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martedì 31 maggio 2011

Mr.Beaver (2011)


Regia: Jodie Foster
Sceneggiatura: Kyle Killen

Mel Gibson: Walter Black
Jodie Foster: Meredith Black
Anton Yelchin: Porter Black
Jennifer Lawrence: Norah
Riley Thomas Stewart: Henry Black

Walter Black( Mel Gibson), direttore di una fabbrica di giocattoli, soffre di depressione e lascia che la sua vita cada a pezzi, si fa cacciare di casa dalla moglie Meredith (Jodie Foster) e tenta addirittura un (esilarante) suicidio. Proprio durante questo tentativo, subisce una sorta di imprinting: l’alcol, le perle di saggezza di un vecchio film alla televisione, un pupazzo-marionetta di un castoro infilato su di un braccio, sono i protagonisti della sua “rinascita”.
Da quel momento in poi la marionetta sarà lo schermo sociale di Walter, la faccia che offrirà al mondo al posto della sua, sulla quale egli trasferirà tutte le sue caratteristiche migliori: una voce profonda, un carattere risoluto, un maggiore interesse nei riguardi dei figli, creatività. Ma a lungo andare questa personalità vincente prenderà il sopravvento sullo stesso Walter: Mr. Beaver prenderà “coscienza” e diventerà una sorta di simbionte, completando questo processo quando, salutando il figlio minore Henry (Riley Thomas Stewart), Mr. Beaver attirerà a se anche l’attributo di “papà”, risucchiando completamente l’identità di Walter, che senza il pupazzo si ridurrebbe egli stesso ad un burattino inanimato.
Mr. Beaver è essenzialmente un film sull’inadeguatezza sociale , sulla difficoltà dei rapporti umani, sul peso che hanno le aspettative degli altri e della società su di noi e sulla follia, quella follia domestica fatta di piccole cose.
Interessanti anche gli altri personaggi: Meredith, nonostante la sua famiglia sia in rovina, è ossessionata dall’idea di essere una “buona madre” ed insiste affinché i figli cenino insieme a tavola, e sopporta tutti gli errori di Walter per il bene della famiglia.
Il figlio maggiore, Porter(Anton Yelchin), è dotato di grande intelligenza ed è un calcolatore estremo, tale da rasentare il cinismo. Schematizza tutta la sua vita in post-it appesi al muro e non fa nulla per caso. Padre e figlio hanno moltissime somiglianze, se ne accorge lo stesso Porter, con una lista di post-it sulle cose in comune tra loro due. Entrambi hanno un equilibrio mentale fragile e quando Porter cadrà in depressione, proprio come il padre, invece di trovare conforto in una marionetta, lo troverà in una persona reale: Norah(Jennifer Lawrence). Soprattutto in un suo comportamento c’è qualcosa che ricorda Walter: anche lui parla attraverso gli altri, non tramite una marionetta, ma vendendo tesine e discorsi ai compagni, una sorta di ghost-writer.
L’incapacità di Walter di affrontare il mondo è in realtà qualcosa che tocca tutti. Può capitare di svegliarsi un giorno col peso di un mondo sulle spalle, e volersene stare a casa: questa è la scelta di Walter, ma lo è stata cosi a lungo da diventare irreversibile. Solo un intervento esterno, da parte di un “altro da sé” che in realtà è la parte migliore di se stesso, ma ormai avvertita come estranea, può risollevarlo, ma con conseguenze molto drammatiche.
Il film si va ad inserire nella scia di film come “Fight club”, anche se risente il fatto di essere un’opera cinematografica e non la trasposizione di un libro (per come sono affrontate semplicisticamente alcune tematiche), tuttavia è apprezzabile la sua originalità nel porre il tema del doppio.
Voto: 7/10
Pier Lorenzo Pisano
Marco Fiorillo

Rocky

Ciclo "Per non dimenticare": Guantoni da oscar




Rocky (1976)


Sylvester Stallone: Rocky Balboa
Carl Weathers: Apollo Creed
Burgess Meredith: Mickey Goldmill
Talia Shire: Adriana Pennino                                                                                                                                                              
Burt Young: Paulie Pennino
Tony Burton: Tony “Duke” Evers
Joe Spinell: Tony Gasco
Joe Frazier: interpreta se stesso

Regia: John A. Avildsen
Sceneggiatura: Sylvester Stallone
Soggetto: Sylvester Stallone
Fotografia: James Crabe
Montaggio: Scott Conrad
Musiche: Bill Conti
Scenografie: Bill Cassady

Quante volte siamo stati la nostra rabbia, la nostra frustrazione, i nostri fallimenti. Quante volte abbiamo voluto un’occasione, una sola, per trovare dignità, amor proprio, rispetto. Riuscire a rimanere in piedi, quando le gambe stanno cedendo e il peso che ci portiamo addosso diviene insostenibile, sembra impossibile, ma quando impariamo a non andare al tappeto, lì troviamo la vera vittoria.

Philadelphia, 1975. In un logoro club di boxe, Rocky Balboa (Sylvester Stallone), si sottopone alle urla del pubblico, allo sporco di quel vecchio locale, convinto che sia l’unico modo per andare avanti. Aveva la stoffa, Rocky, ma ha preferito essere un bulletto di strada al servizio di Tony Gasco (Joe Spinell), ha preferito vivere in una stanza “fetente”, più simile ad una cella. Si illumina solo quando entra in un negozio di animali del quartiere, innamorato com’è della commessa Adriana (Talia Shire), sorella dell’amico Paulie (Burt Young). Ma non basta per scampare alla drammatica realtà che gli si pone davanti: “Sai chi sei tu? Una scamorza!”, queste sono le parole con cui lo apostrofa Mickey (Burgess Meredith), proprietario ed allenatore della storica palestra della città, “Mickey’s”. Ma, lo “Stallone Italiano”, questo il soprannome del pugile, non sa ancora che le cose stanno per cambiare. Il campione del Mondo dei pesi massimi, Apollo Creed (Carl Weathers), è rimasto senza sfidante per l’incontro d’esibizione organizzato alle porte dell’anno nuovo: si decide per dare una chance ad uno sconosciuto. Quello sconosciuto è proprio Rocky.

La pellicola porta sulla scena, con una forte carica emotiva, il dramma di una vita trascorsa nella solitudine, nell’insuccesso, nella delusione. Rocky/Stallone non riconosce più l’uomo che gli si pone davanti quando si specchia, non riconosce più lo sguardo grintoso che il bambino- Rocky ostenta in foto. Si accontenta d’essere un criminale da quattro soldi, pago solo dei momenti sul ring, in cui da prova di prestazioni degradanti, figlie di un animo sconfitto. Ma nella “Terra delle Occasioni”, un’occasione non manca mai, sta a te saperla sfruttare. È così che il Mito Americano  prende le forme di un incontro pugilistico: “L’America è la terra che offre possibilità a tutti”, ammette Apollo/Weathers perfetto interprete di questo spirito. Vestito da George Washington, prima, da Zio Sam, poi, il campione del mondo incarna l’ideologia del successo d’oltreoceano, sfiorando, forse, il patetico, ma rimanendo fedele ad una scelta registica di fondo. Dichiarata la sfida, siamo di fronte al momento della verità, la sfida dell’uomo qualunque alla vita, il cui obiettivo non è quello di vincere ma di resistere. Si dichiara, in quest’occasione, il vero significato della vicenda: il vero nucleo non è costituito dal combattimento, ma da quello che c’è oltre le corde del ring, il rispetto delle persone, l’amore finalmente trovato, l’orgoglio. Senza scudo ma con i guantoni, Rocky sembra così vicino a quell’Achille omerico che “combatte per non dover più combattere”.

Non può mancare un richiamo agli eventi che hanno portato alla realizzazione della pellicola.
Correva l’anno 1975, quando un giovanissimo Sylvester Stallone assistette all’incontro tra il campione del Mondo Muhammad Alì e Chuck Wepner: dopo 15 estenuanti riprese, lo sfidante crollò al tappeto, dopo aver più volte messo in difficoltà, se non il migliore, uno dei migliori combattenti della storia. Affascinato dall’incontro e dalla forza d’animo dimostrata da Wepner, Stallone scrisse in soli tre giorni la storia di un giovane pugile cupo e malinconico, che divenne, seppur dopo svariate rivisitazioni, la favola di Rocky. La prima stesura dell’opera non incontrò il giudizio felice della moglie di Stallone, che non approvava l’atmosfera troppo dark che trasudava lo scritto: Stallone si impegnò immediatamente per una rivisitazione, da cui scaturì la caratterizzazione quasi ultima del pugile. Nello stesso periodo, Stallone (con soli 106 dollari in banca) prendeva parte a dei provini alla corte di Irwin Winkler e Bob Chartoff: alla fine dell’incontro, poco soddisfacente, Stallone si propose, oltre che come attore, anche come sceneggiatore, sottoponendo ai due produttori la lettura della trama di Rocky: lo scritto fu accolto con inaspettato entusiasmo e subito la “macchina del cinema” si mise in moto. Nonostante candidature di pregio elevatissimo (come quelle di Robert Redford e Ryan O’Neal), Stallone sentiva che quello era il suo momento: riuscì a convincere Winkler e Chartoff della sua interpretazione del protagonista, una scelta che sicuramente i due non hanno rimpianto. Fu, poi, il momento di scegliere il resto del cast. Meritano, sicuramente un cenno, i provini della Shire e di Weathers. Dopo numerosi  tentativi, il ruolo di Adriana fu affidato a Talia Shire che dimostrò da subito affinità evidenti con il personaggio: “Mi piaceva questa creature timida e fragile. Era incredibile!”, così ricorda Stallone le sue primissime impressioni dell’attrice. Da ridere, invece, il provino di Carl Weathers: dopo aver provato qualche battuta, a Carl fu chiesto di boxare con Stallone; dopo qualche “scambio”, Weathers, annoiato, chiese di poter collaborare con un vero attore per poter dimostrare al pieno le sua qualità durante il provino. Stallone, divertito, riconobbe nella spavalderia di Carl quella di Apollo e lo volle assolutamente nel cast. Considerato il limitatissimo budget a disposizione (appena 1,1 milione di dollari), alle riprese parteciparono anche componenti della famiglia Stallone: troviamo Frank Jr., fratello di Sylvester, nelle vesti del cantante di strada, Frank, il capofamiglia, ha il compito di suonare la campana a bordo ring, e Butch è interpretato dal cane di Sylvester. Superati i casting, cominciarono le riprese, anch’esse gravate dai tagli economici. Per questo motivo alcune scene furono improvvisate o alterate rispetto alla sceneggiatura originale: nella scena dell’allenamento di Rocky, un commerciante gli lancia un’arancia, si tratta, appunto, di una scena improvvisata, e il gesto sorprese anche Stallone, che pensava di essere oggetto del lancio di oggetti della folla, scocciata dalla presenza invadente della troupe; inoltre, la scena sulla pista di pattinaggio richiedeva originariamente la presenza di 300 comparse, proprio per l’impossibilità di reperire e, soprattutto, pagare uno numero così spropositato di interpreti, Stallone si risolse nel riscrivere la scena, raggiungendo un ulteriore obiettivo: è quello il momento in cui si stabilisce la vicinanza tra Rocky e Adriana, “due metà costrette necessariamente ad incontrarsi”.
A riprese terminate, la pellicola venne proiettata per l’Associazione dei Registi: Stallone, presente in sala con la madre, si rese subito conto dello scarso interesse che la storia suscitava in quei 900 “intransigenti giurati”. Rimase da solo in sala, alla fine della proiezione, abituandosi già all’amara conclusione di quel sogno; si incamminò verso l’uscita, scese la prima rampa di scale, la seconda, ed arrivò alla fine della terza, dove l’aspettava una sorpresa. Tutti gli spettatori, erano lì: non appena lo videro vibrarono un applauso sincero e convinto. Stallone, con le lacrime agli occhi, si rivolse alla madre: “Come hai potuto dubitare di me, mamma? Mi stupisci!”.

Padre dell’opera è, senza alcun dubbio, Sylvester Stallone, responsabile della stesura della storia, della sua sceneggiatura e di un’interpretazione straordinaria: non è un caso che sia quest’opera a lanciarlo nel mondo del cinema che mai più abbandonerà. Lo accompagnano, oltre a i parenti, giovani promesse ed attori affermati. Talia Shire si dimostra degna dell’artistico sangue che gli scorre nelle vene: fa parte di quella famiglia italiana capitanata da Carmine Coppola e arricchita, nel corso degli anni, dei talenti di Francis Ford, Nicolas Cage e Sofia Coppola. Carl Weathers e Burt Young rimangono tutt’ora impressi nel cuore degli spettatori, merito questo di caratterizzazioni di elevatissima qualità, non solo in questo primo capitolo ma anche nei seguenti. Spicca l’immenso Burgess “Buzzy” Meredith: l’icona di Hollywood aveva intrapreso la propria carriera cinematografica negli anni ’30 ma questo non gli impedì d’affrontare “Rocky” con un entusiasmo giovanile e contagiante; ne possiamo comprendere il talento, nell’improvvisazione della scena del confronto tra Mickey e Rocky, nella stanza del secondo.
Nonostante le direttive molto precise di Stallone, non manca il lavoro dietro le cineprese, che contribuisce all’alto livello del prodotto. Il regista John Avildsen interpreta e realizza le idee di Sylvester, il direttore della fotografia James Crabe ne tratteggia le visioni, il responsabile del montaggio Scott Conrad mette insieme il tutto e Bill Conti ne orchestra le musiche, producendo una colonna sonora semplicemente leggendaria.
Il risultato? Tre premi Oscar, al Miglior Film, alla Miglior Regia ed al Miglior Montaggio, e la strepitosa accoglienza del pubblico di tutto il Mondo. Dispiace solo per la candidatura non realizzatasi di Crabe, che non sarebbe giunta immeritata.
Quanto di ognuno di noi ci sia in Rocky? È forse questo il valore aggiunto di questa leggenda cinematografica che, nel suo piccolo, si fa portavoce di un ottimo motto: aggrappati a quell’occasione e guarda in faccia la vita fino a quando non suona la campana.

VOTO 8/10
Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano





Pirati dei Caraibi-Oltre i confini del mare (2011)


Johnny Deep: Capitan Jack Sparrow
Ian Mc Shane: Barbanera
Penelope Cruz: Angelica
Geoffrey Rush: Hector Barbossa
Kevin Mc Nally: Joshamee Gibbs
Sam Claflin: Philip Swift
Stephen Graham: Scram
Astrid Berges-Frisbey: Serena
Richard Griffiths: re Giorgio II
Keith Richards: Teague Sparrow
Regia: Rob Marshall
Soggetto: Ted Eliott, Terry Rossio, Tim Powers
Sceneggiatura: Ted Eliott, Terry Rossio
Produzione: Jerry Bruckheimer, Walt Disney Pictures
Musiche: Hans Zimmer

“Salve ragazzi e ragazze, o quello che è! Il mio nome è Capitan Jack Sparrow, avrete sentito parlare di me. Avrete anche sentito girar voce che Jack Sparrow sta reclutando una ciurma per intraprendere un viaggio alla Fonte della Giovinezza. La natura dei pericoli che incontreremo sarà varia. A voi non interessa unirvi a me, no?”
La magica Fonte della Giovinezza fa gola a tutti. A Capitan Sparrow (Johnny Deep), sfuggito alle pene della prigionia londinese insieme al fidato Mastro Gibbs (Kevin Mc Nally). Allo spietato Barbossa, rincontrato dai due proprio alla corte inglese di Re Giorgio II (Richard Griffiths), trasformatosi da pirata in nobile corsaro e pronto a vendicarsi per la perdita della gamba e il ratto della Perla Nera, di cui è responsabile il Capitano Barbanera (Ian Mc Shane), anch’egli alla ricerca della Fonte. Al fianco di quest’ultimo, la figlia ritrovata, Angelica (Penelope Cruz), il cui compito sarà quello di “coinvolgere” Jacky Sparrow nella spedizione: i due si erano incontrati anni addietro, ma si tratta di ricordi burrascosi, per così dire. A completare il novero dei cercatori della Fonte, la corona spagnola. Tuttavia, per accedere ai magici poteri dell’acqua miracolosa, a pirati e sovrani non basterà raggiungerla, battendo sul tempo gli avversari: per procedere al rituale, bisognerà prima riunire due calici d’argento, trasportati dalla nave di Ponce de Leon, creduta perduta da tempo, e recuperare una lacrime di sirena appena stillata. Perciò, basta parlare, che l’avventura abbia inizio.
Le mirabolanti imprese dei pirati più famosi dei Caraibi ritornano sullo schermo, in questo quarto capitolo che appare più uno spin-off che una vera e propria continuazione, anche se sono innegabili i riferimenti ai passati episodi. La pellicola trae ispirazione dal romanzo “Mari stregati” di Tim Powers, i cui diritti furono opzionati dalla Disney Pictures alla vigilia della nascita di questo quarto progetto: non è un caso che il titolo originale del romanzo, “On strangers tides”, sia il titolo in lingua originale del film.
“Capitan Verbinski” cede il comando del vascello al regista Rob Marshall, che si arma di bussola e carte nautiche per tracciare una nuova e, a suo modo, interessante rotta. Nasce una nuova famiglia corsara composta dalla figlia Angelica/Cruz, storica amante di Jack, e dal padre Barbanera/Mc Shane, uno dei pirati più temibili della storia, e, soprattutto, gode di una nuova caratterizzazione Barbossa/Rush, fresco di promozione a Capitan della Corona inglese. Viene innestato per la prima volta il sentimento religioso, impersonato dalla figura di Philip Swift/ Claflin, rendendo la pellicola maggiormente inserita nel tessuto storico: a ciò contribuisce anche la scelta di contrapporre, nella corsa alla Fonte, Inghilterra e Spagna, sottolineando, inoltre, l’uso che entrambe fecero di marina e pirateria. Molto particolari sono anche le rivisitazioni mitiche degli arcani rituali mistico-esoterici attribuiti a Barbanera e delle sirene. Forse, fa storcere il naso l’attribuzione del cannibalismo alle creature marine ma una caratterizzazione più classica avrebbe potuto attirare comunque una critica: in tal caso, meglio preferire l’originalità.
Il cantiere sempre fecondo e in azione di Bruckheimer e Ross (dirigente della Disney Pictures) si affida nuovamente a Ted Eliott e Terry Rossio, responsabili della rivisitazione e dell’ampliamento cinematografico dell’opera di Powers, orchestrati, questa volta, da Marshall: il neo-laureato “capitano”, detta subito le linee guida dello spin-off tutto dedicato alla figura di Jack Sparrow, collante dell’intera vicenda, amalgamando duelli in stile cappa e spada a “mostruosi” incontri, il fascino del mare alle antiche leggende corsare. Il tutto caratterizzato da una scelta sempre ottima di costumi e set e dalla colonna sonora di Hans Zimmer, che riprende l’ormai famoso tema, arricchendolo di nuove stanze. Di certo non siamo di fronte alla qualità narrativa dei capitoli precedenti, ma l’intrattenimento è assicurato, nonostante la durata forse eccessiva.
Ricordiamo, inoltre, che sulla realizzazione de “Oltre i confini del mare” pesa la politica di contenimento delle spese adottata dal nuovo dirigente della Disney Pictures, Rich Ross: vengono stanziati per la pellicola 200 milioni di dollari, 100 in meno rispetto al capitale messo a disposizione per il terzo episodio. Nonostante ciò, il film si porta subito in testa alle classifiche, conquistando 350 milioni di dollari in un solo weekend: i 9 milioni raccolti negli USA testimoniano l’atteggiamento meno caloroso del pubblico per il nuovo episodio, se consideriamo l’accoglienza ricevuta dai precedenti capitoli.
L’enorme successo che continua ad avere la saga piratesca è dovuto, in modo speciale, all’affetto che i fan hanno conservato e conservano tutt’ora per Capitan Jacky. Sembra che Johnny Deep sia vittima del suo successo e non riesca ad abbandonare i panni dello stravagante pirata: corrono già voci riguardanti la produzione di altri due film dedicati al personaggio ma, per il momento, Deep si è formalmente impegnato solo per il quarto episodio. Al suo fianco, vecchie conoscenze, quali Kevin Mc Nally e Geoffrey Rush, ai quali il pubblico tributa il medesimo affetto serbato per Sparrow, e nuovi volti. Si aggiungono alla ciurma la splendida Penelope Cruz, leggermente lontana dal personaggio, forse perché la serie ci aveva abituato alla “piratessa” Keira Knightley; Ian Mc Shane, troppo simile nella caratterizzazione al Barbossa pirata (ma che funziona comunque data le nuove vesti di Hector); il giovane Sam Claflin, reduce dal successo della serie “I pilastri della Terra”, e la bellissima Astrid Berges-Frisbey forniscono una discreta prova, mentre Stephen Graham fa silenziosamente il proprio dovere di spalla. Da citare è il cammeo di Keith Richards: il chitarrista e compositore dei Rolling Stones ritorna ad impersonare i panni di Teague Sparrow, padre di Jacky. Lo stesso Johnny Depp ha ammesso, oltre d’esser fan della band, di essersi ispirato molto a Richards per la caratterizzazione del suo personaggio.
“Dunque, se sarete disposti a firmare per questa rischiosa crociera, radunate il vostro coraggio. Veloci, tutti pronti a salpare oltre i confini del mare!” Parola di Geoffrey Rush.
VOTO 6/10
Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano