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lunedì 6 febbraio 2012

Il Punto del Weekend


Come si chiudeva Gennaio, allo stesso modo comincia Febbraio: all’ombra delle ambite candidature alle statuine degli Oscar. Un fine settimana ricco e qualitativo: scopriamone insieme i protagonisti.

I PROTAGONISTI
Fa incetta di nomination (11 per la precisione, tra cui Miglior Film e Miglior Regista) l’ultima fatica di Martin Scorsere “Hugo Cabret”. La pellicola, tratta dal romanzo di Brian Selznick “La Straordinaria Invenzione di Hugo Cabret”, racconta di un piccolo orfano, Hugo Cabret appunto, che vive segretamente nella stazione di Montparnasser nella Parigi degli anni ‘30: l’unica cosa che possiede è un automa, lasciatogli dal padre, che tenterà di riassestare con l’aiuto di Georges Melies e di Isabelle. Quando uno dei film-maker che hanno fatto la storia del Grande Schermo incontra la miglior tecnologia grafica presente sul mercato, ciò che ne risulta non può essere definito semplicemente un film per bambini: sceneggiato da John Logan, musicato da Howard Shore ed interpretato da un cast variegato e validissimo, definirlo un kolossal non sembra riduttivo.
Grande escluso delle più recenti candidature è, invece, “Millenium- Uomini che odiano le Donne”. Ambientato in Svezia nel 2006, il film ruota attorno alle figure di Mikael Blomkvist, giornalista quarantenne, e Lisbeth Salander, hacker ventiquattrenne tra il punk e il disadattato: insieme dovranno indagare su una serie di omicidi verificatisi nel ventennio ’40- ’60 e legati alla famiglia Vanger. Dopo lo spettacolare successo del romanzo di Sties Larsonn “Uomini che odiano le Donne”, pensare che potesse bastare un’unica riduzione cinematografica, l’omonima pellicola di Niels Arden Oploe del 2009, lungi dall’americano costume. Ci pensa allora David Fincher, da sempre affascinato dal crimine e dall’oscuro, che si associa la penna dell’ottimo Steven Zaillian e la coppia Daniel Craig – Rooney Mara.
Sempre dagli States arriva “I Muppet”, nuova avventura dei famosi pupazzi di Jim Henson: il petroliere Tex Richman sta per demolire l’ormai fatiscente teatro dei Muppet: devono, allora, intervenire Gary, Mary e Walter che decidono di rimettere insieme la banda ed organizzare una maratona Telethon. A dodici anni da “I Muppet venuti dallo Spazio”, assistiamo al loro ritorno al Grande Schermo, diretti per l’occasione da Jim Bobin: la scelta di coniugare le vicende delle marionette e quelle umane risulta il vero collante del girato.  Oltre alla coppia protagonista, costituita da Jason Seagal (anche sceneggiatore) e Amy Adams, il cast è arricchito da numerosissimi camei, da Jack Black a Whoopi Goldberg, da Neil Patrick Harris a Selena Gomez.
Dal Vecchio Continente arrivano, invece, “Polisse” e “Sulla Strada di Casa”. Produzione francese dalle tinte fosche, “Polisse” racconta della straziante routine degli agenti dell’Unità Protezione Infantile della polizia parigina. Affascinata da un documentario, la regista Mainwenn Le Besco, coordinata dallo sceneggiatore Emmanuelle Bercot, mette su celluloide una storia cruda, fatta di violenza, forza d’animo e speranza. Ottime le prerogative, meno riuscito il prodotto ultimo. Arriva dall’Italia, invece, “Sulla Strada di Casa”, incentrato sulla figura di Alberto, impresario, padre e marito che decide di arrotondare i conti facendo da corriere ad alcuni criminali; durante il secondo viaggio qualcosa, però, va storto e la sua famiglia viene presa in ostaggio. Opera prima e pluripremiata di Emiliano Corapi che, con un budget modesto e senza alcun effetto speciale, riesce comunque ad appassionare gli spettatori: è la vita d’un italiano medio costretto a liberarsi del suo senso del giusto per tirare avanti. È una nuova angolazione della stessa ripresa: quella di un’Italia ormai allo sbando. Oltre all’ottimo lavoro dietro le telecamere, da segnalare anche la prestazione dei due protagonisti Vinicio Marchioni e Daniele Liotti, cui si accompagna la più popolare Claudia Pandolfi.
Dulcis in fundo, l’ultima produzione d’oltre oceano “Hesher è stato qui”. Il giovane T.J., già pesantemente provato dalla morte della madre cui si accompagna la depressione del padre, viene ulteriormente sconvolto dall’arrivo tra le mura domestiche di Hesher: capelli lunghi, troppi tatuaggi e imprevedibilmente volgare. La pellicola di Spencer Susser riprende un tema ormai caro al Grande Schermo, svolgendo però il proprio personale iter: se l’inizio era dei migliori, complice l’ottima prova del trio protagonista, il lavoro di Susser si perde in un lieto fine estremamente mieloso e poco coerente col resto del girato.

LE SORPRESE
Rappresentano la nuova generazione di interpreti Asa Butterfield e Chloe Moretz. Inglese d’origine, Butterfield cominciò a recitare all’età di sette anni ma è nel 2008 che il suo talento scoppia con “Il Bambino col pigiamo a righe”; ultimamente, è stato scelto per interpretare il piccolo Mordred nella serie televisiva “Merlin”. Anch’essa del 1997, la statunitense Chloe vanta qualche lavoro in più all’attivo: dopo “Amityville Horror” e “The Eye”, arrivò la definitiva affermazione con “Kick Ass” e “Blood Story”.

I FLOP E I TOP
Scopriamo ora chi finisce dietro la lavagna questo fine settimana:
3°.    Solo un richiamo per David Fincher. Il regista, escluso a sorpresa dalle candidature agli ormai prossimi Oscar, sceglie di riprendere una storia già protagonista sul Grande Schermo: se l’impegno profuso rende giustizia al risultato finale, da uno come Fincher ci si aspetterebbe almeno un’idea originale.
2°.    Secondo gradino del podio per Mainwenn le Besco. La regista di “Polisse”, storpia la sua pulita direzione cercando di ampliare troppo macchinosamente il sottobosco emotivo della propria vicenda.
1°.    Peggiore della settimana è Spencer Susser. Quasi parallelamente alla le Besco, anche Susser comincia bene e termina male: dopo aver dato una precisa impronta alla propria pellicola non ne rimane coerente, in favore d’un finale scontato e modaiolo.
Arrivano un po’ preannunciate le assegnazioni a migliori del weekend:
3°.    Medaglia di bronzo a Emiliano Corapi. Affiancandosi a Giuliano Montaldo e al suo “L’Industriale, il direttore de “Sulla Strada di Casa”si iscrive nel filone di film- makers che ha fatto dell’ ”Italia dei poveri” una forma d’arte, aggiungendo qualità tecnica e narrativa al cinema nostrano.
2°.    Il secondo posto del podio è occupato da Rooney Mara. La bella statunitense, sbocciata definitivamente nel 2010 partecipando a “Nightmare” e “The Social Network”, dimostra di meritare in pieno la candidatura a Miglior Attrice Protagonista: basterebbe citare l’estremo trattamento estetico cui si è sottoposta per entrare nel personaggio.
1°.    Più che scontata la nomina a migliore della settimana di Martin Scorsese. Lo straordinario impegno profuso in “Hugo Cabret” è solo la summa d’una vita dedicata interamente al cinema: ringraziarlo è doveroso.

BOX OFFICE
Il dominio di Bisio e Siano continua imperterrito: la coppia comica riesce a raggiungere quota 24.180.505€. Tra le nuove uscite, invece, riesce a ritagliarsi un posticino in vetta solo “Hugo Cabret”, con 1.764.073€, mentre deludono “Millenium- Uomini che odiano le Donne”, fermo a quota 905.230, e “I Muppet”, a 149.318€.

Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano

True Justice- Guerriglia Urbana (2011)

Steven Seagal: Elijah Kane
William Stewart: Andre Mason
Sarah Lind: Sarah
Meghan Ory: Juliet
Warren Christie: Radner

Regia: Wayne Rose, Keoni Waxman, Lauro Chartrand
Sceneggiatura: Steven Seagal
Fotografia: Nathan Wilson
Musiche: Carly Paradise
Scenografie: Andrew Deskin
Montaggio: Trevor Mirosh

Durante le fasi mattutine di un rave, una giovane ragazza rimane uccisa dopo l’assunzione di sostante stupefacenti e due uomini vengono inseguiti e fermati dalla SIU al completo: a mancare all’appello è Radner (Warren Christie), sostituito dall’agente Geitz, nipote del sindaco e compagno promissorio di Sarah (Sarah Lind). La nuova droga continua a mietere vittime: i cadaveri vengono presto associati a Paul Franco e suo figlio Tommy. Geitz intanto si guadagna la pagnotta: riesce a strappare informazioni utili riguardo i nuovi spacciatori e la loro sede. Ma le notizie rinvenute hanno un caro prezzo: mentre lui finisce in una sparatoria che lo metterà fuori gioco per un po’, la sua informatrice del reparto Anti Droga viene assassinata.
Rimane tempo per le vicende personali di Mason (William Stewart), che rivela i gravi problemi respiratori e viene lasciato dalla moglie incinta, preoccupata della continua assenza e dei pericoli giornalieri del marito.

Al di là delle considerazioni del caso, quest’ultimo episodio di “True Justice” ci permette di fare un bilancio dell’intero progetto. Se sul giudizio ultimo pesa il format scelto per la distribuzione italiana (sei film racchiudono l’intera stagione, trasmessa come una regolare serie in USA), certamente averne rispettato le caratteristiche seriali sarebbe servito veramente a poco: sembra di vedere la brutta copia dei più famosi titolo del Piccolo Schermo, su tutti “CSI” e “The Shield”, arricchita dalla prepotente presenza di Steven Seagal, anima del girato davanti e dietro le telecamere. Sono lontani i tempi della coda di cavallo e dei calci imbattibili, arrivato ormai a sessant’anni, il picchiatore di Lansing dovrebbe decidersi  ad “appendere i ciak al chiodo”.

Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano

Il Mago di Oz (1939)

Judy Garland: Dorothy Gale
Frank Morgan: Mago di Oz
Ray Bolger: Spaventapasseri
Bert Lahr: Leone
Jack Haley: Uomo di latta
Margaret Hamilton: Strega cattiva
Billie Burke: Fata buona del nord

Regia: Victor Fleming
Soggetto: L. Frank Baum
Sceneggiatura: Noel Langley



In una fattoria del Kansas dove vive con gli zii, la piccola Dorothy è in pena per il suo cagnetto Toto: durante un uragano un tornado l’ha trasportato al di là dell’arcobaleno, nel fantastico paese di Oz. Qui, Dorothy incontra uno spaventapasseri senza cervello, un uomo di latta privo di cuore, un leone senza coraggio ed un mago che non è quello che sembra, una strega buona ed una strega cattiva.

Tratto dal primo dei tredici libri di Frank Baum e con una sceneggiatura che ebbe più revisioni, “Il Mago di Oz” ebbe riprese agitatissime: due registi (Thorpe e Cukor) sostituiti dopo appena due giorni ed un terzo (Vidor) che diresse la parte iniziale ed il finale, e svariate sostituzioni degli attori.
Per gigantismo produttivo si avvicina statisticamente al kolossal “Via col Vento”: 65 scenografi, 4000 costumi per 1000 interpreti tra cui 350 nani, 136 giorni di riprese ed un costo totale che si aggirava attorno ai 2.700.000$
All’attivo di questo megafilm per famiglie: l’efficacia degli effetti speciali, l’immaginosa vivacità dei personaggi fantastici, una canzone destinata a durare e la felicissima scelta della Garland nelle vesti della protagonista Dorothy.
Il successo fu trionfale e duraturo in USA ma non in Italia, dove venne distribuiti solo nel 1949. Di sicuro la migliore delle riduzioni cinematografiche dell’opera di Baum.

VOTO 7/10
Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano 

Il Punto del Weekend


Se l’inizio dell’anno aveva portato tanta qualità, gennaio si conclude con un’esplosione di talento e fascino nelle sale cinematografiche. Andiamo a conoscere i protagonisti dell’ultimo weekend del mese.

I PROTAGONISTI
A sedici anni dall’uscita nelle sale del primo capitolo della saga, Tom Cruise ritorna a vestire i panni dell’agente segreto Ethan Hunt nell’ultimo “Mission Impossible- Protocollo Fantasma”. Questa volta, Hunt e gli ultimi agenti della IMF devono fare i  conti con un mandato d’arresto emesso a seguito della distruzione del Cremlino, durante una loro operazione: il governo americano riesce a proteggerli attivando il “protocollo fantasma”, dando a Hunt e compagni l’opportunità di affrontare il terrorista sovietico Kurt Hendricks. Dopo la spy-story di Brian de Palma, lo stile adrenalinico di John Woo e l’articolata trama di J.J. Abrams, le missioni impossibili passano nelle mani di Brad Bird, genio della Pixar (Premio Oscar per “Gli Incredibili” e “Ratatouille”), alla sua prima esperienza con attori in carne ed ossa: il cast, la presenza di Abrams, questa volta in veste di produttore, e il supporto digitale della Industriale Light&Magic gli hanno facilitato il lavoro.
Arriva sempre dagli States una delle pellicole protagoniste delle ultimissime nominations ai Golden Globe, “L’Arte dei Vincere”. Primo attore della vicenda è Brad Pitt, nei panni di una ex promessa del baseball professionistico, oramai impegnato come General Manager di una squadra di media classifica e di medie ambizioni: la sua voglia di vincere, però, cambierà radicalmente le sorti del team. Lungi dall’essere la classica vicenda sportiva “all’americana”, “L’Arte di Vincere” si rivela un racconto di vita emozionante e vivido, impreziosito dalla conduzione tecnica dell’entourage tutto e dalle ottime prestazioni attoriali. A dimostrarne la qualità ben sei candidature, tra cui la più ambita a Miglior Film.
Arriva, invece, dal Regno Unito “The Iron Lady”. La pellicola ripercorre la vita dell’ex primo ministro britannico Margaret Thatcher, dall’infanzia all’insediamento politico, fino ai giorni precedenti la Guerra delle Falkland. Nonostante l’impegno profuso e i nomi cui si associa, la pellicola piace ma non esageratamente: Meryl Streep caratterizza poco la sua Margaret ( non a caso la sua candidatura a Miglior Attrice Protagonista è una delle più discusse) mentre della conduzione di Phyllida Lloyd  merita menzione solo il punto di vista adottato, più personale e meno politico. Un compitino svolto bene ma nulla di più.
Ci spostiamo, poi, a Sarajevo da cui proviene “Il Sentiero”. Luna e Amar conducono una vita modesta, sono felici e cercano di avere un figlio ricorrendo all’inseminazione artificiale. Amar, però, perde il lavoro e si associa ad una comunità mussulmana che gli offre lavoro come insegnate d’informatica: le strade dei due innamorati si allontanano progressivamente. Il film è diretto da Jasmila Zbanic che, forte dell’Orso d’Oro vinto con “Il Segreto di Esma”, ritorna ad affrontare il tema femminilità&integrazione, focalizzando l’attenzione sui diversi trattamenti che caratterizzano Occidente e Oriente.
Infine, un made in Italy che continua la striscia positiva nostrana. “A.C.A.B.” racconta di Negro, Mazinga e Cobra, tre poliziotti antisommossa, tre compagni di lavoro e di vita chiamati ad intervenire laddove l’ordine e i codici lasciano spazio a scudo e manganello. Profondamente emozionante e realistico, e , soprattutto, lontano dai film d’azione alla poliziotti anni ’80, la storia, raccontata da Carlo Bonini su carta, prima, e da Stefano Sollima su celluloide, poi, è il racconto giornaliero di chi fa dell’equilibrio mentale l’unico modo per continuare a vivere, rimanendo protagonisti delle pagine più nere della cronaca nostrana. Sotto l’elmo, i volti di Pierfrancesco Favino, Filippo Nigro e Marco Giallini, responsabili d’un’ottima prova, cui si aggiunge il giovane Domenico Diele.

LE SORPRESE
Piacevolissima sorpresa del fine settimana è Jonah Hill. Classe 1983 e di origini ebree, Hill ebbe la sua prima occasione durante gli anni degli studi, quando la sua amicizia con i figli di Dustin Hoffman gli diede la possibilità di partecipare a “I Love Huckabees- Le Strane Coincidenze della Vita”, suo debutto cinematografico nel 2004. Da allora ha continuato ad adoperarsi sia in vesti di attore che di sceneggiatore, fino alla sua interpretazione in “L’Arte di Vincere”: la candidatura a Miglior Attore non protagonista, ottenuta proprio affiancando Brad Pitt, altro non è che il risultato dell’equazione.

I FLOP E I TOP
Minor quantità e elevata qualità mettono seriamente in difficoltà quando c’è da stabilire chi è piaciuto di meno:
3°.    L’ultimo gradino lo occupa il senatore Tom Cruise. Fortemente criticato perché non più economicamente valido come un tempo, Cruise è costretto a rivestire i panni dello storico agente Ethan Hunt: per provare il suo valore deve lanciarsi personalmente dall’edificio più alto del mondo, il Burj Khalifa, riconfermandosi uno dei migliori action-actor della piazza. Per accontentare tutti bisogna proprio fare i “salti mortali”.
2°.     Secondo tra i peggiori, Bennet Miller. Al regista di “L’arte di Vincere” va mosso un solo appunto, l’aver utilizzato così poco il talento caratterista di Philip Seymour- Hoffman, quasi assente al momento del montaggio finale.
1°.    Prima tra i cattivi, la veterana Meryl Streep. Dopo una vita splendidamente consegnata all’arte del Cinema, Meryl viene meno all’ultima uscita, proponendo una Margaret Thatcher scialba e scontata.
C’è l’imbarazzo della scelta, invece, nel segnalare i migliori di quest’ultimo weekend di Gennaio:
3°.    Medaglia di bronzo a Jasmila Zbanic. La bosniaca fondatrice dell’associazione artistica “Deblokada” fornisce nuovamente il proprio talentuoso apporto al Grande Schermo.
2°.    Più vicino alla vetta è l’italiano Stefano Sollima. Dopo i primi corti e l’esperienza da cameraman maturata in zone di guerra, il regista romano si da alla fiction all’italiana prima di approdare al lungometraggio proprio con “A.C.A.B.” nel 2012.
1°.    Medaglia d’oro al bello di Hollywood Brad Pitt. Conferma ciò che si dice per i vini, gli anni che passano per Brad valgono solo in esperienza e talento: restano  di “vecchio” solo le rughe, ma lui riesce a rendere belle anche quelle.

BOX OFFICE
Continua il dominio incontrastato della commedia italiana “Benvenuti al Nord”, ormai arrivata a quota 20.873.036€. Tra le nuove uscite, si piazzano in vetta il quarto episodio di “Mission Impossible” con 2.293.205€, “A.C.A.B.” che porta a casa 1.104.192€ e “The Iron Lady” a quota 841.439€. Amaro in bocca per “L’Arte di Vincere”: il misero bottino di 102.790€ non rende assolutamente giustizia ad una pellicola meravigliosa, apprezzata in tutto il Mondo.

Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano 

L’Arte di Vincere (2012)

Brad Pitt: Billy Beane
Jonah Hill: Peter Brand
Philip Seymour Hoffman: Art Howe
Robin Wright: Sharon
Chris Pratt: Scott Hatterberg
Kerris Dorsey: Casey Beane

Regia: Bennet Miller
Soggetto: Michael Lewis
Sceneggiatura: Steven Zaillian, Aaron Sorkin
Fotografia: Walter Wally Pfister
Montaggio: Christopher Tellefsen
Effetti Speciali: Robert Cole
Musiche: Mychael Danna
Scenografie: Jess Gonchor
Produzione: Scott Rudin

1979. Billy Beane (Brad Pitt), già stella del baseball scolastico e promettente talento del circuito professionistico, è chiamato a scegliere tra la carriera sportiva e il proseguimento degli studi all’Università di Stanford.
2001. Molte partite dopo, Billy Beane, ormai General Manager degli Oakland Athletics, si prepara ad affrontare una nuova stagione, dopo aver perso i tre giocatori migliori. Con un budget da media classifica, decide di affidarsi a Peter Brand (Jonah Hill), giovane economista della Yale e teorico d’una nuova filosofia del baseball: costruire una squadra senza dar conto a nomi e cartellini ma valutando solo gli standard di rendimento dei giocatori. Dopo aver concesso metà della sua vita al baseball, Beane affronta l’ennesima sfida.

Dopo la riduzione su celluloide del suo “The Blind Side: Evolution of a Game” nella quasi omonima pellicola del 2009 “The Blind Side”, il saggista e giornalista statunitense Michael Lewis regala una nuova storia al Grande Schermo, il suo ultimo romanzo “Moneyball: The Art of Winning an Unfair Game”. Trasformato in “Moneyball” (questo il titolo originale) dal regista Bennet Miller, quella che ci si para davanti ad una prima occhiata è la classica storia sportiva americana, in cui a vincere sono gli sfavoriti, quelli con tanto cuore e pochi soldi per intenderci. Niente di più sbagliato, dal momento che “Moneyball” è prima di tutto la parabola di un uomo, Billy Beane. Sarebbe meglio dire di tre uomini che hanno dedicato la propria vita al baseball: è la storia di un giovanotto che vede nascere e morire il proprio sogno di successo, che vede sfiorire col passare degli anni il proprio talento; è la storia di un General Manager cinico e spocchioso, convinto e deciso a vincere ciò che il campo non gli ha concesso; è la storia di un uomo che del baseball è ancora innamorato, quello che festeggia in una palestra vuota, che scappa dallo stadio perché convinto di non portar fortuna alla squadra, dell’uomo che riesce ancora a dire “Difficile non fare i sentimentali col baseball”. È la storia di un uomo che, ancora prima della sport, ha fatto della vittoria l’unica ragione della propria vita.

Parlare di capolavoro sembra più che doveroso, considerate le sei nominations agli Oscar, ricevute proprio la scorsa settimana.
 Protagonista e perno del girato Brad Pitt, ormai maturo e serioso, si lascia scrutare dalla cinepresa più interiormente di quanto non abbia mai fatto: gli sguardi, i gesti e qualche nuova ruga non fanno che esaltare un talento non più esclusivamente muscolare ma più vicino al cuore. Gli fa da spalla Jonah Hill in un’inedita veste seriosa: fa sfoggio di un’ottima interpretazione legandosi perfettamente al senatore che affianca. Meno spazio viene concesso, invece, a Philip Seymour Hoffman, “relegato” ad un ruolo marginale.
Al suo terzo lungometraggio Miller si affida agli ottimi sceneggiatori Steven Zaillian e Aaron Sorkin, espertissimi nella riduzione cinematografica di storie cartacee: vincitore dell’Oscar nel 1994 per “Schinder’s List”, il primo, fresco di statuetta con “The Social Network”, il secondo. A completare il ricchissimo entourage Wally Pfister,magistrale direttore della Fotografia, e Christopher Tellefsen, addetto al Montaggio. Se le nominations a Miglior Attore, Miglior Attore non Protagonista, Miglior Sceneggiatura non Originale, Miglior Montaggio e Miglior Missaggio Sonoro sottolineano lo spessore tecnico dei singoli, la candidature a Miglior Film ne consacra definitivamente la fattura eccellente.

Se le vicende sportive mirano spesso al dramma,  “Moneyball” emozione come poche.

VOTO 8/10
Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano 

Braveheart (1995)

Mel Gibson: William Wallace
Brendan Gleeson: Hamish Campbell
James Cosmo: padre di Hamish
Sophie Marceau: Isabelle
Patrick Mcgoohan: Edoardo I d’Inghilterra
David O’Hara: Stephen
Angus Mac Fadyen: Robert Bruce
Catherine McCormack: Murron Mac Clannough
Tommy Flanagan: Morrison

Regia: Mel Gibson
Soggetto: Randall Wallace
Sceneggiatura: Randall Wallace
Fotografia: John Toll
Effetti Speciali: Michael L. Fink, John Frazier
Musiche: James Horner
Scenografie: Peter Howitt

Nella Scozia del XIII secolo, vessata dagli inglesi, William Wallace (Mel Gibson), al quale hanno ucciso la moglie Murron (Catherine McCormack), si mette a capo di un gruppo di disperati ribelli. Li trasforma in un esercito che batte gli inglesi a Stirling. Intanto William conquista il cuore e la stima della regina Isabelle (Sophie Marceau), prosegue la guerriglia ma viene sconfitto a Falkirk. Abbandonato dai nobili scozzesi, passati dalla parte di Edoardo I, viene catturato e giustiziato.

Il colossal, uno degli ultimi con la C maiuscola, racconta la storia romanzata dell’eroe scozzese William Wallace. Oltre che per la partecipazione emotiva cui “obbliga” lo spettatore, la pellicola impressiona per la fattura delle sequenze belliche: per realizzare i combattimenti furono impiegati circa 3000 militari dell’esercito irlandese, inoltre gli schierami furono ulteriormente rinfoltiti con l’utilizzo di particolari effetti. Nonostante questo, rimane uno degli ultimi grandi film realizzati essenzialmente con tecniche classiche.

Delle 10 nomination ricevute, il “Cuore Impavido” portò a casa ben 5 statuette: furono premiati Mel Gibson, sia in veste di produttore che di regista (al suo secondo lungometraggio dopo “L’uomo senza volto” del 1993), John Toll, per la sua vivida e partecipativa fotografia, Peter Frampton, responsabile del trucco di scena, e la coppia Lon Bender e Per Hallberg, responsabili del montaggio sonoro.
Un’ultima chicca interessante: la spada brandita per tutto il film da William Wallace fu forgiata da Fulvio Del Tin, fabbro italiano di fama internazione, in collaborazione col mastro d’arme inglese Simon Atherton.

Strepitoso successo di critica e pubblico. Una di quelle pellicola che rimarrà per sempre nei cuori di appassionati e non.

VOTO 8/10
Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano