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venerdì 18 novembre 2011

La parola ai giurati (1957)


Regia: Sidney Lumet
Henry Fonda: Giurato n.8 (Davis)
Lee J. Cobb: Giurato n.3
Jack Warden: Giurato n.7
Joseph Sweeney: Giurato n.9 (McCarter)
Martin Balsam: Giurato n.1 (presidente)
Ed Begley: Giurato n.10
E.G. Marshall: Giurato n.4
Jack Klugman: Giurato n.5
Robert Webber: Giurato n.12
John Fiedler: Giurato n.2
George Voskovec: Giurato n.11
Edward Binns: Giurato n.6 (Scott)

Prima esperienza cinematografica del grande Sidney Lumet, adattamento di un film per la tv dal registro decisamente teatrale, a tal punto da aver ispirato adattamenti a Broadway ed anche in Italia ad opera di Gassman (figlio).
Praticamente ambientato in un’unica location, una sobria stanza dove poter discutere, dodici giurati decidono il verdetto di colpevolezza o innocenza di un ragazzo appena diciottenne accusato di aver assassinato il padre. Inizialmente tutti i giurati si mostrano convinti della colpevolezza, tranne uno, Davis, che vota per l’innocenza perchè prima di condannare un ragazzo alla sedia elettrica ritiene giusto fare un minimo di discussioni preliminari.
Ogni giurato è delineato perfettamente dall’ottima sceneggiatura, e la grande bravura degli attori riesce a caratterizzarli e a dar corpo ai personaggi ancora di più. Grande attenzione per i piccoli particolari, una leggera incertezza nell’alzare la mano per votare la colpevolezza denota subito chi passerà successivamente a pensare che il ragazzo sia innocente. Sguardi significativi, toni di voce vibranti di rabbia e frustrazione, ma anche logica pura e cristallina ed infiammata dalla più nobile delle cause: il valore della vita umana.
Apparentemente statico, in questo film le montagne russe sono dialettiche e riescono davvero a rapire: stratagemmi e ragionamenti, un’opera di convincimento rischiosa e sul filo del rasoio: questo cinema, che adesso è praticamente scomparso, avrebbe molto da insegnare ai cineasti di oggi. Un film moderno che si avvicina a questi risultati, per la struttura evidentemente teatrale, è “Carnage”, anche se ovviamente non ha la compostezza, il ritmo e soprattutto il valore morale del film del ‘57.
Questi uomini, così diversi tra loro, sono tutti vestiti in bianco, sono tutti esseri umani, e sono quindi ugualmente soggetti alla morale e al ragionamento. Un ulteriore livello di appiattimento è dato dal fatto che essi per legge non possono conoscere i loro nomi e si chiamano per numero. Cosa può ottenere una volontà forte in un contesto del genere?
Può battersi come un leone, come un eroe senza nome, infatti è proprio del vero eroe il sacrificio dimenticato ed anonimo, e difendere la dignità della vita umana.
Sono uomini anche loro, non dei.
VOTO 8/10
Pier Lorenzo Pisano
Marco Fiorillo

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