole crudeltà prima verbali e poi fisiche –, nessuno riesce a capacitarsi di aver perso il controllo, tutti chiedono perdono a tutti, ma poi ricominciano a fomentarsi reciprocamente, quasi come se ci avessero preso gusto a vomitarsi addosso torte di pere e mele, a lanciarsi oggetti, e a insultarsi.

Carnage è una rappresentazione amara, ma per niente paradossale, di ciò che le persone sono disposte a fare pur di mettere in salvo loro stesse, pur di far trionfare il loro egoismo ed ergere i loro deliranti solipsismi a dogmi, pur di fingere soltanto di interessarsi agli altri senza mai tentare neanche di farlo.

L'inquadratura finale, un lungo campo sul parco in cui i due ragazzini giocano, è il tocco di grazia di Polanski. Come a dire: noi prima ci picchiamo e poi facciamo pace, ma voi?

VOTO 8/10
Luigi Scarano
Pier Lorenzo Pisano
Marco Fiorillo


Super 8 (2011)


Joel Courtney: Joe Lamb
Elle Fanning: Alice Dainard
Kyle Chandler: Jackson Lamb
Ron Eldard: Louis Dainard
Noah Emmerich: Colonnello Nelec
David Gallagher: Donny
Riley Griffiths: Charles Kaznyk
Ryan Lee: Cary
Zach Mills: Preston
Gabriel Basso: Martin
Josh Mc Farland: Tom Ashton
Amanda Michalka: Jen Kaznyk
Glynn Turman: Dott. Woodward

Regia: J.J.Abrams
Soggetto. J.J. Abrams
Sceneggiatura: J.J. Abrams
Produzione: J.J. Abrams, StevenSpielberg, Bryan Burk
Fotografia:Larry Fong
Effetti Speciali:ILM
Musiche:Michael Giacchino
Scenografie:Martin Whist

Un bambinomette in scena un incidente ferroviario servendosi di treni giocattolo. Quasiper gioco, filma la scena con la cinepresa “sottratta” al papà. La fantasia diun bambino vola, le sue emozioni vengono messe in scena…è la storia del cinema.

Ohio, 1979.Il tredicenne Joe Lamb (Joel Courtney) si ritrova a vivere con un padre dasempre distante (Kyle Chandler), a seguito dell’incidente mortale in cui èstata coinvolta la madre. Il piccolo Joe riesce a trovare conforto nell’impegnoprofuso nella realizzazione di un film horror amatoriale, insieme agli amici Charles(Riley Griffiths), Preston (Zach Mills), Martin (Gabriel Basso) e Cary (RyanLee), cui si aggiungerà Alice (Elle Fanning), compagna di scuola delgruppo. Per migliorare la pellicola, leriprese vengono spostate in una periferica stazione ferroviaria, dove iragazzini assistono all’apparentemente fortuito deragliamento di un convogliomilitare. Dal treno, ridotto in macerie, fuoriesce “qualcosa”, qualcosa chepresto cambierà loro la vita. Da quel momento, Joe e compagni vengono scaraventati in un vortice di eventiche, tra famiglie disastrate ed indagini militari, li porterà davvero “dinanzialle telecamere”.

Terzo lungometraggiodello statunitense J.J. Abrams, “Super 8” vede il regista affiancarsi ad uncollega d’eccezione, un maestro della fantascienza di genere che, in questocaso, mette “solo” budget, presenza ed aura: Steven Spielberg. Fin da subito,la pellicola sembra ispirarsi alle opere “ambliniane” (n.d.r.si tratta della Amblin, la casa di produzione di Spielberg) realizzate neldecennio ’70-’80: si tratta, sicuramente, di un punto di partenza, da cuiAbrams riesce ad allontanarsi con eleganza e qualità. Se gli spostamenti inbicicletta, prima, ed in macchina (senza patente), poi, dei giovaniprotagonisti, l’utilizzo frequente delle torce e l’ambientazione di provinciasono un chiarissimo omaggio al produttore della pellicola, Spielberg appunto,Abrams riesce ad impostare la narrazione seguendo una linea tutta nuova. Diconseguenza, i riflettori vengono rubati all’alieno di turno, pure moltodiverso dalle varie versioni positive proposte da Spielberg e, probabilmente,frutto di un pessimismo moderno che non occupa solo il grade schermo, in favoredell’intimistica narrazione dell’adolescenza, con i suoi divertimentispensierati, i primi dolori, i primi affetti innocenti. Con estrema delicatezzavengono tratteggiati gli ingranaggi del rapporto padre-figlio, splendidamenteinterpretato dal quartetto base Courtney/Chandler- Fanning/Eldard. Il tutto,condensato da una buona dose di ironia ed azione che rendono la visioneestremamente piacevole.

Prolifico creatoredi serie televisive, Abrams approdò al grande schermo a soli 16 anni,realizzando la colonna sonora di “Nightbeast”, di Don Dohler. Il suo impegno loha condotto alla fondazione della Bad Robot, casa di produzione di telefilmdel calibro di “Lost”, “Alias” e “Fringe”. Al suo fianco, oltre all’amico eproduttore Bryan Burke, spiccano Larry Fong, direttore della fotografia, eMichael Giacchino, compositore di origini italiane (i nonni erano Abruzzesi eSiciliani) che già aveva collaborato con Abrams alle già citate serie “Lost” e “Fringe” e aiprimi due lungometraggi del regista, “Mission Impossible III” e “Star Trek”.Gli effetti sono, invece, affidati alla Industrial Light & Magic (ILM), lastorica azienda fondata da Geroge Lucas ai tempi di “Episodio V- L’Imperocolpisce ancora”. Sull’intero entourage vigila Spielberg, anima del progetto.
Il castviene scelto con particolare perizia, riuscendo a mescere talento e moderazione.Spiccano, come da copione, i più giovani, tra tutti la sorella d’arte ElleFanning, imparentata con la più famosa Dakota.

Moltoparticolare è la scelta del titolo, usato per richiamare i mezzi diregistrazione messi a disposizione negli anni ’80. Il ricordo del Super 8permette una riflessione sull’avanzamento delle tecniche offerte ai cineasti,in particolare ai più giovani. Lo stesso Spielberg ammette: “Cominciare oggi èmolto più semplice perché è facilissimo comprare una videocamera, uscire egirare un film. Poi lo metti su YouTube”. E ancora, Abrams: “Io penso che illavoro che faccio oggi sia identico a quello che facevo da ragazzino, lo spiritoè lo stesso. Credo che sia un meraviglioso mezzo espressivo”.
Gli strumenti possono cambiare ma la speranzaè che l’avanzamento non spenga i cuori degli “Spielberg del futuro”.

VOTO 7/10
MarcoFiorillo
Pier Lorenzo Pisano


Contagion (2011)


Matt Damon: Thomas Emhoff
Marion Cotillard: Dr. Eleonora Orantes
Gwyneth Paltrow: Beth Emhoff
Kate Winslet: Dr. Erin Mears
Jude Law: Alan Krumwiede
Bryan Cranston: Lyle Haggerty
Laurence Fishburne: Dr. Ellis Cheever
Jennifer Ehle: Dr. Ally Hextall
Sanaa Lathan: Aubrey Cheever
John Hawkes: Roger
Elliott Gould: Dr. Ian Sussman
Enrico Colantoni: Dennis French
Chin Han: Sequestratore
Regia: Steven Soderbergh
Sceneggiatura: Scott Z. Burns
Effetti Speciali: Michael Ahasay
Musiche: Cliff Martinez
Scenografie: Howard Cummings

I nervi degli spettatori vengono messi duramente alla prova ma questa volta, fortunatamente, non c’entrano demoni in presa diretta né apocalittiche fini del Mondo. Si tratta di una minaccia reale raccontata con realismo: forse è proprio per questo che la pellicola rimane “così addosso” quando si lascia la sala.
All’ aeroporto di Hong Kong Beth Emhoff (Gwyneth Paltrow) aspetta il volo che la riporterà a casa dopo un viaggio di lavoro. Ciò che le pesa non è, però, la stanchezza accumulata bensì una fastidiosa influenza che tedia il suo fisico. Di ritorno a casa, il marito Thomas (Matt Damon), scopre che farmaci e riposo non servono alla donna che muore senza una spiegazione apparente. La stessa situazione si ripresenta a Londra, poi a Chicago. Un ceppo d’influenza diventa velocemente un pericolosissimo contagio, un” virus letale” che mobilita le alte sfere governative: se ne occupa lo staff del Dr. Cheever (Laurence Fishburne), costituito dalle Dottoresse Mears (Kate Winslet) e Hextall (Jennifer Ehle), mentre Eleonora Orantes (Marion Cotillard) viene inviata direttamente ad Hong Kong. Una fuga di notizie telematica, avviata dal blogger Alan Krumwiede (Jude Law), attiva un circolo vizioso fatto di isteria, sciacallaggio, paura. Una nuova tragedia pronta a mettere alla prova ancora una volta il genere umano.
Se considerassimo “Contagion” come l’opera prima di un regista emergente, le parole di elogio si sprecherebbero. Diventa un oggetto misterioso se ci fermiamo a riflettere sull’origine del progetto. Il tutto nasce, infatti, dalla mente di Steven Soderbergh, il regista che vinse il premio Oscar per la regia di “Traffic” nel 2001 per poi mettere in piedi la serie degli “Ocean’s”. Che cerchi di gettare fumo negli occhi di critica e pubblico per poi stupire con effetti speciali non ci è dato sapere, ma di sicuro non può essere messa in dubbio la qualità del suo ultimo lungometraggio.
Soderbergh mutua dalla tradizione cinematografica il tema della catastrofe per darne una nuova e interessantissima lettura, evitando effetti speciali altisonanti e gratuita spettacolarità, in favore di una linea sottile e pulita. Il virus diviene lo sfondo di una narrazione molto più complessa, in cui vengono sondati con maniacale attenzione i molteplici modi di contagio, risultato di un contatto che nell’era del social network è diventato sempre più difficile. Consumatasi la diffusione della malattia, sotto i riflettori ci finiscono le reazioni della gente, ricostruite in un mosaico i cui tasselli sono pezzi di vita, incastrati tra loro con estrema bravura dal regista. Il tutto attraversato da un senso di angoscia palpabile ma mai esagerato perché ricostruito con perizia scientifica, come dimostrato dalla collaborazione tra lo staff di “Contagion” ed il Centro per la Prevenzione ed il Controllo delle Malattie. Un’angoscia che si attacca alla pelle ed impone una riflessione, come dimostrano le parole dell’attrice Marion Cotilalrd: “Quando l’ho visto non ho potuto stringere mani quando sono uscita dalla proiezione. Ci pensavo e mi dicevo “Oh mio Dio dovrò lavarmi le mani”, così questa è diventata una sorta di fobia”.
Il talento del regista si sposa perfettamente con un cast d’eccezione. Matt Damon, Gwyneth Paltrow, Kate Winslet, Laurence Fishburne, Jude Law, Marion Cotillard si ritrovano tutti sullo stesso set: tante stelle davanti la stessa cinepresa non capitano tutti i giorni. Qualità e passione si ritrovano anche dietro le telecamere: Soderbergh si accompagna all’ottimo sceneggiatore Scott Burns e all’ex batterista, ora compositore, Cliff Martinez, che pure aveva già lavorato con lo svedese durante la realizzazione di “Traffic” e “Solaris”.
Un film che fa della credibilità e della linea narrativa la propria forza. Il messaggio di cui si vuole fare portavoce: la fortuna che abbiamo nel ritenerci sani e fuori imminenti pericoli. Almeno per il momento.
VOTO 7/10
Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano