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giovedì 19 aprile 2012

Cineanteprime

The Lincoln Lawyer (2012)


Matthew Mc Conaughey: Mick Haller
Marisa Tomei: Maggie Mc Pherson
Ryan Philippe: Louis Roulet
William H. Macy: Frank Levin
Josh Lucas: Ted Minton
John Leguizamo: Val
Michael Pena: Jesus Martinez
Bob Gunton: Cecil Dobbs
Laurence Mason: Earl

Regia: Brad Furman
Sceneggiatura: John Romano
Soggetto: Michael Connelly
Fotografia: Lukas Ettlin
Musiche: Cliff Martinez

Spocchioso e rampante avvocato di Los Angeles, Mick Haller ha trascorso l’intera carriera a difendere criminali d’ogni genere. Viene, perciò, ingaggiato da Louis Roulet, giovane rampollo playboy, immischiato in uno strano caso di violenza sessuale ed aggressione. Coadiuvato dall’investigatore Frank e dalle soffiate dell’ex compagna Maggie, anch’essa avvocato, Mick comincia a muoversi nel buoio sottobosco della legalità e delle menzogne, convinto dell’innocenza del giovanotto. Con l’avanzare delle indagini, Mick dovrà ricredersi, e non solo sul caso Roulet.

Autista privato non troppo “pulito”, una Lincoln Sedan da gangster per ufficio, atteggiamento da divo. Questo è il Mick Haller di Matthew Mc Conaughey, un figlio di puttana con la “P” maiuscola tutto palle sul lavoro e cuore alla famiglia, seppur lontano dalla moglie e dalla figlia. Un po’ Keanu Reeves un po’ Jerry Maguire, il bello Mc Conaughey, ora con qualche nuova ruga sul viso, si fa nuovamente portavoce, dopo aver calcato le aule del Mississippi nei panni di Jake Brigance ne “Il momento di uccidere” nel lontano 1996, dell’eterna lotta tra l’etica e il modo in cui “vanno le cose”. Un avvocato troppo furbo, un sistema troppo debole: è l’eterno cliché del tribunale americano, giusto solo nei romanzi di Grisham (dalla cui penna proprio “Il momento di uccidere”!). Il senso di colpa diventa voglia di giustizia per Mick, l’uomo che difende solo i cattivi, l’uomo che ormai si sente dalla parte dei cattivi. Perfetta, dunque, la caratterizzazione del protagonista, grazie anche, e soprattutto, al lavoro di riduzione del regista Brad Furman, ispiratosi al romanzo di Michael Connelly “Avvocati di difesa”, e alla sceneggiatura “Italoamericana” di John Romano.

Al suo secondo lungometraggio, dopo “The Take” nel 2007, Brad Furman spiana la strada ai progetti terminati ed in attesa di distribuzione: “Cry Macho”, in cui rivedremo protagonista l’idolo Schwarzenegger, “Runner Runner”, con Justin Timberlake e Ben Affleck, e un documentario filmico sulla vita del criminale Pablo Escobar. Il suo ultimo “The Lincoln Lawyer”, distribuito in vari Paesi nel corso dell’anno, è già stato sottoposto ad operazione di doppiaggio in italiano. Speriamo non tardi ancora ad arrivare nelle sale.

VOTO 7/10
Marco Fiorillo
Piero Lorenzo Pisano   

martedì 17 aprile 2012

Il Punto del Weekend


La vera notizia è che il weekend appena passato abbia contato solo cinque pellicole. Perché di queste, nessuna supera le altre per qualità o innovazione, e il livello cala generalmente. Vediamo insieme i veri protagonisti del fine settimana.

I PROTAGONISTI
Dagli States arrivano due pellicole. Protagonista di “Bel Ami” Georges Duroy, squattrinato reduce della Guerra in Algeria, di ritorno nella Parigi di fine XIX secolo. Casualmente in un locale incontra Charles Forestier che gli regala i soldi necessari per un abito, fondamentale per il debutto in società: comincia per Georges, soprannominato Bel Ami per le sue doti di seduttore, la scoperta dell’universo femminile, della carriera, del potere. Come ogni opera senza tempo, “Bel Ami” di Guy de Maupassant torna ad essere periodicamente saccheggiata dallo Schermo, grande e piccolo. Questa volta tocca al tandem Donnellan- Ormerod che sceglie la strada della conduzione più che della riduzione: nonostante la loro rivisitazione pecchi in brillantezza, hanno il merito di liberare dal suo vampiresco passato Robert Pattinson, facendolo perfettamente interagire con le tre bellissime Uma Thurman, Christina Ricci e Kiristin Scott Thomas. Di ben altro respiro è, invece, “Battleship”, in cui un’avanguardia di cinque navi aliene approda sulla Terra direttamente dal Pianeta G, rintracciato dagli scienziati della NASA come papabile alternativa alla vita umana. Sulla strada della minaccia extraterrestre, il tenente di Marina Alexander Hopper e il suo “variopinto” equipaggio. Sci-fi dal chiaro respiro eroico, la Universal per il centesimo anniversario si affida alle magie tecnologiche della ILM (Industrial Light&Magic), alle idee di Peter Berg e alle penne dei fratelli Hoeber. Ottimo il lavoro degli addetti agli effetti, ampiamente sottotono gli altri tre, perché “Battleship” è un’accozzaglia di cose già viste, riproposte nella solita solfa epica a stelle e strisce.
Da una triplice collaborazione tra Italia, Francia e Romania prende vita “Diaz”. La pellicola ripercorre e rivive i terribili avvenimenti  che coinvolsero la scuola Diaz di Genova nel luglio del 2001, in occasione del G8. La vicenda sfrutta la partecipazione corale, permettendo ad ognuno d’essere protagonista e narratore, lasciando che siano sempre e solo i fatti i veri protagonisti e narratori. Il tutto nasce dall’esigenza di risposte di Domenico Procacci e Daniele Vicari che, a seguito di una lunga e laboriosa opera di ricerca e d’indagine, hanno sentito il bisogno d’usare la loro celluloide per dar voce a quell’oscura pagina di storia.
È il Vecchio Continente a far ancora da protagonista con le ultime due pellicole. Produzione francese è “Ciliegine”, in cui Amanda, delusa dal fidanzato, lo lascia alla vigilia del Natale ed estende quella delusione ad ogni rappresentante del genere maschile. La ritroviamo a poche ore dalla fine dell’anno, alterata da qualche bicchiere di troppo e da una buona dose di nostalgia e piegata al garbato e sensibile Antoine. Siamo all’esordio registico dell’italianissima Laura Morante, impegnata per l’occasione sia dietro che davanti le telecamere, nei panni proprio di Amanda. La permanenza di quel di Francia pesa sul suo nuovo impegno: un’opera bilanciata, morbida, dalla forte presa emotiva ma dal discreto respiro narrativo. Dall’Italia arriva, infine, “Poker Generation”, la storia di due fratelli del piccolo borgo siciliano di Scicli: fascinoso ed impulsivo giovanotto ossessionato dai film sulla mala italoamericana, Tony, introverso genio ai limiti dell’autismo, Filo. Accomunati solo dalla necessità di racimolare i soldi per le cure della sorellina e dalla passione per il poker, insieme lasceranno la famiglia per i fumosi club milanesi, ma divisi si ritroveranno ai tavoli del Malta Poker Dream. Ispirandosi alla storia vera del professionista Filippo Candio, Gianluca Minigotto dedica il suo primo lungometraggio alla mania e piaga della nostra generazione: quel gioco diventato improvvisamente sport e vana speranza per i tanti in ristrettezze. In casa, sui social network, al bar, su internet, nei club, a casa degli amici, il Texas Holdem ha invaso “poco responsabilmente” le nostre vite.

LE SORPRESE
Alla prima esperienze registica, si aggiudica la premiazione Laura Morante. Nata a Grosseto alla metà del secolo scorso, si avvia alla carriera artistica calcando i palchi teatrali, su cui esordisce con Carmelo Bene. Ben presto l’esordio cinematografico ed il trasferimento a Parigi, negli anni ’80: nella capitali acquista grande notorietà senza mancare i numerosi appuntamento offerti dalla penisola.

I FLOP E I TOP
Tra i pochi protagonisti della settimana, indichiamo i meno brillanti:
3°.    Terzo tra i cattivi, Gianluca Minigotto. Il regista de “Poker Generation”, esordiente nel mondo pubblicitario negli anni ’80, si ferma alla buona scelta del soggetto: lo declina in maniera opaca anche a causa del limitato impegno attoriale.
2°.    A seguire, Rihanna. La cantante barbadiana, dopo aver conquistato il mondo delle note, si convince di poter passare con lo stesso esito al Grande Schermo: si crede una moderna “Soldato Jane” ma anche da Demi Moore siamo molto lontani.
1°.    Primo flop è Peter Berg. L’attore e regista newyorkese assembla il suo “Battleship” come un frankestein, attingendo da film di genere e non, sperando che lo staff tecnico delle immagini possa fare il resto. La ILM  centra l’obiettivo ma non basta.
In ultimo, i migliori del fine settimana:
3°.    Bronzo a Laura Morante. La duplice prova da regista ed attrice fa rimpiangere la sua “fuga” all’Eliseo ma, per onestà intellettuale, va detto che probabilmente è galeotto il trasferimento parigino per la realizzazione di “Ciliegine”.
2°.    Premiazione corale per la ILM. Il laboratorio del’immaginazione fondato da George Lucas nel lontano Maggio del 1975 firma l’ennesimo capolavoro grafico, salvando il salvabile.
1°.    Primo posto del podio a Daniele Vicari. Sponsorizzato dal trittico Fandango, Le Pacte e Mandragora Movie, il regista di “Diaz” porta sullo schermo con potenza narrativa e filmica una delle pagine più nere del recentissimo passato italiano.

BOX OFFICE
La corazzata USS MISSOURI, capitana da Peter Berg, affonda il transatlantico di Cameron: “Battleship” si guadagna la vetta e 2.1 milioni superando, anche se di poco, la revisione 3D di “Titanic”. Fredda accoglienza sia per “Diaz” che per “Bel Ami”, entrambi più o meno a quota 600.000 euro.

Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano

Battleship (2012)

Taylor Kitsch: Ten. Alexander Hopper
Alexander Skarsgard: Stone Hopper
Liam Neeson: V. Amm. Shane
Brooklyn Decker: Samantha “Sam” Shane
Rihanna: Cora Raikes
Peter Mac Nicol: Segretario alla Difesa

Regia: Peter Berg
Sceneggiatura: Erich Hoeber, Jon Hoeber
Fotografia: Tobias A. Schliessler
Effetti Speciali: Industrial Light&Magic
Musiche: Steve Jablonsky


Gli scienziati americani del Progetto Beacon individuano un altro Pianeta in gradi di ospitare la vita umana, il Pianeta G con cui la NASA entra in contatto tramite satellite.
Alle Hawaii, i fratelli Hopper bevono ad un  bar: Alex perdente in canna sempre nei guai, Stone rigoroso ed assennato Capitano della Marina. All’ennesima bravata Stone non ha dubbi, ad Alex serve un cambiamento, una direzione. Ad Alex serve arruolarsi in Marina.
Qualche tempo dopo, gli Hopper sono insieme sull’attenti a bordo della storica corazzata USS MISSOURI, in occasioni dei giochi RIMPAC. Proprio durante l’evento, cinque oggetti distinti atterrano sul Pianeta: si tratta della risposta del Pianeta G. Gli Alieni sono pronti ad attaccare la Terra, e prima di tutto le navi della Marina impegnate nei RIMPAC.

I soliti invasori contro l’eroismo a stelle e strisce. L’Indipendence Day rivive ancora una volta sul Grande Schermo Hollywoodiano, come a voler testimoniare che quel 7 Dicembre 1941 le forze giapponesi hanno materializzato una paura mai sopita. Cambiano i nemici ma non l’antifona: dopo molte riproposizioni, forse troppe, oggi quello che conta è la spettacolarità. E allora emergono tutto l’impegno e la genialità degli artisti della ILM (Induastrial Light&Magic), il laboratorio del’immaginazione fondato da George Lucas nel lontano Maggio del 1975. Le incredibili animazioni cui danno vita fanno aimè a cazzotti con la scarsa partecipazione del resto dell’entourage, primi tra tutti regista e sceneggiatori. Perché Berg attinge un campo magnetico dal “vero” “Indipende Day” e porta davanti alle telecamere degli alieni abbigliati alla “Predator” e minacciati dall’agente naturale (non l’acqua di “Signs” ma la luce solare) e un giovanotto tutto cuore e “Top Gun” con la sua biondissima fidanzata, lasciando ai fratelli Hoeber il compito di scribacchiare qualche classico dialogo tra commilitoni: anche da loro, dopo l’ottima prova di “Red” ci si aspettava molto di più.
Sapere a metà del girato a cosa si va incontro non lede all’ottima esperienza sensoriale offerta ma di certo non l’amplifica rendendo univoca la qualità del girato. Quando, però, la maggior parte delle idee ne ricordano troppe già viste e il kitsch statunitense raggiunge il suo apice (la trionfale comparsa dei veterani della Marina, per intenderci) i molti dubbi che sorgono vengono zittiti dal più classico “Fuoco!”.

A prendersi l’onere della pellicola del 100° anniversario della Universal, come già detto, Peter Berg, attore di Piccolo e Grande Schermo prima ancora che regista, nel cui ruolo esordisce nel 1998 con “Cose molto cattive”. Davanti alle sue telecamere il canadese Taylor Kitsch, reduce dal successo de “John Carter”, il figlio d’arte Alexander Skarsgard, famoso soprattutto per la sua interpretazione di Eric Northman nell’ormai serie cult “True Blood”, la supermodella Brooklyn Decker, la cantante Rihanna e, dulcis in fundo, Liam Neeson e Peter Mac Nicol, usati poco e male perché da soli possano evitare l’ “affondamento della nave”.

VOTO 5/10
Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano