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venerdì 9 dicembre 2011

The Artist (2011)


The Artist
Titolo originale: The Artist
Francia: 2011. Regia di: Michel Hazanavicius Genere: Drammatico Durata: 100'
Interpreti: John Goodman, Missi Pyle, Penelope Ann Miller, James Cromwell, Beth Grant, Ben Kurland, Joel Murray, Jen Lilley, Beau Nelson, Jean Dujardin
Sito web ufficiale: www.warnerbros.fr/the-artist.html
Sito web italiano:
Nelle sale dal: 09/12/2011
Voto: 9
Trailer
Recensione di: Daria Castelfranchi
L'aggettivo ideale: Splendente
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Nel film di Michel Hazanavicius rivive la meraviglia del cinema. Dimenticate effetti speciali e 3D, sequenze adrenaliniche o stuntman: in The Artist torna la magia dei film muti e in bianco e nero.
I giovani della nuova generazione dovrebbero vedere la splendida opera del regista francese per capire come si faceva il cinema agli albori di Hollywood, per scoprire com’è nato il sonoro, come si è evoluto il modo di fare cinema.
Per i più grandi è il ricordo nostalgico di un’epoca d’oro in cui, con pochi elementi, il pubblico usciva estasiato dalla sala. Una sala, tra l’altro, concepita come un teatro, in cui si andava agghindati di tutto punto, con smoking per lui e abito lungo per lei.
Perché il cinema all’epoca era un evento straordinario e poter vedere gli attori sul grande schermo, e poi applaudirli a fine proiezione, era un’emozione incredibile. E lo è tuttora, ma capita spesso che la storia e i personaggi si perdano in favore degli sterili effetti speciali.
The Artist narra la storia di un attore del cinema muto che cade in disgrazia con l’avvento del sonoro: per orgoglio e vanità, George Valentine non vuole cedere al parlato e non intende accettare l’aiuto della giovane stella del firmamento hollywoodiano, Peppy Miller, conosciuta per caso durante un’intervista. Ma The Artist è principalmente una storia d’amore potente e profonda sebbene tra i due interessati non ci sia che un casuale bacio sulla guancia.
Tutto, dai costumi agli studios di Hollywoodland - come si leggeva all’epoca sulla collina - dalle acconciature all’arredamento, rimanda agli sfavillanti anni ’20. La ricostruzione è minuziosa e accurata e le brillanti interpretazioni degli attori hanno rievocato alla perfezione la gestualità dell’epoca: niente dialoghi ma solo espressioni che facessero intendere ciò che il cinema di allora metteva per iscritto ogni venti secondi.
La luce, così ben definita da descrivere l’ascesa, la caduta e la rinascita del protagonista.
La musica, che cresce d’intensità nei momenti di acme drammatico. Senza contare che il formato della pellicola è quello originale, ovvero l’1,33:1. Tutto come all’epoca in un film che ha richiesto dunque una preparazione attenta e complessa e che, alla fine, regala 100 minuti di storia appassionante e commovente.
Suggestiva a questo proposito la sequenza dell’incubo in cui George cerca di parlare ma dalla sua bocca non esce alcun suono mentre intorno a lui, i rumori si susseguono assordanti.
George Valetine, egocentrico attore che si bea degli applausi del pubblico e in casa ha tanto di enorme ritratto con il suo fedele cagnolino. Peppy Miller, giovane entusiasta che per caso si ritrova sulle copertine di tutti i giornali mentre stampa un bacio sulla guancia del famoso attore e da semplice comparsa, diventa una star.
Destini che si incrociano a più riprese e un amore nutrito a dispetto degli anni e della testardaggine del protagonista.
E alla fine, dopo il muto e dopo l’avvento del sonoro, si arriva all’epoca del tip tap, con una splendida sequenza di ballo che evoca l’indimenticabile coppia Fred Astaire e Ginger Rogers.
Un film da vedere.

Enter the Void (2011)


Enter the Void
Titolo originale: Enter the Void
Francia, Germania, Italia: 2009. Regia di: Gaspar Noé Genere: Drammatico Durata: 153'
Interpreti: Nathaniel Brown, Paz de la Huerta, Cyril Roy, Olly Alexander, Masato Tanno, Ed Spear, Emily Alyn Lind, Jesse Kuhn, Nobu Imai, Sakiko Fukuhara, Janice Béliveau-Sicotte, Sara Stockbridge, Stuart Miller, Emi Takeuchi
Sito web ufficiale: www.enterthevoid-lefilm.com
Sito web italiano:
Nelle sale dal: 09/12/2011
Voto: 3
Trailer
Recensione di: Daria Castelfranchi
L'aggettivo ideale: Allucinato
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Signore e signori, ecco a voi il film più allucinante degli ultimi anni, se non dell’intera storia del cinema. Ci sono state pellicole che mescolavano violenza e atrocità di vario genere, altre che ostentavano sesso gratuito, altre ancora in cui il linguaggio era talmente scurrile da risultare sgradito anche ai più sboccati. Enter the void riunisce tutte questi aspetti.
Un film perverso, concepito da una mente deviata.
Un film più che controverso e più che irritante. Simbolismi sparsi qua e là che più che tali, risultano volgari, inutili, come il primo piano del pene durante la penetrazione e la successiva fecondazione di un ovulo.
Simbolo dell’origine della vita? Ma per favore, non osi una tale orrenda e ridicola sequenza paragonarsi al celebre dipinto di Gustave Courbet.
Enter the void è sprovvisto di trama e parla di troppe cose senza approfondirne neanche una.
La morte e la reincarnazione rivivono nel personaggio di Oscar che continua a vagare senza meta per le strade di Tokio: una Tokio denigrata, fatta solo di locali promiscui in cui le spogliarelliste si appartano nei camerini, di Love Hotel destinati al sesso, di droga, tanta droga.
“Viaggi” a ripetizione in un film psichedelico che alla lunga stanca. Se l’effetto caleidoscopico risulta interessante nelle prime sequenze - quale simbolo del trip e, a nostro avviso, del cervello fulminato di chi assume LSD, Ecstasy e il fantomatico, addirittura osannato DMT – la ripetizione estenuante di forme e colori non provoca altro che giramenti di testa.
Come il ricorso allo schermo bianco e pulsante, nauseante e monotono.
E’ come se il regista avesse voluto fare del suo film una lunga installazione, con uno sfoggio incessante di led luminosi, scritte lampeggianti, luci accecanti. Il tutto per stordire lo spettatore e farlo entrare, suo malgrado, in un vero e proprio trip.
Enter the void non lascia nulla se non disgusto, sconcerto e rabbia, perché c’è chi ha investito su tale insulto al buon gusto e chi magari vedrà nell’opera del regista argentino qualcosa di eccezionalmente innovativo.
E’ innovativo e costruttivo il primo piano del corpo nudo di una donna, nella cui vagina sono inseriti gli strumenti per praticare il raschiamento?
Certamente voleva essere provocatorio il primo piano del minuscolo feto insanguinato abbandonato nella vaschetta d’acciaio, simbolo della morte, che cede il posto al pianto finale del bambino, simbolo di vita. Tanti simboli ma alla resa dei conti queste immagini non lasciano altro che un senso di fastidio.
Provocatori furono anni addietro Arancia Meccanica e 2001: Odissea nello spazio, del geniale Stanley Kubrick, cui Noè dice di essersi ispirato. Ma a differenza dei capolavori immortali del regista americano, questo è solo un film allucinante, come le droghe che non fanno altro che buttare giù i protagonisti.
L’ultima mezz’ora del film è solo sesso, gratuito e fine a se stesso, ma dall’intimo di chi lo pratica, si sprigionano lingue di luce, quasi si trattasse di qualcosa di potente mentre c’è ben poco di romantico e molto di animalesco.
A questo punto, meglio guardare un film pornografico, che non si perde in inutili virtuosismi estetici o in simbolismi che solo uno strafatto può individuare. Nevrotico come certi videoclip, psichedelico come alcuni film del ventennio ’70-’80.
Il regista e il supervisore degli effetti visivi Pierre Buffin hanno dato vita a un film visionario, che ostenta il mezzo con ripetitivi movimenti di macchina, il ricorso imperterrito a veloci zoomate e un vortice che, più che inghiottire lo spettatore, lo fa quasi sentir male. Cosa salvare di Enter the Void?
La buona interpretazione di Paz de la Huerta, sebbene il doppiaggio italiano la renda lagnosa. E l’immagine della mamma che fa il bagno con i due figli piccoli: unico spunto drammatico-poetico in un universo allucinato.
Magari a molti piacerà ma posso garantire che i giornalisti che hanno visto Enter the void in anteprima stampa, erano a dir poco basiti. Quelli che sono rimasti a vedere tutto il film s’intende.

Cambio Vita (2011)


Ryan Reynolds: Mitch
Jason Bateman: Dave
Olivia Wilde: Sabrina
Leslie Mann: Jamie
Alan Arkin: padre di Mitch
Regia: David Dobkin
Sceneggiatura: Jon Lucas, Scott Moore
Fotografia: Eric Alan Edwards
Musiche: John Debney
Scenografie: Maher Ahmad

Dave (Jason Bateman) e Mitch (Ryan Reynolds) sono amici da sempre anche se hanno preso strade decisamente diverse: rampante avvocato in carriera e padre di famiglia, il primo, attore hard part-time e nullafacente a tempo pieno, il secondo. Dopo una serata trascorsa insieme, i due rivelano d’essere rispettivamente stanchi della propria vita: desiderano scambiarsi le parti e la mattina seguente il loro sogno è diventato realtà. Mitch si ritrova a gestire la fusione di due società miliardarie e gli affari di famiglia di Dave che, intanto, si divide tra le insolite amanti ed i set di film porno di Mitch. Quando sembra che ci abbiano preso gusto, il ricordo della vita “lasciata” si riaffaccia davanti agli occhi dei due amici.
Nel suo “Cambio Vita”, il regista David Dobkin affronta uno dei temi classici della commedia made in USA, lo scambio di personalità, strizzando l’occhio a pellicole come “Nei panni d’una bionda” e la più recente “Tale padre tale figlio”. Nell’affrontare il film, Dobkin sembrava essersi reso conto dell’estremo utilizzo del filone, ma così non accade. Se alla metà della pellicola illude tutti, dimostrando di voler far saltare tutte le convenzioni del caso, manca del coraggio necessario a portare a termine le sue scelte e il ripristino dei clichè suona stonato oltre che noioso. Probabilmente sarebbe stato meglio evitare questo tentativo di svecchiamento, almeno la pellicola non avrebbe mancato in coerenza.
Nonostante la limitata riuscita generale, Dobkin aveva comunque chiamato a raccolta un cast valido. Ryan Reynolds continua a sfruttare il più recente successo affiancandosi all’umorista Jason Bateman. Accanto alla coppia maschile, la bellissima Olivia Wilde e Leslie Mann, anch’essa volto noto delle commedie.
Una volta tanto, mantenere per tutta la durata del girato l’atmosfera classica della commedia avrebbe evitato la delusione delle aspettative del pubblico. Di certo, un finale diverso avrebbe arricchito una pellicola che, tutto sommato, non è da condannare in toto.
VOTO 5/10
Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano

Win Win- Mosse Vincenti (2011)


Paul Giamatti: Mike Flaherty
Alex Shaffer: Kyle Timmons
Amy Ryan: Jackie Flaherty
Bobby Cannavale: Terry Delfino
Jeffrey Tambor: Vigman
Burt Young: Leo Poplar
Melanie Lynskey: Cindy
Regia: Thomas McCarthy
Soggetto: Thomas McCarthy
Sceneggiatura: Thomas McCarthy
Fotografia: Oliver Bokelberg
Musiche: Lyle Workman
Scenografie: John Piano

Mike Flaherty (Paul Giamatti) è un avvocato del New Jersey che nel tempo libero allena una modesta squadra di lotta, insieme a coach Vigman (Jeffrey Tambor). Ha una moglie affettuosa, Jackie (Alex Shaffer), e due figlie. Purtroppo il suo studio ha pochi clienti e portare avanti la famiglia diventa sempre più difficile per Mike. Quando nel suo ufficio si presenta Leo Poplar (Burt Young), l’avvocato intravede la possibilità di rimediare qualche soldo extra: riceve la custodia dell’anziano Leo per incassare l’apposito assegno e poi lo parcheggia in una casa di riposo. Mike, però, non ha fatto ancora i conti con il sedicenne nipote di Leo, Kyle (Alex Shaffer), in fuga dalla madre Cindy (Melanie Lynskey).
Il rischio di mettere in piedi l’ennesima storia di confronto tra giovani ed adulti, facendo dello sport il trait d’union, è quasi tangibile fin dalle prime scene di “Win Win”. Ma è un rischio che il regista Thomas McCarthy ha voluto correre a giusta ragione, riuscendo splendidamente a superare l’ostacolo del “visto e rivisto”. Riesce a costruire un film che non è dramma emotivo e che non è rivincita sportiva. È la storia di un uomo di mezz’età che tenta di tirare avanti, di un onesto avvocato che deve ricorrere ad un ignobile escamotage per rimediare lo stipendio. È la storia di un giovanotto arrabbiato che senza dire una parola chiede solo affetto. È la storia di queste due strade che si incrociano: il brav’uomo e il ragazzino arrabbiato che usano lo sport per scoprire il valore dell’amicizia. Non ci sono abbracci finali, non ci sono lacrime né riconciliazioni scontate, è un cinema veritiero che racconta e non banalizza, arricchendo il tutto con una buona dose di ironia.
Thomas McCarthy, al suo terzo lungometraggio dopo gli ottimi “Station Agent” e “L’Ospite Inatteso”, fa nuovamente sfoggio del suo talento, violando il classico tabù registico della quantità e non della qualità. Ma il successo della pellicola va giustamente diviso con il cast. L’ottimo Paul Giamatti si ritaglia un altro ruolo da protagonista, dando prova d’intensità e credibilità. Al suo fianco l’esordiente Alex Shaffer, anch’egli all’altezza della prova: il suo “Kyle” parla pochissimo eppure riesce ad esprimere più emozioni di attori cui viene dato il dono della parola. Affiancano la coppia, le “macchiette” Bobby Cannavale e Jeffrey Tambor e Burt Young, meglio noto con lo pseudonimo di Paulie Pennino, genero di Rocky/Stallone nell’omonima saga pugilistica.
All’inizio della pellicola Paul Giamatti si affatica correndo, come a voler scappare da tutte le difficoltà che non riesce a gestire. La fatica rimane quando decide di affrontare i problemi ma viene ripagata dalle emozioni di quel viaggio che è la vita.
VOTO 7/10
Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano


Ostaggio per il demonio (1983)

Ciclo "Per non Dimenticare": Storie di Vita

Regia: William Hale
Kevin Bacon: Kenny Miller
Cloris Leachman: Joan Greenway
Andy Griffith: Guy Harris
“Ostaggio per il Demonio” è un film per la televisione ispirato dalla storia vera della possessione di un bambino da parte di un demone. Il fratello maggiore del bambino in questione si offrirà di essere impossessato al posto suo e quando ucciderà un uomo, andrà incontro ad un processo, durante il quale la “possessione” sarà utilizzata come argomentazione giuridica in favore del ragazzo.
Quest’ultimo dato è ciò che rende particolare la vicenda (e quindi il film), perchè è stata la prima volta che si è usato il termine “possessione” all’interno di un tribunale.
Probabilmente è anche l’unico dato positivo.
All’epoca il caso scatenò molto rumore mediatico, oggi è pressochè dimenticato, e così il film.
E non è un caso.
Siamo di fronte ad un’opera di bassa levatura, sullo schermo si susseguono dialoghi inutili, ed il tutto va avanti soltanto per l’originalità dell’idea che una entità demoniaca possa spostarsi a suo piacimento. Le interpretazioni non sono esaltanti e ritroviamo un ancora sconosciuto Kevin Bacon: unico per il quale il film è effettivamente terrificante, in quanto peccato originale nella sua carriera. Le scene leggermente degne di interesse pochissime, e per gran parte della vicenda regna la noia.
“Prevedibilità” è la parola chiave, e si accorda ottimamente con la monotonia delle inquadrature, la pessima fotografia che si concede qualche variazione in occasione del manifestarsi del male.
Vorremmo poter dire senza gloria nè infamia, ma l’infamia trabocca. Un film come questo si può magari guardare mentre si mangia, si discute a tavola, come sottofondo per il riposino pomeridiano. Ma dedicargli la propria completa attenzione è un imperdonabile errore.
VOTO 2/10
Pier Lorenzo Pisano
Marco Fiorillo

lunedì 5 dicembre 2011

True Justice- La Vendetta (2011)


Steven Seagal: Elijah Kane
William Stewart: Andre Mason
Sarah Lind: Sarah
Meghan Ory: Juliet
Warren Christie: Radner
Regia: Wayne Rose, Keoni Waxman, Lauro Chartrand
Sceneggiatura: Steven Seagal
Fotografia: Nathan Wilson
Musiche: Carly Paradise7
Scenografie: Andrew Deskin
Montaggio: Trevor Mirosh

Gli agenti della SIU si trovano a far fronte ad un omicida seriale che sceglie le proprie vittime tra sensuali ballerine bionde. Camuffando i propri assassini in rituali di magia nera cinese, l’omicida semina il panico a Camp Harmony. Elijah Kane (Steven Seagal) e la sua squadra dovranno risolvere il caso tra rivendicazioni interne al distretto, amici erboristi più che sospettabili e giornalisti ficcanaso. Ma per l’agente Kane niente è impossibile.
In questa seconda “retata”, i tre registi e Seagal tentano di aumentare il tasso qualitativo impostando la narrazione alla “Criminal Minds”, con un omicida seriale che lascia tracce visibili solo ai ragazzi della SIU. L’esperimento diventa presto una ridicola parodia del format imitato, a causa del cast poco credibile e monocorde nell’interpretazione, su tutti Seagal che ormai si esprime solo a cazzotti, e uno sviluppo registico che lascia veramente a desiderare. Nonostante le aspettative di partenza più importanti, anche questo secondo episodio di “True Justice” si risolve nell’autocelebrazione del picchiatore Seagal, che si concede anche l’esibizione musicale dando prova delle sue doti di chitarrista.
Nella speranza, che il terzo episodio possa recuperare lo spirito meno “impegnato” della serie vi diamo appuntamento, cari lettori, a lunedì prossimo col terzo episodio di “True Justice”.
Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano

Il punto del weekend

Arriva Dicembre che con sé porta i primi segni cinematografici del Natale, sia nella versione animata hollywoodiana sia in quella tutta italiana del “cine-panettone”. Un weekend ricchissimo in quantità con ben sette pellicole in uscita: conosciamone i protagonisti.

I PROTAGONISTI

Il fascino per gli anni ’20 dello scorso secolo anima due delle tre pellicole statunitensi del fine settimana. In “Midnight in Paris”, lo scrittore Gil Pender, alle prese col suo primo romanzo, si rifugia nella Parigi degli anni ’20 per sfuggire ad una realtà lavorativa e familiare che, oramai, gli va stretta. Nonostante la felicità conosciuta nel “sogno”, Gil dovrà rendersi conto che la vera serenità non sarà mai alla portata di colui che fugge dalla propria realtà senza affrontarla. È questa l’ultima pellicola di Woody Allen, che recupera in grandissimo stile le ultime produzioni altalenanti confezionando un prodotto intenso e godibile, frutto anche dell’ottimo cast, su tutti Owen Wilson in un inedita veste seriosa. D’altra ispirazione è “1921- Il Mistero di Rookford”. Nell’Inghilterra post guerra mondiale, i medium dilaniano le famiglie dei caduti lucrando sulle emozioni dei più disperati. La giovane Florence Cathcart combatte proprio questo male truffaldino, con raziocinio e scienza: sarà proprio questa sua imperturbabilità ad essere messa alla prova nel collegio di Rookford, in cui aleggia il fantasma di un bambino morto di morte violenta. Strizzando l’occhio al maestro dell’horror letterario Henry James, il novello Nick Murphy porta in scena una ghost story che, seppur non impaurisca più di tanto gli amanti del genere, ci ricorda il miglior modo di fare questo genere di cinema. Si aggiunga la talentuosa performance di Rebecca Hall, bella e brava, esclusa troppo spesso dai primi piani.

Cominciano con un po’ d’anticipo le celebrazioni natalizie. Nella sua personalissima rivisitazione dello “Schiaccianoci” di Cajkovskij, Konchalovky porta sul Grande Schermo la più classica delle “favole di Dicembre”: durante la notte di Natale,il pupazzo dello Schiaccianoci prende vita per combattere, insieme ai fratelli Mary e Max, il malvagio Re dei Topi e sua madre, la Regina. Partendo da una favola per bambini, anche ben costruita anche se relativamente scontata, il regista russo si perde in un sottobosco di citazioni ed allusioni indirizzati più ai genitori che ai figli, mettendo in difficoltà la riuscita del suo “ Lo Schiaccianoci”, passante, soprattutto, dalle performance della sorella d’arte Elle Fanning e dei caratteristi Nathan Lane e John Turturro. Di tutt’altro spirito è, invece, “Napoletans”. Nella cornice di Baia, sul Golfo di Napoli, la famiglia Di Gennaro, marito fedifrago, moglie ingenua e due figli, attendono l’arrivo delle festività, tra lontani parenti e giovani fanciulle straniere. Prima esperienza del napoletano Luigi Russo, “Napoletans”, cerca di ridare colore alla commedia sexy all’italiana, tra maschere tipicamente campane e battute stantie: un esperimento fallito in partenza.

Completano le uscite nostrane “Il Giorno in più” e “Sentirsidire- Quello che i genitori non vorrebbero mai”. Il milanese Giacomo, è il protagonista de “Il Giorno in più”: uomo di successo mai pago di avventure d’una notte ma mai pronto ad impegnarsi in pianta stabile, verrà messo a dura prova da Michela, donna in carriera in procinto di partire per New York. La storia, tratta dall’omonimo romanzo di Fabio Volo, che veste proprio i panni di Giacomo, e diretta da Massimo Venier, che pure aveva riscosso molto successo in forma cartacea, delude nel passaggio alla celluloide, non per difetti stilistici quanto per la stanchezza di soggetto e caratteri. Lasciamo il mondo degli adulti per addentrarci in quello dei giovani di “Sentirsidire”: Ludovico e Filippo, cresciuti in famiglie ed ambienti totalmente diversi, si incontrano in un parco milanese in cui si consuma un giro di prostituzione maschile. Parte bene il primo lungometraggio di Giuseppe Lazzari, nonostante la forma del documentario in vecchio stile: mette molta, forse troppa, carne a cuocere, avviando una riflessione che rimane sostanzialmente incompiuta, sostituendo troppo spesso le immagini al dialogo.

Ultimo ma non meno importante, “Le Nevi del Kilimangiaro”, racconta di Michael, appena licenziato ma forte d’una famiglia splendida e numerosa. Viene, però, coinvolto in una rapina ad opera di un altro operaio licenziato assieme a lui: nonostante lo faccia arrestare, i due fratellini lasciati completamente in solitudine dal rapinatore arrestato faranno riflettere molto Michael. Dopo “Miracolo a le Havre”, il cinema europeo si ritaglia per la seconda settimana di seguito, un posto da protagonista. Questa volta lo fa con uno dei suoi interpreti migliori, il marsigliese Robert Guediguian che, prendendo le mosse dall’opera “Le Pauvres Gens” di Victo Hugo, porta in scena la sempre attuale polemica socio/economica, intarsiandola d’una costante vena ironica che diverte lo spettatore per tutta la durata del girato.

LE SORPRESE

Piacevole sorpresa del weekend è il volto nuovo di Nick Murphy. Il regista de “1921- Il Mistero di Rookford”, riesce ad evitare telecamere in presa diretta e litri di sangue, ridando all’horror cinematografico la sua vera anima, quell’anima fatta di stanze illuminate da candele tremolanti e cardini che cigolano. Un ottimo prodotto di rivisitazione, la cui qualità passa anche dalle scenografie di Jon Henson e dalle musiche di Daniel Pemberton.

I FLOP E I TOP

Ed ecco gli iscritti al taccuino dei cattivi:

3°. Al gradino più basso Andrei Konchalovsky. Il regista russo, nonostante egli stesso abbia dichiarato di voler realizzare una favola per bambini, non resta nei suoi schemi, trasformando i protagonisti del suo “Schiaccianoci” in un continuo richiamo storico, come dimostrano i topo nazisti e i sudditi operai russi rivoluzionari.

2°. Segue il tuttofare Fabio Volo. Attore, scrittore, conduttore e doppiatore, ogni suo movimento sembra diventare oro colato: se il pubblico lo segue, e non poco, la qualità sembra averlo abbandonato rendendo il suo personaggio stantio.

1°. Al gradino più alto, Luigi Russo, il peggiore della settimana. Il regista napoletano si iscrive nella cerchia dei bassi umoristi italiani, quei comici sguaiati e banali che fanno la faccia della cinematografia italiana all’estero: come se non ce ne fossero troppi, si aggiunge Russo!

Infine, i premiati della settimana:

3°. Medaglia di bronzo a Rebecca Hall. L’attrice londinese trova finalmente un altro ruolo da protagonista, dopo quello affidatogli da Woody Allen in “Vicky, Cristina, Barcellona”, facendo rimpiangere la sua lontananza dalle scene più avanzate.

2°. Secondo gradino del podio al francese Robert Guediguian. Il regista riesce a trovare la giusta alchimia tra denuncia e leggerezza, portando sul Grande Schermo l’ennesimo ottimo prodotto.

1°. Primo del weekend, l’infinito Woody Allen. Dopo i più recenti alti e bassi cinematografici, ritorna con classe e maestria al Grande Schermo, con una pellicola deliziosamente “alleniana” dall’inizio alla fine: una storia dall’incredibile forza narrativa e sottilmente umoristica, in cui si rispecchia perfettamente l’anima del regista statunitense.

BOX OFFICE

I botteghini italiani, per una volta, premiano il talento: è “Midgnight in Paris” a raccogliere i risultati migliori, con 1.207.751,60€ in soli due giorni. Mentre continua il dominio incontrastato dei vampiri di “Breaking Dawn- Parte 1”, trova buon accoglienza anche la new entry nostrana “Il Giorno in più”, con 817.918,70€.

Marco Fiorillo

Pier Lorenzo Pisano

Il giorno in più (2011)


Il giorno in più
Titolo originale: Il giorno in più
Italia: 2011. Regia di: Massimo Venier Genere: Commedia Durata: 112'
Interpreti: Fabio Volo, Isabella Ragonese, Camilla Filippi, Roberto Citran, Pietro Ragusa, Luciana Littizzetto, Lino Toffolo, Stefania Sandrelli, Jack Perry, Valeria Bilello, Stella Pecollo, Paolo Bessegato, Roberta Rovelli, Anna Stante, Irene Ferri, Micaela Murero, Daniela Dimuro, Nick Nicolosi, Franco Ghibaudi, Hassani Shapi
Sito web ufficiale: www.ilgiornoinpiu.msn.it
Sito web italiano:
Nelle sale dal: 02/12/2011
Voto: 5,5
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Recensione di: Fabiola Fortuna
L'aggettivo ideale: Semplice
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"Il giorno in più" è un romanzo di Fabio Volo letto da milioni di persone e tradotto in diciotto lingue, nonché primo suo libro a diventare un film.
Non poteva che essere adattato in una commedia romantica nel senso più tradizionale del termine, che vede come protagonista Giacomo Pasetti, molto bravo nel lavoro, meno a trovare una donna con cui vivere il grande amore.
Improvvisamente incontra una ragazza sul tram e se ne innamora platonicamente.
Un giorno, i due si conoscono e cenano insieme; durante la cena, Michela rivela a Giacomo di dover partire per New York. Si sono incontrati troppo tardi... O forse no.
Giacomo è preso da un impulso che gli viene dritto dal cuore, e decide di raggiungerla. Nella città statunitense, i due intraprendono un gioco, che durerà solo quattro giorni, quanto basta per scoprire di essersi innamorati.
Il personaggio di Michela è stato forse il più complesso da trasporre su pellicola: Isabella Ragonese è cosciente di interpretare un personaggio amatissimo dai lettori del romanzo, e sa che è sempre molto difficile che il pubblico accetti l’attore (o l’attrice) che da un volto a ciò che hanno immaginato fino a quel momento, per cui decide di reinventarlo da capo, con l’aiuto di Volo e del regista Massimo Venier: una scelta sicuramente umile e interessante. Molto divertente e ben interpretato da Pietro Ragusa, è il personaggio di Dante, l’amico rompiscatole di Giacomo.
Il protagonista assoluto della storia (che ne è anche l’autore), invece, risulta interpretato con poco zelo: Giacomo è un personaggio eccessivamente autobiografico, tanto che Volo sembra non recitare, ma interpretare sé stesso.
Molti, dunque, sono i personaggi che popolano questo film, ma ognuno di loro ruota intorno all’orbita Volo: tranne Giacomo e Michela, nessun altro personaggio è approfondito o sfaccettato; le loro figure sembrano fare solo da sfondo alla coppia protagonista, dando l’impressione di essere quasi stereotipate.
La scelta di privilegiare la caratterizzazione della coppia protagonista, si ripercuote sulla riuscita generale del film, che qualche risata la strappa, ma in modo un po’ scontato.
Una commedia, ma divertente solo a tratti: nel complesso risulta piacevole, anche grazie ad un finale ad effetto, ma non è un film da rivedere. Per la sua semplicità, sembra quasi un tv-movie, poco adatto alle sale. Volo stesso lo definisce un film che "lo spettatore, dopo una giornata di lavoro, può vedere con la sua ragazza per passare due ore belle": niente di più.
Fabio Volo intende il cinema solo come un intrattenimento, come un’occasione per regalare "due ore belle" al pubblico, per questo realizza un film con un intento fin troppo semplicistico.
"Il giorno in più" è quindi, una pellicola adatta a chi non ha troppe pretese, a chi non vuole impegnarsi una volta seduto sulla poltrona; una scelta condivisibile, a patto però, di pagare il prezzo della sterilità.

1921 - Il Mistero di Rookford (2011)


1921 - Il Mistero di Rookford
Titolo originale: The Awakening
Gran Bretagna: 2011. Regia di: Nick Murphy Genere: Thriller Durata: 104'
Interpreti: Rebecca Hall, Dominic West, Imelda Staunton, Lucy Cohu, John Shrapnel, Cal Macaninch, Isaac Hempstead-Wright, Joseph Mawle, Shaun Dooley, Nicolas Amer, Steven Cree, Anastasia Hille, Andrew Havill, Diana Kent, Richard Durden, Alfie Field, Tilly Vosburgh, Ian Hanmore
Sito web ufficiale: www.bbc.co.uk/bbcfilms/film/the_awakening
Sito web italiano:
Nelle sale dal: 02/12/2011
Voto: 6,5
Trailer
Recensione di: Francesca Caruso
L'aggettivo ideale: Intrigante
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Con “1921 – Il Mistero di Rookford” ci troviamo di fronte a un qualcosa di diverso rispetto a un horror classico, a cominciare dall’ambientazione scelta per sviluppare la storia.
È l’Inghilterra postbellica, un periodo in cui la gente sentiva la necessità di colmare quel vuoto fisico ed emotivo che la Prima Guerra Mondiale aveva lasciato.
Molti cercavano conforto nell’illusione di poter dialogare con i cari estinti.
Florence Cathcart è una scrittrice, impegnata nello smascherare le cosiddette apparizioni soprannaturali, servendosi della scienza e della ragione. Invitata a risolvere un caso di fantasmi in un collegio a Rookford, la donna si trova di fronte a qualcosa di più grande di lei e che va ben oltre il raziocinio.
Il film è diretto da Nick Murphy, scritto da Stephen Volk e dallo stesso Murphy, qui al suo debutto cinematografico. Il regista è conosciuto per aver creato diverse serie televisive.
Quella raccontata da Murphy, prima di essere una storia di fantasmi, è la storia di una donna che si addentra in un mondo fatto di ossessioni e di terrore, che la inghiotte.
Lei ha paura di riaprire i cassetti della sua memoria. Alcune immagini riaffiorano dal buio, come incubi che la ossessionano.
È una donna che ha sofferto, che si sente in colpa e si nega la felicità. Preferisce la solitudine, l’unica che non le fa del male.
In “1921- Il Mistero di Rookford” si parla di come le persone, spesso, tendono a seppellire avvenimenti con i quali è difficile confrontarsi, per paura di non saperli affrontare e di non sopportare il dolore che da essi ne deriva.
Il titolo originale (The Awakening) si riferisce a un doppio risveglio di Florence: il ridestarsi alla vita - innamorandosi nuovamente e smettendo di colpevolizzarsi - e il ricordarsi un evento traumatico perso nel tempo.
Inoltre tutti i personaggi affrontano in modi diversi un lutto. La perdita di una persona cara è l’altro tema centrale del film.
Il professore Robert Mallory ha perso i suoi compagni in guerra e si sente in colpa per essere sopravvissuto.
L’infermiera Maud e il bambino Tom sono due personaggi ambigui e anche su di loro sembra aleggiare qualcosa di inerente alla perdita (che sarà svelato al momento più opportuno).
C’è un forte dramma psicologico all’interno del racconto e la suspense raggiunge, in alcuni momenti, il culmine più per i risvolti narrativi, che per gli effetti visivi. Lo spettatore si aspetta che alla protagonista accadrà qualcosa di insolito che le farà rivedere la sua posizione, eppure si sorprende insieme a lei quando ciò succede, perché è qualcosa a cui non aveva pensato.
Murphy si è soffermato sulla psicologia dei personaggi e sull’atmosfera creata dall’ambientazione della storia.
Ha scelto personalmente il periodo postbellico per legittimare quel senso di speranza e di paura profuse nel film.
In quegli anni l’idea della morte è ancora viva, come viva è la speranza di poter avere accanto, in un modo o nell’altro, le persone care.
“1921 – Il Mistero di Rookford” è un film che non si ferma a paventare gli aspetti tipici del genere, ma ne inserisce di diversi, così da renderlo più intrigante.