traduzione

martedì 17 maggio 2011

Con gli occhi dell'assassino (2011)


Belen Rueda: Julia/Sara

Lluis Homar: Isaac

Pablo Derqui: Ivàn

Francesc Orella: Ispettore Dimas

Joan Dalmau: Crespulo

Boris Ruiz: Blasco

Daniel Grao: Dott. Romàn

Clara Segura: Mina

Andrea Hermosa: Lia

Julia Gutierrez Caba: Soledad


Regia: Guillem Morales

Sceneggiatura: Guillem Morales, Orial Paulo

Produttore: Guillermo del Toro

Fotografia: Oscar Faura

Musiche: Fernando Velasquez

Scenografie: Balter Gallart


Avvertire un pericolo invisibile ad altri occhi, può sconvolgere. Se gli altri ci credono pazzi, ci convinciamo di esserlo, e quella paura diviene paranoia. Scegliamo di aggirarci ciechi per le stanze della nostra mente, perché non vedere la minaccia può farla scomparire: ma col tempo siamo noi stessi a scomparire, abbracciando quel pericolo, ormai compagno.

In un buio sottoscala, Sara (Belen Rueda) una giovane donna cieca si toglie la vita. Distante da lei nello spazio e nell’affetto, la sua gemella, Julia (Belen Rueda), “sente” la sua morte. Raggiunge la casa della sorella con il marito Isaac (Lluis Homar) per rinvenire il suo corpo appeso ad un cappio. Per la polizia il caso è risolto: Sara, afflitta da una malattia degenerativa che le ha procurato la perdita della vista, ha smarrito la speranza e posto fine ad un’esistenza di sofferenza. Ma Julia, anch’essa colpita dalla malattia in una forma più lieve, è ferma nella convinzione che Sara non si sarebbe mai tolta la vita. Spinta dal rimorso per aver abbandonato la gemella, nei confronti della quale aveva nutrito un rancore che cela un oscuro segreto, oltre che dall’amore, Julia si lancia in un’indagine che sembra senza fine: per trovare il bandolo della matassa dovrà rivivere la tragedia della sorella come se fosse la propria, trovando la forza di sottrarsi al richiamo del familiare legame e di cambiare il proprio destino.

Seconda prova del giovanissimo regista spagnolo Guillem Morales, che per l’occasione vanta un padrino d’eccezione come Guillermo del Toro, “Con gli occhi dell’assassino” (il cui titolo originale, “Los ojos de Julia”, risulta più significativo) si inserisce in quell’ esiguo filone horrorifico dalle tinte poliziesche che prende a protagonista la perdita della vista. La pellicola, tuttavia, sembra rivivere molte delle tendenze più fortunate del momento, rivisitate da un cinefilo avido e preparato, nonostante l’età, come Morales. La storia si carica della suspance del thriller, in cui le false piste e la classica caratterizzazione del killer cedono il passo all’unione dei gemelli, che sul grande schermo assume sempre più spesso valenza onirica, ed alla storia d’amore romantica, senza farsi mancare i “mostri familiari”, una madre-padrona e un padre che pare dimostrare troppe attenzione per la figlia o, comunque, per l’altro sesso. Data la mole delle tematiche suggerite, per forza di cose qualche spunto è stato abbandonato nel corso della narrazione, ma questo non distoglie ne fiacca, in qualche modo, il corso degli eventi. Al contrario, viene messa in scena un’indagine che cala leggermente nel ritmo solo nella parte centrale, mantenendo sempre lo spettatore partecipe, nonostante l’epilogo velatamente annunciato. La pellicola sfrutta a pieno l’analisi psicologica per disperdere un forte alone di tensione, che non scade mai nel paranormale o nell’horror puro, scelta che non sarebbe giunta inaspettata considerando le produzioni più recenti: è proprio questa forte carica introspettiva a rendere veramente partecipe lo spettatore, inserito pienamente nel tessuto della narrazione da alcune semplici ma felici scelte registiche: basti pensare al fatto che, durante il periodo di riabilitazione che segue l’operazione cui viene sottoposta Julia, come la protagonista neanche il pubblico può vedere in volto gli altri personaggi, o alla scelta di mantenere lo schermo scuro, quando l’assassino le copre gli occhi con una benda. A proposito, invece, di richiami evidenti, Morales sembra ispirarsi ad un thriller cult degli anni ’90, “Il silenzio degli innocenti”, per la “buia” conclusione della storia. I tempi dilatati e una scena finale poco coerente col resto della narrazione, costituiscono le pecche più evidenti del girato, che, tutto sommato, sembra funzionare bene.

La pellicola si inserisce in un fenomeno sempre forte e dirompente che ha visto il cinema spagnolo imporsi con ottimi risultati qualitativi e buona accoglienza di pubblico, proponendosi come una realistica alternativa alle produzioni d’oltreoceano: basti pensare a “The orphanage” o a “Il mare dentro”, che vedono protagonista la stessa Belen Rueda, o ai lavori più importanti del trio costituito da del Toro( “El laberinto del fauno” e “El espinazo del Diablo”), Alfonso Cuaròn(“I figli degli uomini”) e Alejandro Gonzalez Inarritu (“Babel”).

Dopo l’inatteso successo di “El habitante incierte”, Guillem Morales approda al suo secondo lungometraggio, dando nuovamente prova di un talento grezzo, bisognoso certamente di tempo ed esperienze per apparire in tutta la sua pienezza, ma sicuramente evidente. Non è un caso che a consigliare l’opera sia Guillermo del Toro, uno dei principali fautori del successo del cinema spagnolo, nonché regista, sceneggiatore, produttore e scrittore di fama internazionale. Nel cast spicca Belen Rueda, la bellissima conduttrice televisiva, approdata su grande schermo proprio grazie a “The orphanage”, anch’esso prodotto da del Toro: caratterista dalle modeste qualità, c’entra l’obiettivo senza mai esagerare.

Nonostante alcuni attriti, figli come detto in precedenza di un talento ancora in erba, Morales sembra indirizzato sulla buona strada. Non ci resta che augurargli buona fortuna.

VOTO 6/10

Marco Fiorillo

Pier Lorenzo Pisano

domenica 15 maggio 2011

Red (2011)


Bruce Willis: Frank Moses
Morgan Freeman: Joe Matheson
John Malkovich: Marvin Boogs
Helen Mirren: Victoria
Karl Urban: William Cooper
Mary-Louise Parker: Sarah
Brian Cox: Ivan Simanov
Richard Dreyfuss: Alexander Dunning
Rebecca Pidgeon: Cynthia Wilkes
Julian Mc Mahon: V.P. Stenton
Ernest Borgnine: Henry
Regia: Robert Schwentke
Soggetto: Warren Ellis
Sceneggiatura: Jon Hoeber, Erich Hoeber
Fotografia: Florian Ballhaus
Montaggio: Thom Noble
Musiche: Christophe Beck
Scenografie: Alec Hammond

Puoi assistere a sparatorie ed inseguimenti, ma non è un action-movie. Puoi vederlo spensierato sul divano, godendo di uno humor perfettamente giostrato e di un clima assolutamente disteso, ma non è una commedia. Puoi aggirarti tra complotti e invisibili tracce governative, ma non è uno spy film.
Frank Moses (Bruce Willis), un uomo un po’ avanti con l’età, cerca di trovare una nuova routine negli anni della pensione, ma sembra proprio non farcela: sarà che Frank non lavorava alle poste ma era un “funzionario” del governo, un agente della CIA, per essere più precisi. Trova conforto solo nelle telefonate con Sarah (Mary-Louise Parker), l’addetta al servizio clienti dell’istituto pensionistico, verso la quale nutre un dolce sentimento d’affetto: potrebbe essere lei ad insegnargli quella normalità mai conosciuta. Non giunge sgradito, quindi, l’attacco di un commando armato a sconvolgere l’ennesima notte da civile di Frank, che coglie l’occasione per indagare sulla minaccia e raggiungere Sarah, che crede in pericolo dopo l’attacco subito. Tra una corsa in aiuto e un rapimento preventivo, si consuma il più bizzarro dei “primi appuntamenti”: l’insolita coppia comincia ad aprirsi la strada verso i mandanti dell’omicidio e Frank si rende conto che l’affare è grosso. Non serviva scusa migliore per riunire la vecchia squadra: Frank raggiunge prima Joe Matheson (Morgan Freeman), che si gode la permanenza in uno ospizio, e poi il paranoico Marvin Boogs (John Malkovich), che sembra non aver mai abbandonato la vita da soldato. Con l’aiuto dei compagni, cui si aggiungono la femme fatale Victoria (Helen Mirren) ed il gentiluomo russo Ivan Simanov (Brian Cox), Frank riuscirà a ricostruire la linea gerarchica che lo condurrà faccia a faccia col suo nemico, dimostrando che essere vecchio vuol dire essere solo più letale. Dovrà però fare i conti con la sua “nuova vita da civile”…
Tratto dal graphic novel firmato Warren Ellis e disegnato da Cully Hamner, “Red”, nonostante le origini, rompe il tradizionale schema fumetto-film per dar vita ad un filone più dinamico ed originale che, alla luce dell’ottima fattura della pellicola, speriamo possa avere largo seguito. Il tedesco Schwentke, alla regia, prende le mosse dalle chine del prodotto della D.C., da cui desume solo i tratti principali della storia, per realizzare un film che etichettare con precisione risulta quanto meno difficile. Forte del supporto di citazioni sì leggendarie ma mai pesanti, dimostra tutta la sua qualità facendone rivivere l’anima, senza mai dettarsi precise finalità stilistiche. Impossibile non accorgersi della vicinanza, nel proemio, alle scene di apertura di “Pulp Fiction”, così come aleggia vagamente quell’atmosfera ironico- poliziesca propria di produzioni come “Die Hard” e “Arma Letale”, che vedono lo stesso Willis come protagonista, e ancora, più recentemente, la saga degli “Ocean”. Più accurato il richiamo ad un capolavoro degli anni ’90, “Leon”, citato in “Red” per mezzo di una piantina. Cervellotica è,invece, la revisione di quel dramma da guerra fredda che accompagna le più classiche storie di spionaggio ed agenti (vedi “Spy Game” e la saga “Bourne”), che, in quest’occasione, trova quell’alleggerimento auspicato ma mai applicato. Un alleggerimento che arriva al momento giusto: che sia condivisibile o meno, porta una ventata di originalità di cui si sentiva il bisogno.
Ed è così che l’addestramento del giovane agente desideroso come non mai di provare il suo valore, diviene la noia di un vecchio che non riesce a trovare un modo per placare le proprie smanie. È così che la voglia infantile di essere di nuovo con i proprio compagni, rivivere insieme le emozioni della loro vita, diviene più importante che esaltare fantomatiche missioni di super-soldati: siamo di fronte ad una rimpatriata familiare più che ad una missione, e si è capaci di ridere anche assistendo al “dramma” della morte.
Nonostante i tratti già positivi del progetto, il tutto viene arricchito da un cast d’eccezione. Un Morgan Freeman mai pago, si prodiga in un’altra ottima prova: “Recitare è come ballare e se trovi degli attori con cui balli beni, allora è una bella danza”, queste le parole di uno dei migliori “ballerini”, che sottolinea la prelatura dei colleghi, non meno esperti nella danza. Bruce Willis, soldato ormai rodato, non smentisce la fama che si porta dietro. Forte dell’enorme successo di critica e la definitiva affermazione agli occhi del pubblico raggiunti con “The Queen”, pellicola che gli vale anche l’Oscar come miglior attrice protagonista, Helen Mirren, dimostra una straordinaria adattabilità, portando sulla scena un perfetto charme inglese che integra una caratterizzazione dei personaggi già elevatissima. Basti pensare allo strambo agente Boogs, interpretato da John Malkovich o all’impeccabile russo di cui veste i panni Brian Cox. Fornisce una discreta prova anche la Parker, forse gravato dal personaggio meno brillante: le gerarchie vanno rispettate, soprattutto quando siamo di fronte a coloro che hanno contribuito a scrivere la storia del cinema. Se non bastasse, compaiono anche Ernest Borgnine, il vincitore vivente più anziano dell’Oscar come miglior attore protagonista (“Marty, vita di un timido”, 1956), Julian Mcmahon e Richard Dreyfuss.
In cabina di regia, Robert Schwentke, coadiuvato dai fratelli Hoeber, curatori della sceneggiatura, trova finalmente il suo vero primo successo, coordinando una piacevole colonna sonora, ad opera di Christophe Beck, e un accattivante montaggio, diretto da Thom Noble, con cui pure aveva già lavorato durante la produzione di “Flightplan”.
“Non sarà una pellicola che passerà inosservata” dichiara Bruce Willis a pellicola girata. Il commento dell’attore non lascia spazio ad ulteriori parole d’elogio.
VOTO 7/10
Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano

Uomini Senza Legge (2011)


Jamel Debbouze: Said
Roschdy Zem: Messaoud
Sami Bouajila: Abdelkader
Samir Guesmi: Ojmani
Bernard Blancan: Col. Faivre
Correntine Lobet: Gimenez
Jean Reynes: Mattei
Regia: Rachid Bouchared
Soggetto: Rachid Bouchared
Sceneggiatura: Rachid Bouchared
Fotografia: Christophe Beaucarne
Musica: Armand Amar

“Uomini senza legge” racconta le sanguinose vicende che hanno reso possibile l’indipendenza algerina, attraverso gli occhi di tre fratelli, Saïd(Jamel Debbouze), Messaoud(Roschdy Zem) ed Abdelkader(Sami Bouajila).
Il film tratta tematiche molto delicate, come il massacro di Sétif e Guelma, (avvenuto l'8 maggio 1945) durante il quale i francesi soffocarono nel sangue le pretese di indipendenza algerine e rappresenta un ideale proseguimento del precedente “Days of Glory”(2006) dello stesso regista Rachid Bouchareb.
I tre fratelli agiscono spinti da motivazioni ed ideali diversi ma sono comunque uniti, non tanto dal sangue, né dal senso di appartenenza alla patria, come apparentemente dovrebbe essere, ma dalla volontà di rivalsa contro una schiacciante ingiustizia sociale, dall’aspirazione ad una vagheggiata libertà che da loro la forza di andare avanti. E per andare avanti i fratelli devono abbandonare gli idealismi e scendere a terra in un sanguinoso campo di battaglia, trasformando il film in una sofisticata gangster story: dai toni marroni della prima metà del film si passa al rosso del sangue e delle esplosioni.
La “Rivoluzione” diventa un’entità superiore e maligna, un vessillo a cui appigliarsi per giustificare ogni genere di atrocità, sia da parte dei fratelli, sia da parte dei loro oppositori. La violenza, fisica e mentale, diventa scontata ma non per questo meno terribile, ed è come una scure sempre incombente sulle teste dei fratelli e di chiunque. Mentre inizialmente dalla violenza si scappava e si invocavano maledizioni, adesso si respinge con la stessa moneta, in un climax di brutalità che non lascerà scampo.
Si ricorda che la pellicola è stata accusata di “revisionismo” dal deputato francese Lionnel Luca proprio per le gravi tematiche trattate, anche se da parte del regista sono state compiute accurate ricerche, ed ogni personaggio è un mix di varie fonti storiche, il tutto per rendere il più verosimile possibile le vicende dei fratelli.
Il film è stato presentato alla 63ª edizione del Festival di Cannes e candidato all’oscar come miglior film straniero: effettivamente presenta molti spunti interessanti e tende ad essere epico in certe scene, in una interessante commistione di generi.
Un tema ripercorre sempre e comunque la storia: la vendetta, qui presentata come l’unica legge sempre ed universalmente valida. In un mondo che si sta riassestando e che è ancora alla ricerca dei suoi valori, regola implacabile è la vendetta, la sola tremenda certezza ed il motore dell’intero film sin dalle primissime inquadrature.
Voto:6/10
Pier Lorenzo Pisano
Marco Fiorillo