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sabato 3 dicembre 2011

Midnight in Paris (2011)


Owen Wilson: Gil Pender
Rachel Mc Adams: Inez
Kathy Bates: Gertrude Stein
Adrien Brody: Salvador Dalì
Marion Cotillard: Adriana
Michael Sheen: Paul
Gad Elmaleh: Detective Tisserant
Kurt Fuller: John
Tom Hiddleston: Scott Fitzgerald
Alison Pill: Zelda Fitzgerald
Carla Bruni: guida del museo
Lea Seydoux: Gabrielle
Corey Stoll: Hemingway

Regia: Woody Allen
Soggetto: Woody Allen
Sceneggiatura: Woody Allen
Fotografia: Darius Khondji
Montaggio: Alisa Lep Selter
Musiche: Stephane Wrembel

Gil Pender (Owen Wilson) è uno sceneggiatore di Hollywood stanco della propria occupazione e alle prese col suo primo romanzo. Approfitta del viaggio di lavoro del padre della fidanzata, Inez (Rachel Mc Adams), per visitare l’amata Parigi, in cui spera di trovare l’ispirazione giusta per completare il manoscritto. Nella capitale francese, Gil troverà molto di più: datosi alle passeggiate notturne, a mezzanotte viene puntualmente raccolto da una vecchia automobile e portato nella Parigi degli anni ’20, il suo sogno, la sua evasione. In questo altro dove, in questo altro tempo, Gil conosce i coniugi Fitzgerald (Tom Hiddleston e Alison Pill), il suo idolo Hemingway (Corey Stoll), Gertrude Stein (Kathy Bates), che correggerà il suo romanzo, Picasso e la sua musa Adriana (Marion Cotillard). Con quest’ultima intreccerà una relazione che lo spingerà sempre più lontano dalla sua realtà, fino a quando saranno proprio le parole della Stein a dargli il coraggio proprio di un artista. Dal canto suo, Inez tenterà un altro tipo di evasione nel “mondo reale”, insieme all’amico Paul (Michael Sheen).
Dopo i più recenti alti e bassi cinematografici, Woody Allen ritorna con classe e maestria al Grande Schermo, con una pellicola deliziosamente “alleniana” dall’inizio alla fine. L’incipit è dei più personali, la celebrazione tutta strumentale di Parigi, di cui Allen già aveva fatto professione d’amore. Allo stesso modo confessa il proprio fascino per la città Gil/Wilson, aspirante romanziere: incapace di reagire ad un presente opprimente, l’artista si abbandona ad un’utopistica fuga dalla realtà, in un’era che egli riconosce come l’età dell’oro. Convinto di poter vivere per sempre nel suo sogno insieme all’amata Adriana/Cotillard, Gil deve ricredersi quando è proprio il sogno della donna a prendere forma: una carrozza trainata da cavalli li porta dagli agli ’20 alla fine dell’ ‘800, in quella Bell Epoque tanto desiderata da Adriana. È in quel momento che Allen dimostra chiaro il proprio messaggio, la felicità non sarà mai alla portata di colui che fugge dalla propria realtà senza affrontarla. La vera protagonista dello schermo è proprio la disperazione dei tempi moderni, trasmutata in fuga in onirici universi pronti a stancarci in favore di nuove visioni. È il viaggio dell’ “uomo” verso mete impossibili fino al ritorno al proprio reale: ciò che conta è come vi si ritorna. Una storia dall’incredibile forza narrativa e sottilmente umoristica, in cui si rispecchia perfettamente l’anima del regista statunitense che, proprio in questi giorni, festeggia il suo 71° compleanno.
Al di là dell’ottima conduzione dietro le telecamere, coadiuvata in qualità dalla direzione fotografica di Darius Khondj e dalle musiche di Stephane Wrembel, a dar vita a “Midnight in Paris” è un cast eccezionale. Su tutti, il protagonista Owen Wilson, distaccatosi per una volta dal “Frat Pack”( il gruppo di attori comici in cui milita al fianco del fratello Luke e degli amici Ben Stiller, Jack Black, Will Ferrell, Vince Vaughn e Steve Carrel) per concedersi una commedia più impegnata, riuscendo in un’interpretazione ottima e coerente. Se nel mondo reale viene affiancato da Rachel Mc Adams e Michael Sheen, amanti davanti e dietro le telecamere, ad accompagnarlo nel suo viaggio notturno sono la splendida Kathy Bates, reduce da “Il Mio Angolo di Paradiso” , il talentuoso Adrien Brody ,le bellezze francesi Marion Cotillard e Lea Seydoux, ed il giovane Tom Hiddleston, meglio noto al pubblico con lo pseudonimo di Loki. Inoltre, nel pieno rispetto dello spirito patriottico, Allen sceglie la First Lady francese Carla Bruni per un breve cameo, nei panni della guida turistica d’un museo.
Dopo più di mezzo secolo dedicato completamente al cinema da attore, sceneggiatore e regista, Woody Allen ci regala un’altra incredibile pellicola. Il tempo non sembra poter intervenire sul suo straordinario talento.
VOTO 8/10
Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano

Lo Schiaccianoci (2011)


Mary: Elle Fanning
Zio Albert: Nathan Lane
Re dei Topi: John Turturro
Regina dei Topi: Frances de la Tour
Papà di Mary: Richard E. Grant
Madre di Mary/ Fata delle Nevi: Yulia Visotskaya
Schiaccianoci: Charles Rowe

Regia: Andrei Konchalovsky
Sceneggiatura: Andrei Konchalovsky
Soggetto: Petr llic Cajkovskij
Fotografia: Mike Southon
Musiche: Eduard Artemiev
Testi: Timothy Rice

La sera di Natale di una Vienna degli anni ’20, Mary (Elle Fanning) ed il fratello Max rimangono a casa con i domestici e l’amato zio Albert (Nathan Lane), mentre i genitori (Richard E. Grant e Yulia Visotsakaya) decidono di trascorrere la festività in teatro. Nonostante la lontananza dei genitori, l’umore dei fratelli è risollevato dai regali dello zio: una casa di pupazzi ed uno schiaccianoci di legno. Proprio lo schiaccianoci, durante la notte, si animerà davanti agli occhi di Mary che verrà trasportata in un mondo di sogno e fantasia, in cui il giocattolo (Charles Rowe) è in verità il Principe d’una città presa d’assalto dai Topi, guidati dal Re (John Turturro) e da sua madre, la Regina (Frances de la Tour), responsabile del sortilegio che ha trasformato il Principe.
Correva l’anno 1891, quando Petr llic Cajkovskij, ispirandosi al racconto del 1816 “Lo Schiaccianoci e il Re dei Topi” di Ernst Hoffmann, portava in scena l’omonimo balletto, coreografato da Marius Petipa e Lev Ivanov. Più di un secolo dopo è Andrei Konchalovsky a riadattare la famosissima opera teatrale per il Grande Schermo, trasformandola nella più classica delle favole natalizie: “Lavoro a questo progetto da tantissimo tempo.”- ammette lo stesso regista- “Volevo solo fare una favola per bambini”. Così, come in una delle più celebri storie disneyane, i piccoli spettatori sono catapultati nel sogno di Mary, in cui i pupazzi vivono della stessa vita dei loro interpreti, responsabili di un’ottima caratterizzazione. Gli splendidi effetti speciali, i testi di Timothy Rice modestamente adattati alle composizioni di Cajkovsij (almeno nella versione originale) e l’implicita magia del Natale contribuiscono alla riuscita della pellicola. Se rimanesse favola per bambini, questo moderno “Schiaccianoci” avrebbe centrato l’obiettivo. Così non accade ed il regista russo si perde in un sottobosco di citazioni ed allusioni indirizzati più ai genitori che ai figli: i topi diventano invasori nazisti, i sudditi del Principe ricordano gli operai russi pronti alla rivoluzione, perfino zio Albert ricorda fin troppo un Albert Einstein, completamente atemporale rispetto agli eventi della pellicola, cui si accompagna il pluri- citato Professor Freud. Se i più piccoli rimarranno affascinati dalle avventure di Mary e co., minor presa avrà sugli adulti l’accozzaglia di materiale riunito dal regista russo.
Dopo le avventure hollywoodiane di “Tango e Cash” e dell’ “L’Odissea”, Konchalovsky rispolvera la preparazione artistico- musicale raccolta durante gli anni del conservatorio per fare da apripista alla carrellata di film natalizi. Per l’occasione sceglie un trio valido e ben amalgamato: Elle Fanning, sorella d’arte della più celebre Dakota, cavalca il successo raggiunto con l’interpretazione in “Super 8” accompagnandosi ai caratteristi Nathan Lane e John Turturro, che archiviano un’altra buona prova.
“Ciò che sembra oltre la tua portata, in effetti può essere a portata di mano”: è questo il vero motto del film. Nonostante l’altalenante conduzione registica e il messaggio tutto natalizio fin troppo abusato, le festività potevano cominciare peggio.
VOTO 6/10
Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano

Speciale Ken Russel


Uno dei piu controversi registi del cinema britannico, classe 1927.
Prima di dedicarsi al cinema il nome di Ken Russel è stato molto popolare nel circuito televisivo in quanto realizzatore di importanti documentari e telefilm per la BBC.
Nel 1971 uno dei suoi film, “I diavoli”, divenne un caso in italia, per i contenuti scandalosi ed il film fu sequestrato e ridistribuito con tagli. Un suo altro grande successo fu “Tommy” film ispirato al disco dei Who, con star della musica del calibro di Elton John ed Eric Clapton. Il rapporto stretto tra Russel e la musica si ritrova anche in film come “L’altra faccia dell’amore”, sulla vita di Čajkovskij, e “La perdizione” sulla vita del compositore Gustav Mahler.
Le sue pellicole, che ricordano vagamente quelle Fellini, sono deliranti, visionari, viscerali, sconvolgenti.
Ricordiamo in particolare “Stati di allucinazione” (1980).
Straordinario debutto cinematografico di Will Hunt (motivo di vanto per la pellicola), il film è la storia fantascientifica del dottor Eddie Jessup (Hunt), che attraverso una vasca di deprivazione sensoriale riesce ad accedere a livelli regressi della sua mente e a ripercorrere le catene del suo DNA fino ad arrivare alla specie primigenea dell’essere umano ed ancora oltre. Interessantissimi risvolti psichedelici, visivamente, ma anche filosofici: Eddie fa esperienza dell’assenza della ragione e del puro istinto, arriva così indietro nella sua memoria genetica da riuscire a distinguere in sé la meraviglia e l’indefinito e l’infinito orrore che la Vita stessa, appena nata, prova per la sua improvvisa e precaria esistenza. Solo la presenza al suo fianco di Emily (Blair Brown) potrà salvarlo dall’abisso in cui sta precipitando, tra visioni di un passato infinitamente lontano, richiami religiosi, provocazioni visive che riescono a risultare efficaci tutt’ora, soprattutto perchè hanno una struttura interessante a sostenerle e giustificarle. Ricordiamo infine le musiche nominate all’oscar, che ben accompagnano il film nella sua evoluzione da thriller-fantascientifico a pseudo- horror, dove kantianamente l’orrore non è attorno, ma dentro di noi.
VOTO 6/10
Pier Lorenzo Pisano
Marco Fiorillo

Hook- Capitano Uncino (1991)


Robin Williams: Peter Banning/ Peter Pan
Dustin Hoffman: Capitano Giacomo Uncino
Julia Roberts: Campanellino
Bob Hoskins: Spugna
Maggie Smith: Wendy Moira Angela Darling
Caroline Goodall: Moira Banning
Charlie Korsmo: Jack Banning
Amber Scott: Maggie Banning
Dante Basco: Rufio

Regia: Steven Spielberg
Soggetto: James Hart, Nick Castle, james M. Barrie
Sceneggiatura: james Hart, Malia Marmo
Fotografia: Dean Cundey
Montaggio: Michael Kahn
Effetti Speciali: Eric Brevig, Michael Lantieri
Musiche: John Williams
Scenografie: Norman Garwood

Peter Banning (Robin Williams) è un avvocato di successo totalmente assorbito dalla sua carriera. Non riesce a trovare un momento da dedicare alla moglie Moira (Caroline Goodall) e ai figli Jack (Charlie Korsmo) e Maggie (Amber Scott). Decide, così, di concedersi una breve vacanza per Natale: insieme alla famiglie si reca a Londra per rincontrare dopo dieci anni la sua madre adottiva Wendy (Maggie Smith), nonna di Moria. L’avvocato è, infatti, un orfano di cui Wendy si è occupata. Proprio in occasione delle festività natalizie, all’ormai anziana signora viene dedicato un ospedale, in segno di riconoscimento per l’affetto dimostrato ai tanti trovatelli che ha accudito e cresciuto. Durante la celebrazione Jack e Maggie vengono rapiti in casa di nonna Wendy. Un biglietto che invita Peter a riprendersi i suoi bambini, firmato Capitan Giacomo Uncino, costringe Wendy a rivelargli che un tempo è stato Peter Pan, signore dei bambini sperduti dell’Isola che non c’è e acerrimo rivale di Uncino. Seppur restio a credere, Peter Banning/ Pan viene portato sull’Isola che non c’è da una vecchia amica, la fatina Campanellino (Julia Roberts): qui Peter dovrà ricordarsi com’era essere un bambino, com’era essere Peter Pan. La posta in palio sono i suoi figli.
Nel lontano 1902, James M. Barrie pubblicava le prime storie del suo nuovissimo Peter Pan, personaggio più rivolto ad un pubblico adulto. L’enorme successo della storia ne aumentò la cassa di risonanza, stuzzicando maggiormente l’attenzione dei più piccoli, fino alla definitiva consacrazione con la trasposizione cinematografica del 1953 targata Walt Disney. Da allora, il “bambino che non voleva crescere” è stato oggetto di varie opere cinematografiche, di cui la più recente, “Neverland- Un sogno per la vita”, risale al 2004. In questa “saga”si colloca, appunto, “Hook- Capitan Uncino”, progetto che ripercorre l’originaria vocazione adulta del personaggio. Il Peter di Robin Williams ha da tempo svestito la calzamaglia verde in favore della giacca e della cravatta: ha dimenticato la sua infanzia e sta lentamente dimenticando anche cosa vuol dire essere padre. C’è bisogno che il cattivo glielo ricordi: un Uncino depresso e stanco della vita alla disperata di ricerca di qualcosa che continui a stimolarlo. “Seconda Stella a destra e poi dritto fino al mattino” è questa la strada che entrambi seguono per arrivare, anche se in modo assolutamente diverso, al bambino che hanno dentro e che non riescono più a contattare. Una metaforica rivisitazione in chiave drammatica della storia raccontata da Barrie che non manca, comunque, di spensierata ironia ed azione, risultando un prodotto perfettamente riuscito in tutte le sue sfumature.
La pellicola, avviata inizialmente da Spielberg, viene curata per buona parte da James Hart ch,e ispirato dal figlio, decide di portare in scena un Peter cresciuto. In corso d’opera, Spielberg ci ripensa e ritorna alla conduzione dietro le telecamere, portando a termine ciò che aveva cominciato. Il tutto nasceva, inoltre, come un musical, tuttavia, delle canzoni di Williams, ne viene cantata solo una mentre le altre fungono semplicemente da colonna sonora.
Per l’occasione il regista si affida ad un cast d’eccezione. Spicca, ovviamente, la splendida coppia protagonista: non c’era attore migliore di Williams per interpretare un adulto che torna a divertirsi come un bambino mentre Hoffman riesce a caratterizzare splendidamente il suo Uncino, regalandoci e regalandosi forse l’unica “interpretazione cattiva” della sua carriera. Al fianco di Peter, la rimpicciolita Julia Roberts, nei panni di Trilli Campanellino, e l’amorevole Nonna Wendy, interpretata da Maggie Smith. Dalla parte dell’uncino, la macchietta Spugna, i cui panni sono vestiti da Bob Hoskins. Ad un cast già così nutrito, si aggiungono svariate comparse, tra cui ricordiamo: Glenn Close, il pirata torturato all’inizio del film, il cantante Phil Collins, Gwyneth Paltrow, nei panni della giovane Wendy, Max Hoffman, figlio di Dustin, e, dulcis in fundo, un cameo di Geroge Lucas e Carrie Fisher.
VOTO 8/10
Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano

lunedì 28 novembre 2011

True Justice- Incrocio Mortale (2011)


Steven Seagal: Elijah Kane
William Stewart: Andre Mason
Sarah Lind: Sarah
Meghan Ory: Juliet
Warren Christie: Radner
Regia: Wayne Rose, Keoni Waxman, Lauro Chartrand
Sceneggiatura: Stven Seagal
Fotografia: Nathan Wilson
Musiche: Carly Paradise7
Scenografie: Andrew Deskin
Montaggio: Trevor Mirosh

Camp Harmony, Seattle, sede della SIU, Unità Invesigativa Speciale. I membri della squadra, Mason (William Stewart), Juliet (Meghan Ory), Radner (Warren Christie) e la novella Sarah (Sarah Lind), capitanati da Elijah Kane (Steven Seagal), si trovano ad indagare sull’assassinio di due nativi gestori di un market. L’omicidio lascia due piste, l’una conduce ad un gruppo di criminali locali di poco conto e ad un ufficiale che lavora proprio nella SIU. Seguendo sentieri diversi, le due strade conducono allo stesso obiettivo: il narcotrafficante russo Nikolai, il pesce grosso obiettivo di Kane e co.
“Incrocio Mortale” è il primo di sei film che vedranno protagonista Steven Seagal nei panni del capitano della SIU Elijah Kane. Il progetto, il cui motore è lo stesso Seagal, è arrivato prima in Spagna, ridotto ad una serie tv di 13 episodi, poi in Inghilterra, per poi arrivare al circuito italiano, come una serie composta da sei film per la televisione.
In collaborazione con i registi Wayne Rose, Keoni Waxman e Laruo Chartrand, Seagal porta in scena il più tipico dei format americani, quello poliziesco/investigativo, senza aggiungere quasi nulla: una squadra di infiltrati speciali che opera al limite della legalità; quattro personaggi scontati per caratteri ed alchimie: Mason l’agente pacato, Juliet la bella e stronza, Radner il donnaiolo sparatutto, Sarah la nuova arrivata e Kane il capo risolvi-tutto; un ricco spacciatore russo e night club da sfondo continuo.
Il tutto ruota attorno alla figura di Segal: dopo una carriera da stuntman, attore e musicista, la cintura nera di 7° DAN si regala qualche ultimo combattimento. Una gioia per i fan datati che seguono le gesta del picchiatore bianco dai tempi di “Nico”, intrattenimento un po’ mediocre per il resto della platea: aspettiamo di vedere i prossimi episodi.
Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano

Il punto del weekend

Novembre finisce in grande stile, in un weekend cinematografico vario ed interessante, tra robot pugili, rapine improbabili, intrighi d’amore e toccanti ritratti di vita vissuta. Un fine settimana corposo e qualitativo cui si aggiunge l’uscita infrasettimanale della commedia nostrana “Anche se è Amore non si vede”.

I PROTAGONISTI

Finalmente arriva nella sale una delle pellicole più attese dell’anno “Real Steel”. Ambientato in un 2020 in cui i pugili sono stati sostituiti da automi combattenti, il film racconta di Michael Kenton e di suo figlio Max, alle prese con un difficile rapporto padre-figlio e con la carriera pseudo- sportiva, come interfaccia umana dei robot che si scontrano sul ring. Il regista Shawn Levy, ispiratosi per l’occasione ad un racconto breve di Richard Matheson, si affida all’australiano Hugh Jackman e alla promessa Dakota Goyo, rispettivamente Kenton padre e figlio, portando sulla scena una rivincita sportiva dal sapore “rockyniano” ed un film per famiglie in cui “vissero tutti felici e contenti”.

Attesissima era anche la pellicola d’animazione “Happy Feet 2”. Il pinguino Mambo è cresciuto, ha sposato Gloria ed è diventato papà del piccolo Erik. A differenza del padre, però, Erik non sembra portato per il ballo e per il canto: scappa, così, dalla colonia per poi riconciliarsi con il padre e salvare insieme gli altri pinguini, minacciati dai cambiamenti climatici. nel 2006, George Miller aveva incantato pubblico e critica con “Happy Feet”. Oggi riporta sullo schermo Mambo e famiglia, facendo, ancora una volta, della musica e dell’impegno eco-animalista le sue armi vincenti; nonostante l’uso del 3D e di un cast doppiatori d’eccezione (basti citare Robin Williams, Pink, Brad Pitt e Matt Damon), Miller di sicuro non riesce a bissare il successo ottenuto col primo episodio.

Conclude gli arrivi dagli States, “Tower Heist”. Il film racconta di John Kovacs che mette in piedi un improbabile banda di rapinatori per portare a compimento la più improbabile rapina della cinematografia, a scapito del ricco Arthur Shawn, reo di truffa nei loro confronti. Brett Ratner prescrive la medicina anti-crisi: una commedia di eroismo sociale, una storia di ironica disperazione in cui il serio si amalgama al faceto, divertendo e lanciando un messaggio. Il tutto retto da un cast singolarmente allenato ma per la prima volta riunito in squadra: Ben Stiller guida la banda formata da Eddy Murphy, Matthew Broderick, Tea Leoni, Casey Affleck e Michael Pena.

Anticipa, invece, le nuove uscite del venerdì, la pellicola italiana “Anche se è Amore non si vede”, in programmazione da mercoledì. La pellicola racconta la storia di Valentino e Salvo, proprietari di un’agenzia turistica torinese ed amici d’infanzia mal assortiti: timido e premuroso il primo, sfacciato e donnaiolo il secondo. Al loro universo si aggiungono Gisella, stanca del morboso affetto del marito Valentino, la nuova impiegata dell’agenzia Natasha e l’amica Sonia. La super coppia comica italiana Ficarra e Picone ritorna al Grande Schermo, portando in scena un film atipico rispetto ai precedenti, in cui l’amore “all’inglese”, fatto di equivoci ed humor, fa da protagonista; un film riposante, per il duo abituato a ritmi intensissimi davanti e dietro le telecamere. Al loro fianco, nella performance di attori/registi, il talento delle donne del set, Ambra Angiolini, Diane Fleri e Sasha Zacharias, e la penna dello sceneggiatore Francesco Bruni.

Ancora dall’Italia arriva “Inti- Illimani – Dove cantano le nuvole”, film documentario che ripercorre le vicende di un memorabile gruppo dell’America Meridionale, gli Inti- Illimani appunto, ricordando anche le tappe storiche della loro patria d’origine, il Cile. I registi Paolo Pagnoncelli e Francesco Cordio realizzano un documentario che riesce a sfuggire, si, alle peculiari caratteristiche del genere, ma che rimane incompiuto proprio per questo, risultando comunque un buon prodotto d’informazione.

“Dulcis in fundo”troviamo “Miracolo a Le Havre”. Il protagonista è Marcel Marx, un lustrascarpe che si divide tra la casa e la moglie Arletty, il bar all’angolo e la stazione. La sua vita viene improvvisamente sconvolta dalla grave malattie di Arletty e, soprattutto, dall’incontro con un bambino emigrato in Francia dall’Africa Nera, cui Marcel offrirà aiuto per superare il canale ed arrivare in Inghilterra per riabbracciare la madre. “Miracolo a Le Havre” è l’ultima perla stillata dal finlandese Aki Kaurismaki. È la storia del vero miracolo, consistente nel fatto che “restano i miracoli”, quelli che cambiano le vite dei più sfortunati, delle persone reali. È un miracolo cinematografico che dimostra, semmai ce ne fosse ancora bisogno, l’enormità del potenziale qualitativo del cinema europeo, rappresentato per l’occasione dalla compagnia Sputnik, proprio di Kaurismaki, coadiuvata da produttori francesi e tedeschi.

LE SORPRESE

A sorprendere, questa settimana, è Dakota Goyo, il piccolo interprete scelto da Levy per vestire i panni di Max Kenton al fianco di Hugh Jackman. Proprio l’attore australiano ha da dire molto bene del giovane Dakota: “E’ entrato ed io e Shawn siamo rimasti stupiti perché si vede che ha un’anima. Anche se non fa niente la camera gli legge l’anima, lascia che la cinepresa gli entri dentro. Per un bambino di quell’età è una cosa rara”. Sembra che la Walt Disney abbia aggiunto un altro componente alle sue folte fila.

I FLOP E I TOP

Parlare di migliori e peggiori, in un fine settimana che non dispiace affatto in qualità, diviene questione di “pelo nell’uovo”. Tra i protagonisti che convincono di meno:

3°. Terz’ultimo posto per Ficarra e Picone. La coppia di comici produce di sicuro un buon prodotto d’intrattenimento mutuando, però, scelte registiche e tematiche scontate, soprattutto per la più recente cinematografia italiana.

2°. Al secondo posto troviamo Shawn Levy. Il regista di “Real Steel”, nonostante la buona rivisitazione grafica del romanzo di partenza, ne stravolge la componente narrativa in favore di una storia ampiamente aperta allo scontato e all’eccessiva emotività in formato familiare.

3°. Punito al massimo grado, invece, il cast di “Tower Heist”. Più che una vera “critica” più un richiamo per Ben Stiller e co. che, dopo averci abituato a prove comiche di altissime livello, calano nella loro ultima uscita, nonostante i due anni di preparazione.

Infine, coloro che maggiormente si evidenziano nelle produzioni di ultima uscita:

3°. Medaglia di bronzo a Brett Ratner. Il regista riesce a dare animata impegnata ad un film nato come commedia tutta divertimento e gag: centra perfettamente l’obiettivo, affrontando un problema, quello economico, così attuale e importante in un periodo in cui perdere il posto di lavoro è normale amministrazione, non solo in USA.

2°. Il secondo gradino è occupato dalla coppia formata da Andrè Wilm e Kati Outinen. I due attori interpretano perfettamente i caratteri ideati da Aki Kaurismaki nel suo “Miracolo a Le Havre”, partecipando in buona parte all’ottima realizzazione della pellicola.

1°. Si laurea campione dell’ultimo finesettimana di Novembre proprio Aki Kaurismaki. Il regista finlandese fornisce l’ennesima ottima prova, intarsiando un intreccio realistico, vivido, drammatico.

BOX OFFICE

I botteghini premiano la pellicola italiana firmata “Anche se è amore non si vede” che, forte dell’uscita anticipata, raccoglie 1.430.323,78€ nelle prime 48 ore. Nonostante l’ottima accoglienza riservatagli nelle sale internazionali, riceve un’accoglienza fredda l’atteso “Real Steel”, con 554.643,51€. Non vanno meglio neanche gli altri film d’oltreoceano “Tower Heist”, con 300.001,90€, e “Happy feet 2”, fermo a 390.643,34€.

Marco Fiorillo

Pier Lorenzo Pisano

domenica 27 novembre 2011

Real Steel (2011)


Hugh Jackman: Charlie Kanton
Dakota Goyo: Max Kanton
Evangeline Lilly: Bailey
Anthony Mackie: Finn
Kevin Durand: Ricky

Regia: Shawn Levy
Soggetto: Richard Matheson, Dan Gilroy, Jeremy Leven
Sceneggiatura: Leslie Bohem, John Gatins
Fotografia: Mauro Fiore
Montaggio: Dean Zimmerman
Musiche: Danny Elfman
Produttori: Steven Spielberg, Robert Zemeckis, Walt Disney Pictures (distribuzione)

Nel 2020 la boxe non è più roba per pugili umani, sostituiti da robot in grado di infervorare tutto il mondo sportivo. L’ex boxeur Charlie Kenton (Hugh Jackman) prova disperatamente a tirare avanti, distruggendo un automa dopo l’altro nel sottobosco dei combattimenti illegali. Tra capo e collo, gli capita anche il figlio undicenne, Max (Dakota Goyo), affidatogli dopo l’improvvisa morte della madre. Ad unire i due sarà proprio la robot boxe. La voglia di vincere del piccolo Max ridarà energia e grinta allo spento Charlie: solo insieme riusciranno a raggiungere la meta sportiva e la felicità.
Per la realizzazione di “Real Steel”, Shawn Levy si ispira liberamente a “Steel”, racconto breve di Richard Matheson,già oggetto d’una riduzione per l’episodio “Acciaio” della serie tv “Ai Confini della Realtà”. Della storia raccontata da Matheson, Levy conserva ben poco, servendosene per ramificare la propria regia verso varie direzioni. “Real Steel” è, prima di tutto, una storia di rivincita sportiva, di seconde occasioni: Zeus, il robot campione del Mondo, concede al dilettante automa Atom, “animato” dai due Kenton, l’occasione di lottare per il titolo. È impossibile mancare il paragone con Apollo Creed che scelse un certo Rocky come sfidante, nell’omonima storica pellicola; quando poi Atom/Jackman sembra invitare l’avversario a colpire perché “non fa male”, i dubbi scompaiono definitivamente. Alla vicenda sportiva si accompagna la storia familiare, il riavvicinamento di padre e figlio e la “rinascita” di Charlie, proprio grazie alla vicinanza di Max. Anche in questo caso tocca scomodare Stallone: a Jackman manca solo il capellino di traverso per ricordare Sly nel viaggio in camion che caratterizza “Over the Top”. Qualche evidente sbalzo emotivo lede l’impianto dei rapporti costruiti sulla scena che rimangono comunque parte fondante dell’opera, come voluto dalla direzione produttiva della Walt Disney. Nonostante i richiami storici, Levy riesce ad immergere perfettamente la pellicola nella modernità della cinematografia, sostituendo i protagonisti in carne ed ossa con montagne di acciaio e lamiera, cavalcando la moda tanto apprezzata dei Transformers di Optimus Prime. Questa volta,però, gli automi sono stati realizzati con la tecnica del motion capture, con dei veri pugili coreografati da Sugar Ray Leonard, gloria dell’umano pugilato.
A vestire i panni di Charlie Kenton, Levy sceglie Hugh Jackman. Il muscolare australiano si vede affiancato dal giovanissimo Dakota Goyo, da cui sono stati immediatamente rapiti regista ed attore. Si aggiunge alla coppia, colonna portante di tutta la vicenda, Evangeline Lilly, volto noto ai fan della fortunatissima serie tv “Lost”. Dietro le telecamere, Levy si affida alla “penna” dello sceneggiatore Leslie Bohem, alla fotografia di Mauro Fiore, uno dei pochi ingranaggi italiani della “Macchina dei Sogni” ed alla direzione musicale del prolifico Danny Elfman. Il tutto sotto l’approvazione di Steven Spielberg e Robert Zemeckis, produttori d’eccezione.
Film per famiglie e pellicola sportiva dall’ottima realizzazione visiva: “Real Steel” racchiude e riunisce entrambe le anime in un unico prodotto ben fatto.
VOTO 7/10
Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano