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sabato 19 novembre 2011

Il Buono, il Matto, il Cattivo (2011)


Il Buono, il Matto, il Cattivo
Titolo originale: Joheunnom nabbeunnom isanghannom
Corea: 2008 Regia di: Kim Jee-won Genere: Azione Durata: 127'
Interpreti: Byung-hun Lee, Kang-ho Song, Woo-sung Jung, Dal-su Oh, Cheong-a Lee, Ji-won Uhm, Byung-ho Son, Je-mun Yun, Kwang-il Kim, Song Young-chang, Seung-su Ryu, Dong-seok Ma, Seo-won Oh, Kyeong-hun Jo
Sito web ufficiale:
Sito web italiano:
Nelle sale dal: 18/11/2011
Voto: 7,5
Trailer
Recensione di: Nicola Picchi
L'aggettivo ideale: Adrenalinico
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Nella Manciuria degli anni ’30, una leggendaria mappa del tesoro viene venduta all’armata di occupazione giapponese da un’organizzazione criminale coreana. Il capo dell’organizzazione, stuzzicato dal miraggio del doppio guadagno, assolda il killer Park Chang-yi (The Bad) perché la recuperi subito dopo lo scambio.

Contemporaneamente, il Movimento per l’Indipendenza della Corea (all’epoca colonia del Giappone) assume il bounty-killer Park Do-won (The Good) perché si impadronisca del prezioso oggetto; Do-won accetta ben volentieri, anche perché prevede di incassare la sostanziosa taglia sulla testa di Chang-yi. Ma i loro piani verranno mandati a monte dall’inaspettato arrivo di Yun Tae-gu (The Weird), il quale rapina il treno su cui viaggia la mappa, se ne impadronisce e fugge nel deserto, convinto che l’oggetto lo condurrà a un tesoro nascosto risalente alla dinastia Qing.
Pubblicizzato come il “primo western coreano” (cosa non vera) e come “il film coreano più costoso di tutti i tempi” (17 milioni di dollari), l’ultima opera di Kim Jee-won ha fatto sfracelli al botteghino, incassandone più di 44. Ha inoltre fatto piazza pulita al 29° Blue Dragon Film Awards, portandosi a casa quattro premi (Miglior Regia, Scenografia, Fotografia e Premio del Pubblico) e, in sovrappiù, un premio per la Miglior Regia al 41° Festival di Sitges. Ma fu vera gloria?
Dichiaratamente ispirato a “Il Buono, il Brutto e il Cattivo”, da cui riprende l’incipit con la presentazione dei personaggi e l’estenuante duello finale, lascia da parte il gusto un po’ greve dell’epica di Sergio Leone e scantona verso il divertito trastullo orchestrato con classe sopraffina, pura energia cinematica in movimento e piacere orgasmico della visione.
Messa in scena lussureggiante, cromatismi abbaglianti, e, soprattutto, sequenze d’azione allo stato dell’arte: dalla stupefacente rapina al treno, dove avviene la prima collisione tra i tre protagonisti, alla sparatoria in un mercato affollato fino alla straordinaria caccia nel deserto, dove si incontrano e si combattono i banditi, l’esercito giapponese e i coreani, è un susseguirsi di scene in cui Kim definisce un nuovo standard, difficilmente superabile, per il film d’azione.
La mappa del tesoro è il classico McGuffin di cui parlava Hitchcock, un labile pretesto per portare avanti la storia, tra intermezzi picareschi, biliose crudeltà e adrenaliniche accelerazioni.
Il deserto della Manciuria diventa uno spazio finzionale, un contenitore dove si inseguono e si scontrano tre figure iconiche che, in quanto tali, non necessitano di un particolare approfondimento in fase di sceneggiatura.
Gli attori si adeguano: Chang-yi, il Lee Byeong-heon di “A Bittersweet Life”, è un sublime dandy psicotico con la mentalità del gangster contemporaneo, mentre il Tae-gu dell’immenso Song Kang-ho (The Host, Sympathy for Mr.Vengeance) è un adorabile cialtrone, illuso e confusionario, oltre che il motore occulto del gigantesco Luna Park che è “The Good, The Bad, The Weird”. Sontuosissimi i set di Jo Hwa-seong, mentre i costumi di Gweon Yu-jin corteggiano con intelligenza l’atemporalità.
Smaltito l’entusiasmo iniziale ci si rende conto che non tutto funziona a meraviglia, a partire da un’inconsulta rivelazione finale sul passato di Tae-gu, e che, rispetto alle precedenti opere di Kim Jee-won, il film sconta la sua natura eminentemente ludica e la volontà di ribadire la supremazia dello stile.
E di stile Kim ne ha senz’altro da vendere, tanto da portarlo ai primi posti in un’ideale classifica dei registi coreani contemporanei, ma è uno stile appagato dalle proprie inarrivabili vertigini estetiche, immune sia alle folgorazioni di Park Chan-wook che alla densità di Bong Joon-hoo.
Sia lode alla Tucker Film che si sta impegnando per far arrivare nelle sale italiane, mestamente colonizzate, opere più che meritevoli. Nel frattempo il regista ha firmato il bellissimo “I Saw the Devil” e sta lavorando alla sua prima produzione americana, “Last Stand” con Arnold Schwarzenegger.

venerdì 18 novembre 2011

Il Mio Angolo di Paradiso (2011)


Kate Hudson: Marley Corbett
Gael Garcia Bernal: Julian Goldstein
Kathy Bates: Beverly Corbett
Whoopi Goldberg: Dio
Peter Dinklage: Vinny
Rosemarie De Witt: Renee Blair
Lucy Punch: Sarah Walker
Romany Malco: Peter Cooper
Treat Williams: Jack Corbett
Regia: Nicole Kassel
Sceneggiatura: Gren Wells
Fotografia: Carleton Carpenter
Montaggio: Stephen A. Rotier
Musiche: Heitor Pereira

Giovane donna in carriera brillante e disinibita, Marley Cooper (Kate Hudson), si divide tra la scrivania del suo ufficio ed il bar dove si ritrova con gli amici più vicini, Sarah (Lucy Pucnh), Peter (Romany Malco) e Renee (Rosemarie De Witt). La sua vita viene improvvisamente sconvolta dalla notizia del cancro al colon che la sta uccidendo. Durante uno degli accertamenti medici incontra Dio (la magnifica Whoopi Goldberg) che le concede tre desideri prima di morire: Marley vuole volare, vuole avere un milione di dollari e vuole innamorarsi ma questo lo scoprirà solo dopo aver incontrato Julian (Gael Garcia Bernal), il medico cui si rivolgerà al manifestarsi dei primi sintomi della malattia.
Commedia romantica e storia drammatica ad un tempo, “Il Mio Angolo di Paradiso” racconta di come la vita possa essere sconvolta nello stesso momento da due eventi così lontani tra loro. Marley/Hudson non ne vuole sapere di intessere relazioni d’amore, dopo l’esperienza infelice dei genitori, e si limita a mordi e fuggi che non impegnano il cuore. Quando Julian/Bernal le diagnostica un cancro allo stadio terminale, non sa ancora che in quella notizia di morte c’è l’amore, un amore che lei non aveva mai conosciuto. Il carattere forte ed il nuovo sentimento le permettono di affrontare il cancro con il sorriso perennemente sulle labbra: è una storia di vita, di divertimento, di gioia. Bilanciata e ben fatta per buona parte della sua durata, la pellicola si perde nel finale quando cerca in tutti i modi di strappare quante più lacrime possibili, dimenticando che i caratteri per emozionare li ha già tutti.
La buona riuscita passa, prima di tutto, dalla coppia protagonista. Dopo la lunga militanza in commedie leggere Kate Hudson se ne regala una più impegnata, riuscendo come in precedenza. Al suo fianco Gael Bernal, messicano d’origine, è stato ed è un beniamino del cinema locale, trovando inoltre conferma internazionale, collaborando con registi del calibro di Pedro Almodovar e Alfonso Cuaron. A comporre il loro universo sul set Kathy Bates, Peter Dinklage, Rosemarie De Witt, nipote del campione di pugilato James J. Braddock, e Treat Williams, noto ai “più giovani” per aver vestito i panni del Dott. Andy Brown nella serie tv “Everwood”. Madrina d’eccezione è Whoopi Goldberg, versione femminile del ruolo ricoperto dal collega Morgan Freeman in un recente passato.
A guidare il cast il regista Nicole Kassel, capace di dare profondità alla narrazione dopo l’impegnativo banco di prova rappresentato da “The Woodsman”, unico lungometraggio precedente. Tra le varie trovate del regista, spiccano le perfette citazioni di “Blade” e di “Sister Act” (rispettivamente,l’ingresso in una discoteca dei due protagonisti e la conversazione finale tra Marley e Dio, in cui la donna “canta” il proprio amore per Julian proprio come una certa Deloris Van Cartier), oltre all’occhio strizzato a “Una Settimana da Dio”.
Escluso un po’ di eccessivo melodramma, la pellicola ricostruisce con intensità una storia di per sé triste con la giusta ironia, riuscendo nel duplice intento di divertire ed emozionare.
VOTO 6/10
Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano

The Twilight Saga: Breaking Dawn- Parte 1 (2011)


Kristen Stewart: Bella Swan Cullen
Robert Pattinson: Edward Cullen
Ashley Green: Alice Cullen
Jackson Rathbone: Jasper Hale
Nikki Reed: Rosalie Hale
Kellan Lutz: Emmet Cullen
Peter Pacinelli: Carlisle Cullen
Elizabeth Reaser: Esme Cullen
Taylor Lautner: Jacob Black
Dakota Fanning: Jane
Billy Burke: Charlie Swan
Maggie Grade: Irina
Regia: William Condon
Soggetto: Stephenie Meyers
Sceneggiatura: Melissa Rosenberg
Effetti Speciali: Alex Burdett
Musiche: Carter Burwell
Scenografie: Richard Sherman

Finalmente si porta a coronamento la storia d’amore tra l’umana Bella Swan (Kristen Stewart) e il vampiro Edward Cullen (Robert Pattinson). I due convolano a nozze tra parenti di entrambe le “specie” ed il licantropo Jacob (Taylor Lautner), innamorato di Bella ma rassegnatosi alla sua scelta. Gli sposi volano per la luna di miele alla volta del Brasile, dove si interromperà il sogno iniziato all’altare. Bella si scopre felicemente incinta mentre è molto preoccupato della gravidanza Edward, conscio dell’incompatibilità del feto con il corpo dell’umana amata. I due ritorneranno subito a casa Cullen per sottoporsi alle cure della famiglia di vampiri mentre Jacob tenterà di frenare la rabbia dei “fratelli” lupi, desiderosi di abbattere l’ibrido nascituro.
Se pensavate che il matrimonio dell’anno si fosse celebrato il 29 Aprile tra William e Kate non avevate ancora ricevuto l’invito di Edward e Bella per la cerimonia del 16 Novembre, data d’uscita della prima parte della riduzione del quarto ed ultimo episodio dell’omonimo romanzo di Stephenie Meyers, “Breaking Dawn”. Non parlano d’altro i fan della coppia sparsi in tutto il Mondo che vengono premiati dopo tre lungometraggi d’attesa: era il momento delle nozze, infatti, quello più atteso della saga cartacea e cinematografica, il punto d’arrivo d’una storia cominciata nel 2005 con la pubblicazione del primo romanzo. Ed è questa la vera forza di “Twilight”: il merito di aver traghettato, “nel bene e nel male”, una generazione di giovani, accaparrandosi la prima fila al fianco della gemella serie di riduzioni cinematografiche di “Harry Potter”.
La direzione dello statunitense Bill Condon assicura il primato tecnico di quest’ultimo “Breaking Dawn”, un primato che, si badi bene, vale solo in relazione agli altri film della quadrilogia. Il regista, costantemente affiancato dall’autrice, traghetta i tre giovani protagonisti, Bella, Edward e Jake, verso la maturità scolpendo il bozzolo adolescenziale in cui fin’ora erano stati avvolti e sostituendolo, sullo schermo, con una nuova veste horror. “E’ un grandioso melodramma hollywoodiano combinato con un horror molto intenso.” - ammette proprio Condon- “Questi due registri in teoria dovrebbero entrare in conflitto ma in realtà penso che si trasformino in una cosa davvero unica.”
Nonostante le difficoltà contrattuali, l’ultimo episodio è stato ripartito in due lungometraggi, per il piacere della Meyers: “E’ molto difficile scegliere le scene su cui devo insistere. Quando vengono a chiedermi consigli sono felice di darne. Mi impunto su pochissime cose, su quelle che mi sembrano così sbagliate che non si potrebbe fare in altro modo. È straordinario quante cose si diano per scontate in un film e quanto alcune siano difficili”. Qualche difficoltà, considerato il rating PG-13 scelto per la pellicola( n.d.r. vietato ai minori di 13 anni, non accompagnati dai genitori), l’ha comportata anche la “consumazione” del legame matrimoniale che pure doveva celebrare la maturità dei protagonisti.
Ritroviamo sul set i volti dei tre protagonisti, Robert Pattinson e Kristen Stewart, meglio noti ormai con i loro pseudonimi “meyeriani”, e Taylor Lautner, da poco impegnato nell’action movie “Abduction”, attorniati dalla “famiglia“ che li ha accompagnati fin’ora. La direzione passa, invece, da David Slade a Bill Condon responsabile anche dell’attesissima seconda parte di “Breaking Down”: a lui il compito di portare a compimento una delle saghe più seguite dei giorni nostri.
Quando un film (in questo caso una serie di film) diventa cassa di risonanza d’una generazione, ampliando i propri confini al di là del Grande Schermo, ogni giudizio va rimandato ai soli fan che di certo non si sono risparmiati nel manifestare il loro duraturo affetto.
6/10
Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano

Anonymous (2011)


Rhys Ifans: Edward de Vere, conte di Oxford
Vanessa Redgrave: Regina Elisabetta I
Rafe Spall: William Shakespeare
Sebastian Armesto: Ben Jonson
David Thewlis: William Cecil
Edward Hogg: Robert Cecil
Xavier Samuel: William Cecil, conte di Southampton
Sam Reid: Conte di Essex
Jamie Campbell Bower: Giovane Edward de Vere
Joely Richardson: Giovane regina Elisabetta I
Robert Emms: Thomas Dekker

Su Shakespeare se ne sono dette molte. Sono stati impiegati fiumi di inchiostro per commentare le sue opere immortali, ed i suoi versi sono tra i più declamati di tutti i tempi. Ma spesso si è anche parlato della sua vera identità, che alcuni non riconoscono così chiara e limpida come la tradizione vorrebbe. Di questo si occupa “Anonymous”, tra interessantissime trovate meta-cinematografiche, l’ambiente della Londra elisabettiana e le più grandi opere teatrali mai scritte in lingua inglese.
La teoria proposta dal film è la trasposizione di una idea semplice, e già nota da tempo, niente di nuovo: che a scrivere i drammi e i sonetti tanto celebri non sia stato Shakespeare ma in realtà Edward de Vere, 17esimo Conte di Oxford (interpretato da Rhys Ifans), impossibilitato dal firmare le sue opere per via del suo alto rango.
L’originalità del film deriva dal modo in cui la proposta è presentata: attraverso un ipotetico spettacolo teatrale che parla di questa teoria, chiamato appunto “Anonymous”(introdotto da Derek Jacobi), che diventa gradualmente un film vero e proprio, dilatando gli spazi ed i limiti del palcoscenico, per poi riguadagnarli alla fine, quando il sipario si chiude e la gente comincia a lasciare la sala. Ciò crea un affascinante prologo e ci immette subito in un atmosfera teatrale.
Ma tutto è teatrale in questo film, la vicenda del Conte e gli intrighi politici che lo circondano sono essi stessi una tragedia scespiriana, con i loro accenti, modi di dire, di porsi, di congetturare, gli eleganti( e bellissimi) vestiti, gli amori, gli incesti. Anzi il Conte Edward de Vere alias il Grande Bardo, riporta sul palcoscenico ciò che vede, e capisce anche la valenza politica di uno strumento come il teatro.
Gli appassionati di teatro si godranno le varie rappresentazioni, da “Amleto” al “Riccardo III”, presentate nello stile dell’epoca, nel Globe, il teatro di William.
Il film ha una struttura tortuosa e non sempre chiara, a tratti lenta. In compenso ha una bella fotografia, la Londra di Shakespeare, (ricostruita in un capolavoro di computer-grafica) è sempre immersa nella nebbia. Suggerisce l’idea dello sporco, è affollata di bettole, di persone poco raccomandabili, di mantelli consunti, ma anche della grandezza, grazie alle inquadrature panoramiche. Riesce perfettamente a mostrarsi come una città di luci ed ombre, complessa come sono complessi e tridimensionali i personaggi di Shakespeare.
Il film ha anche il difetto (o il pregio, ognuno può farsi la sua idea) di esaltare la figura di Shakespeare, o meglio, le opere di Shakespeare, dal momento che qui il William è un attorucolo rozzo ed analfabeta che pensa solo a soldi, vino e donne e che spilla soldi da De Vere per non rivelare il suo segreto. Non ci sarebbe niente di male ma l’esaltazione è estremamente melensa e portata ai limiti estremi, tanto da risultare fastidiosa, per quanto sicuramente meritata.
VOTO: 5/10
Pier Lorenzo Pisano
Marco Fiorillo

La parola ai giurati (1957)


Regia: Sidney Lumet
Henry Fonda: Giurato n.8 (Davis)
Lee J. Cobb: Giurato n.3
Jack Warden: Giurato n.7
Joseph Sweeney: Giurato n.9 (McCarter)
Martin Balsam: Giurato n.1 (presidente)
Ed Begley: Giurato n.10
E.G. Marshall: Giurato n.4
Jack Klugman: Giurato n.5
Robert Webber: Giurato n.12
John Fiedler: Giurato n.2
George Voskovec: Giurato n.11
Edward Binns: Giurato n.6 (Scott)

Prima esperienza cinematografica del grande Sidney Lumet, adattamento di un film per la tv dal registro decisamente teatrale, a tal punto da aver ispirato adattamenti a Broadway ed anche in Italia ad opera di Gassman (figlio).
Praticamente ambientato in un’unica location, una sobria stanza dove poter discutere, dodici giurati decidono il verdetto di colpevolezza o innocenza di un ragazzo appena diciottenne accusato di aver assassinato il padre. Inizialmente tutti i giurati si mostrano convinti della colpevolezza, tranne uno, Davis, che vota per l’innocenza perchè prima di condannare un ragazzo alla sedia elettrica ritiene giusto fare un minimo di discussioni preliminari.
Ogni giurato è delineato perfettamente dall’ottima sceneggiatura, e la grande bravura degli attori riesce a caratterizzarli e a dar corpo ai personaggi ancora di più. Grande attenzione per i piccoli particolari, una leggera incertezza nell’alzare la mano per votare la colpevolezza denota subito chi passerà successivamente a pensare che il ragazzo sia innocente. Sguardi significativi, toni di voce vibranti di rabbia e frustrazione, ma anche logica pura e cristallina ed infiammata dalla più nobile delle cause: il valore della vita umana.
Apparentemente statico, in questo film le montagne russe sono dialettiche e riescono davvero a rapire: stratagemmi e ragionamenti, un’opera di convincimento rischiosa e sul filo del rasoio: questo cinema, che adesso è praticamente scomparso, avrebbe molto da insegnare ai cineasti di oggi. Un film moderno che si avvicina a questi risultati, per la struttura evidentemente teatrale, è “Carnage”, anche se ovviamente non ha la compostezza, il ritmo e soprattutto il valore morale del film del ‘57.
Questi uomini, così diversi tra loro, sono tutti vestiti in bianco, sono tutti esseri umani, e sono quindi ugualmente soggetti alla morale e al ragionamento. Un ulteriore livello di appiattimento è dato dal fatto che essi per legge non possono conoscere i loro nomi e si chiamano per numero. Cosa può ottenere una volontà forte in un contesto del genere?
Può battersi come un leone, come un eroe senza nome, infatti è proprio del vero eroe il sacrificio dimenticato ed anonimo, e difendere la dignità della vita umana.
Sono uomini anche loro, non dei.
VOTO 8/10
Pier Lorenzo Pisano
Marco Fiorillo

lunedì 14 novembre 2011

Il punto del weekend

L’11 Novembre apre un altro finesettimana importante per il Cinema italiano, in corsa con ben cinque prime visioni su nove uscite totali, già numero consistente di per sé. Tra le altre quattro produzioni, tutte americane, due lungometraggi 3D, a testimonianza di una novità ormai diventata realtà effettiva.

PROTAGONISTI

Il 24 Giugno del 1994 arrivava nelle sale americane “Il Re Leone”, successo di critica e pubblico, che riuscì ad incassare 50 milioni $ dell’epoca in una sola settimana. Di certo non ha avuto lo stesso ritorno economico la riproposizione in 3D della prima storia tutta zoomorfa della Disney ma si è trattato, comunque, di un successo annunciato. Non cambia nulla nella storia di Re Mufasa e di suo figlio Simba che migliora, invece, nella nuova veste del 3D e nel rimaneggiamento dell’audio: questa la politica scelta dal produttore Dan Hahn, che ci tiene a smentire progetti relativi ad un trattamento simile da destinare ad altre pellicole disneyane.

Dagli States arrivano anche due nuove commedie. Tratto dall’omonimo romanzo dell’anglosassone David Nicholls, “One Day” è la storia d’amore di Emma e Dexter, per vent’anni lontani eppure sempre uniti da un legame forte e indissolubile. La pellicola, diretta dalla regista danese Lone Scherfig, si presta bene alla riduzione cinematografica del libro di Nicholls, che pure partecipa alla realizzazione rendendo appieno l’anima del progetto. Protagonisti della vicenda sono Anne Hathaway e Jim Sturgess, artefici di una delicata armonia sullo schermo. Più giovanile e leggero è invece “Take Me Home Tonight”, il racconto delle peripezie di tre giovani universitari alle prese col sopraggiungere dirompente del futuro, della vita da adulti. Diretta da Michael Dowse, alla sua prima opera importante, e scritta dai fratelli Filgo, la pellicola ha il merito di trattare argomenti seriosi alla maniera d’una commedia d’intrattenimento, in cui la qualità passa, oltre che dalla buona resa storica degli anni d’ambientazione, da un cast giovane che non dispiace affatto, tra cui spiccano Topher Grace e Anna Faris.

D’oltreoceano è, infine, “Immortals”, cronaca della guerra tra Iperione, interpretato dal solito Mickey Rourke in versione dark villain, e Teseo, rappresentante delle divinità olimpiche. Action movie votato totalmente all’estetica 3D, la pellicola stravolge nuovamente il mito greco in funziona di una storia sterile e poco interessante. Oggetto d’una campagna promozionale degna di “300”, “Immortals” lascia amarezza e nulla più.

Come anticipato, i veri protagonisti del finesettimana sono italiani. Il piccolo Antonio è l’”eroe” di “SaGràscia”: il bambino graziato da Sant’Antonio intraprende un viaggio di ringraziamento per il miracolo concessogli, in una Sardegna nuova, lontanissima dall’isola conosciuta dai più. Bonifacio Angius, al suo primo lungometraggio, entra in punta di piedi, gridando a bassa voce il proprio talento. Ritornano sullo schermo Mattia e Kamal, protagonisti già di “Lezioni di Cioccolato” nel 2007, che ritroviamo in questo secondo episodio, “Lezioni di Cioccolato II” appunto, firmato Alessio Federici, sostituto più che degno di Claudio Cupellini. I due, sempre vicini nel segno del cioccolato, vengono ulteriormente avvicinati dall’amore sboccato tra Mattia e la figlia dell’egiziano, Nawal, di ritorno dall’Erasmus. È il rilancio d’una commedia all’italiana godibile ed intelligente, in cui spicca il primo caratterista straniero accolto nella penisola, Hassani Shapi, umorista unico che ruba la scena ritagliandosi il ruolo di coprotagonista. Convince di meno l’ultima opera di Pupi Avati, “Il Cuore Grande delle Ragazze”, che porta sullo schermo il ritratto dell’Italia al femminile degli anni ’30, rappresentata sullo schermo dalla coppia Cremonini, che abbandona il microfono per le cineprese, Ramazzotti, giovane promessa. Mentre stupisce positivamente un altro volto nuovo della cinematografia nostrana, quello del regista italianissimo (nonostante il nome) Roan Johnson, che racconta la vita di tre artisti della musica, alle prese con le vicende politiche degli anni ’70. Protagonisti de “I Primi della Lista” sono gli sconosciuti Francesco Turbanti e Paolo Cloni, accompagnati dal caratterista Claudio Santamaria, artefice dell’ennesima ottima prova. Johnson e Avati interpretano due passati italiani: è,in particolare, “I Primi della Lista” a gettare un ponte verso i tempi moderni, fin troppo vicini a quegli anni ’70 fatti di trame politiche e rivolte giovanili. In ultimo, “Il Paese delle Spose Infelici”, ritratto squallido della provincia tarantina raccontato da Pippo Mezzapesca. Tra immondizia interiore e degrado ambientale si muove l’universo di Mezzapesca, che a sua volta desume l’argomento dalle pagine del romanzo di Mario Desiati: la pellicola, in concorso al Sesto Festival Internazionale di Roma, seppur importante per forza narrativa, piace poco per la realizzazione inconcludente.

LE SORPRESE
Tra le cinque pellicola italiane in uscita questo secondo venerdì di Novembre, sorprende l’opera prima di Bonifacio Angius, “SaGràscia”. L’emergente regista porta sulla schermo una storia mite, che fa della semplicità la propria forza, ambientata in una Sardegna che solo un sassarese doc come lui poteva presentarci così altra, diversa. Un’altra prova dell’enorme potenzialità del buon Cinema Italiano.

I FLOP E I TOP

E adesso, i peggiori di questo fine settimana:

3°. Al gradino più basso troviamo Pupi Avati. Fa storcere il naso la sua ultima pellicola, macchinosa e poco innovativa nelle tematiche, come dispiace la scelta del protagonista, prestato dalle note ai ciak: dopo più di quarant’anni di Cinema ad Avati è concesso questo ed altro.

2°. Medaglia d’argento per la produzione italiana che convince di meno, “Il Paese delle Spose Infelici”. Mezzapesca da avvio ad una buona narrazione che si perde in corso d’opera, lasciando la pellicola quasi in sospeso.

1°. Bocciato in pieno è, invece, “Immortals”. Accozzaglia di combattimenti e richiami fin troppo vicini alla copia di cui vanno incolpati i produttori Gianni Nunnari e Mark Canton, fin troppo frettolosi di anticipare l’uscita nelle sale del reeboot “Superman”, ultimo lungometraggio dell’avversario di sempre Zack Sneyder.

Infine, i promossi:

3°. Medaglia di bronzo alla nuova versione de “Il Re Leone”. Nonostante sembri semplice vanesia la scelta di riadattarne la grafica ai tempi moderni, risulta comunque un progetto azzeccato che unisce, nel segno della nostalgia e della tecnologia, le vecchie e le nuove generazioni.

2°. Si aggiudica il secondo posto “One Day”. L’attesa degli spettatori, siano o meno essi fruitori del romanzo di Nicholls, è premiata da una commedia lineare e godibile, un intrattenimento di qualità che non necessità di esagerate vesti grafiche.

1°. Primo della classe è, infine, “Lezioni di Cioccolato II”. Simile per caratteristiche di fruizione all’americano “One Day”, dimostra come l’Italia possa dire la propria anche con pellicole meno impegnate ma egualmente qualitative: tutto merito della coppia Argentero- Shapi, diretta da Federici.

BOX OFFICE

Continua il dominio de “I Soliti Idioti”, che raggiunge gli 8 milioni e mezzo di incassi in dieci giorni di programmazione. Come auspicabile, trova due ottimi concorrenti nelle new entry “Immortals” e “Il Re Leone 3D”, che incassano rispettivamente 1.788.434,12 € e 1.442..357,67 €. Meno fortuna incontrano gli ingressi tricolore anche se tiene ancora banco “La Peggiore Settimana della mia Vita”: un dato che dovrebbe far riflettere. Si prepara una settimana di fuoco per i botteghini italiani, con l’arrivo nelle sale dell’attesissimo The Twilight Saga: Breaking Down-Parte 1”.

Marco Fiorillo

Pier Lorenzo Pisano

Lezioni di Cioccolato II (2011)


Lezioni di cioccolato 2
Titolo originale: Lezioni di cioccolato 2
Italia: 2011. Regia di: Alessio Maria Federici Genere: Commedia Durata: 103'
Interpreti: Luca Argentero, Hassani Shapi, Nabiha Akkari, Angela Finocchiaro, Vincenzo Salemme, Vito, Giorgia Surina, Barbara Folchitto
Sito web ufficiale: www.lezionidicioccolato2.it
Sito web italiano:
Nelle sale dal: 11/11/2011
Voto: 6,5
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Recensione di: Francesca Caruso
L'aggettivo ideale: Cioccolatoso
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Lezioni di cioccolato 2 su Facebook
Come nel 2007 il primo episodio di “Lezioni di Cioccolato” ha visto l’esordio alla regia di Claudio Cupellini, questo secondo episodio vede il debutto registico di Alessio Federici.
Due esordi un unico file rouge che li unisce: il cioccolato. In questa nuova avventura, le strade di Mattia e Kamal si sono divise, ma i problemi da affrontare non mancano a nessuno dei due.
Mattia si invaghisce di una ragazza egiziana, che vuole conquistare e chiede aiuto a Kamal.
L’uomo si presta a dare i suoi consigli, non sapendo che la ragazza in questione è sua figlia.
Lo spettatore ritrova Mattia e Kamal inventarsene, nuovamente, di tutti i colori pur di raggiungere il proprio obiettivo.
In questo nuovo incontro/scontro interculturale viene trattato un argomento non esplorato da “Lezioni di Cioccolato” - quello riguardante la concezione della donna e le tematiche ad essa relative, come il matrimonio e la libertà di fare le proprie scelte.
Lo sceneggiatore Fabio Bonifacci descrive quella che è oramai da considerarsi la normalità del vivere quotidiano anche in Italia, ovvero l’integrazione della seconda e terza generazione di immigrati nell’assetto sociale e culturale. È una realtà che ognuno di noi vive e nella quale si può trovare un confronto costruttivo.
Nawal, la figlia di Kamal, è una giovane immigrata di seconda generazione che vive divisa tra due culture, quella paterna - rigida e tradizionalista, e quella occidentale - diventata in poco più di cinquant’anni il suo opposto. Sia Mattia che Kamal, però, mostrano le stesse contraddizioni e ipocrisie riguardo questo tema, cercando di imporre a Nawal il rispettivo punto di vista senza tener conto di ciò che vuole lei.
Inoltre il personaggio di Osvaldo ci riporta indietro nel tempo, a pochi decenni fa, quando era il capofamiglia a decidere quale uomo la figlia dovesse sposare e il comportamento da tenere in qualsiasi circostanza si trovasse.
Le donne non potevano uscire da sole con un uomo, ma dovevano essere sempre accompagnate, per esempio.
Il tutto è condito con un linguaggio scanzonato, allegro e con un sapore di cioccolato che il regista vuol fare quasi sentire al pubblico.
Ci sono, in effetti, un paio di occasioni in cui i diversi protagonisti sollevano il cioccolatino invitandolo non solo a guardare, ma a volerlo far assaggiare. L’intento del regista e dello sceneggiatore è stato quello di realizzare un intreccio che catturasse l’interesse, come “Lezione di Cioccolato” ha fatto qualche anno prima, superando le aspettative della produzione.
A differenza del precedente, però, si è persa quella fragranza originale di cui il film era permeato fossilizzandosi, in questo secondo episodio, sulla promozione/esposizione del cioccolatino in questione.
Bisognava forse rimanere più sul tema lezioni di cioccolato, prendendo spunto dalla grande varietà di ricette a base di cioccolato e non solo di un determinato tipo.
Tuttavia le baruffe tra Luca Argentero e Hassani Shapi rimangono sempre molto divertenti.
Shapi diventa il vero mattatore del film, che strappa la risata ogni volta.

One Day (2011)


One Day
Titolo originale: One Day
USA: 2011. Regia di: Lone Scherfig Genere: Commedia Durata: 111'
Interpreti: Anne Hathaway, Jim Sturgess, Tom Mison, Jodie Whittaker, Tim Key, Rafe Spall, Josephine de la Baume, Patricia Clarkson, Ken Stott, Heida Reed, Amanda Fairbank-Hynes
Sito web ufficiale: www.focusfeatures.com/one_day
Sito web italiano: www.yahoo.com/one-day.html
Nelle sale dal: 11/11/2011
Voto: 6
Trailer
Recensione di: Marco Aresu
L'aggettivo ideale: Ricorrente
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One Day su Facebook
Emma (Anne Hathaway) e Dexter (Jim Sturgess) trascorrono insieme il 15 luglio 1988, giorno della loro laurea, e per i successivi vent’anni, ogni 15 luglio, le loro vite si incrociano nuovamente tra momenti di amore, odio, gioia e dolore.
Emma è una ragazza insicura ma spiritosa, che affronta una vita piena di sacrifici per realizzare il suo sogno di diventare scrittrice; Dexter è un ragazzo di famiglia agiata, che ama la vita facile e libertina, e intraprende una carriera di successo nel mondo televisivo.
La loro apparente diversità non li separerà mai del tutto nel corso degli anni..
One Day è una pellicola diretta da Lone Scherfig (“An Education”) tratta dal romanzo omonimo di David Nicholls, autore anche della sceneggiatura. Commedia romantica che segue (e insegue) l’amore attraverso gli anni, le tendenze, i costumi, i luoghi, scandendolo con piccoli episodi che avvengono anno dopo anno nella stessa data.
Emma e Dexter in realtà si vedono più spesso, ma a noi è riservata solo la fotografia del 15 luglio. Si tratta di una formula cinematografica già collaudata con “Lo stesso giorno, il prossimo anno” di Robert Mulligan, la celebre commedia “Harry, ti presento Sally” e ha il sapore europeo dei romantici film di Richard Linklater “Prima dell’alba” e “Prima del tramonto”.
Forse 20 anni sono paradossalmente troppi per permetterci di capire affondo questi personaggi.
Tanti siparietti (non sempre significativi) in cui cambiano i vestiti e le acconciature, ma “Em” e “Dex” non vanno oltre la loro facciata: lei un’inguaribile romantica, lui un imperdonabile stronzo. Le loro vite hanno due percorsi inversi: per Dexter una caduta e redenzione del tipo “bello e dannato”, per Emma una vita noiosa e ordinaria che alla lunga le dà ragione.
Certo ci sono tanti avvenimenti (meglio i momenti ironici di quelli drammatici) e la svolta finale non è scontata, ma c’era bisogno di aspettare tutte quelle date del calendario? I tempi cinematografici sono diversi da quelli della pagina scritta (e lo sceneggiatore Nicholls aggiunge rispetto al suo libro un inutile episodio finale per una sorta di happy ending).
Quello che risulta difficile da digerire in One Day è il perché una donna dovrebbe stare tutta la vita dietro ad un uomo così: pare che Emma sia innamorata a tal punto di Dex da salvarlo e farlo diventare “buono” (finzione cinematografica?) Lui ricambia solo quando ha toccato il fondo e vede in lei una donna affermata e sicura di sé.
Anne Hathaway e Jim Sturgess faticano a trovare un’intesa sia mentale che fisica sullo schermo e nonostante la vita di Emma sia più noiosa, la Hathaway con il suo personaggio imbranato e autoironico risulta più credibile e sincera di uno Sturgess nella spirale di autodistruzione o con la barbetta incolta, disperato e innamorato.
One Day è una storia d’amore che nonostante attraversi diversi periodi storici (da fine anni’80 ai giorni nostri) e diversi luoghi (Edimburgo, Londra, Parigi), si pone come il percorso fuori dal tempo, senza coordinate geografiche (e logiche) di due persone per stare finalmente assieme. Un viaggio per soddisfare inguaribili romantici che credono “ciecamente” all’amore.

domenica 13 novembre 2011

Immortals (2011)


Henry Cavill: Teseo
Freida Pinto: Fedra
Mickey Rourke: Iperione
John Hurt: Zeus (anziano)
Luke Evans: Zeus (giovane)
Kellan Lutz: Poseidone
Joseph Morgan: Lisandro
Isabel Lucas: Atena
Stephen Dorff: Stavros
Corey Sevier: Apollo
Steve Byers: Eracle
Regia: Tarsem Singh
Sceneggiatura: Vlas e Charley Parlapanides
Fotografia: Brendan Galvin
Musiche: Trevor Morris

Il crudele sovrano Iperione (Mickey Rourke) è alla ricerca di un’arma mitica, un arco forgiato da Eracle (Steve Byers) che possa utilizzare per liberare i Titani dalla prigionia nel Monte Tartaro e guidarli contro Zeus (Luke Evans) e gli Olimpi. L’unica speranza degli elleni è riposta in un bastardo di nascita, Teseo (Henry Cavill), prescelto fin dalla fanciullezza dallo stesso Zeus, nei panni di un vecchio precettore (John Hurt), per condurre l’offensiva contro Iperione. Accompagnato dal bellissimo oracolo Fedra (Freida Pinto), Teseo si batterà per gi umani e per gli Dei.
Ennesima scomposizione del mito in chiave prettamente estetica, “Immortals” è il tragico terzo lungometraggio firmato Tarsem Singh. Il regista statunitense parte da un idea semplice e di tendenza che potrebbe essere alla base di un modesto blockbuster senza pretese, se non fosse che in corso d’opera non gliene riesca una buona. Soggetto ad una rilettura a tratti ridicola, l’intero patrimonio cultuale greco viene stravolto: così Teseo, eroe fondatore alla stregua di Eracle, viene trasformato in un “indesiderato” schernito dai suoi stessi compatrioti, quando può vantare la paternità di Poseidone, mentre Iperione, uno dei Dodici Tiranni, diviene un comune mortale, neanche poi così comune considerate le turbe che gli vengono associate; l’Oracolo non ci pensa su due volte prima di perdere il dono della divinazione, giacendo con l’eroe Teseo, e gli Olimpi così come i troppi Titani (numericamente parlando) vengono rappresentati come giovani con armature d’oro, gli uni, come zombie privi di ragione, gli altri. A salvarsi è solo l’interessante rivisitazione del mito del Minotauro. Se comunque un veto sulle scelte riproduttive sia discutibile trattandosi di un’opera a sé, è problematico valutare positivamente tutto il resto. Al di là della perfetta resa di costumi ed ambientazione, senza considerare il piacere estetico della realizzazione in 3D, Singh tenta di mettere in piedi un’opera “modaiola”, finendo per attingere da varie fonti, inserendo poche e spiacevoli idee originali. Prende l’odio per gli Dei dell’Achille di Brad Pitt ed i combattimenti di “300”, ci mette insieme personaggi dalla scarsissima profondità, dialoghi imbarazzanti ed una storia a tratti macchinosa, giustificando il tutto adducendo come uno scopo il piacere per gli occhi: “Volevo realizzare quello che definirei una “storia a dipinti”- ammette lo stesso Singh, che continua- “Utilizzare delle immagini in sequenza si fa nelle gallerie d’arte e di solito non si vede del movimento”. Certo più della resta estetica non ci si poteva aspettare, considerando che la sceneggiatura è stata consegnata un giorno prima dell’inizio delle riprese dopo la pressione che i produttori Gianni Nunnari e Mark Canton hanno esercitato sui due fratelli Parlapanides, sceneggiatori di origine greca, desiderosi di battere sul tempo l’uscita del nuovo lungometraggio del rivale di sempre, Zack Sneyder. Se si aggiunge che Singh si presentava a registrazione con una cartellina contenente le opere di Caravaggio, si capisca quanto “Immortals” sia lontano dal Cinema.
Oltre Mickey Rourke, sempre credibile nei panni del cattivo, il trio protagonista è concluso da Henry Hill, scritturato proprio da Sneyder per vestire i panni dell’Uomo d’Acciaio, Superman, nel reebot di prossima uscita, e da Freida Pinto, resa celebra dall’interpretazione nel successo internazionale “The Millionaire”. Intorno a loro si muove il panorama ellenico, in cui spiccano le due versioni i Zeus: il caratterista anglosassone John Hurt, famoso per i suoi lavori teatrali, ne interpreta le senili sembianze mentre la sua potenza divina è affidata a Luke Evans, già partecipe a produzione di genere e prossimamente nelle sale nel lungometraggi tolkeniano “Lo Hobbit”.
3D e niente più, ecco cosa propone Singh con “Immortals”. Signore e Signori, ecco a voi il trionfo del Cinema moderno.
VOTO 4/10
Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano