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martedì 31 maggio 2011

Rocky

Ciclo "Per non dimenticare": Guantoni da oscar




Rocky (1976)


Sylvester Stallone: Rocky Balboa
Carl Weathers: Apollo Creed
Burgess Meredith: Mickey Goldmill
Talia Shire: Adriana Pennino                                                                                                                                                              
Burt Young: Paulie Pennino
Tony Burton: Tony “Duke” Evers
Joe Spinell: Tony Gasco
Joe Frazier: interpreta se stesso

Regia: John A. Avildsen
Sceneggiatura: Sylvester Stallone
Soggetto: Sylvester Stallone
Fotografia: James Crabe
Montaggio: Scott Conrad
Musiche: Bill Conti
Scenografie: Bill Cassady

Quante volte siamo stati la nostra rabbia, la nostra frustrazione, i nostri fallimenti. Quante volte abbiamo voluto un’occasione, una sola, per trovare dignità, amor proprio, rispetto. Riuscire a rimanere in piedi, quando le gambe stanno cedendo e il peso che ci portiamo addosso diviene insostenibile, sembra impossibile, ma quando impariamo a non andare al tappeto, lì troviamo la vera vittoria.

Philadelphia, 1975. In un logoro club di boxe, Rocky Balboa (Sylvester Stallone), si sottopone alle urla del pubblico, allo sporco di quel vecchio locale, convinto che sia l’unico modo per andare avanti. Aveva la stoffa, Rocky, ma ha preferito essere un bulletto di strada al servizio di Tony Gasco (Joe Spinell), ha preferito vivere in una stanza “fetente”, più simile ad una cella. Si illumina solo quando entra in un negozio di animali del quartiere, innamorato com’è della commessa Adriana (Talia Shire), sorella dell’amico Paulie (Burt Young). Ma non basta per scampare alla drammatica realtà che gli si pone davanti: “Sai chi sei tu? Una scamorza!”, queste sono le parole con cui lo apostrofa Mickey (Burgess Meredith), proprietario ed allenatore della storica palestra della città, “Mickey’s”. Ma, lo “Stallone Italiano”, questo il soprannome del pugile, non sa ancora che le cose stanno per cambiare. Il campione del Mondo dei pesi massimi, Apollo Creed (Carl Weathers), è rimasto senza sfidante per l’incontro d’esibizione organizzato alle porte dell’anno nuovo: si decide per dare una chance ad uno sconosciuto. Quello sconosciuto è proprio Rocky.

La pellicola porta sulla scena, con una forte carica emotiva, il dramma di una vita trascorsa nella solitudine, nell’insuccesso, nella delusione. Rocky/Stallone non riconosce più l’uomo che gli si pone davanti quando si specchia, non riconosce più lo sguardo grintoso che il bambino- Rocky ostenta in foto. Si accontenta d’essere un criminale da quattro soldi, pago solo dei momenti sul ring, in cui da prova di prestazioni degradanti, figlie di un animo sconfitto. Ma nella “Terra delle Occasioni”, un’occasione non manca mai, sta a te saperla sfruttare. È così che il Mito Americano  prende le forme di un incontro pugilistico: “L’America è la terra che offre possibilità a tutti”, ammette Apollo/Weathers perfetto interprete di questo spirito. Vestito da George Washington, prima, da Zio Sam, poi, il campione del mondo incarna l’ideologia del successo d’oltreoceano, sfiorando, forse, il patetico, ma rimanendo fedele ad una scelta registica di fondo. Dichiarata la sfida, siamo di fronte al momento della verità, la sfida dell’uomo qualunque alla vita, il cui obiettivo non è quello di vincere ma di resistere. Si dichiara, in quest’occasione, il vero significato della vicenda: il vero nucleo non è costituito dal combattimento, ma da quello che c’è oltre le corde del ring, il rispetto delle persone, l’amore finalmente trovato, l’orgoglio. Senza scudo ma con i guantoni, Rocky sembra così vicino a quell’Achille omerico che “combatte per non dover più combattere”.

Non può mancare un richiamo agli eventi che hanno portato alla realizzazione della pellicola.
Correva l’anno 1975, quando un giovanissimo Sylvester Stallone assistette all’incontro tra il campione del Mondo Muhammad Alì e Chuck Wepner: dopo 15 estenuanti riprese, lo sfidante crollò al tappeto, dopo aver più volte messo in difficoltà, se non il migliore, uno dei migliori combattenti della storia. Affascinato dall’incontro e dalla forza d’animo dimostrata da Wepner, Stallone scrisse in soli tre giorni la storia di un giovane pugile cupo e malinconico, che divenne, seppur dopo svariate rivisitazioni, la favola di Rocky. La prima stesura dell’opera non incontrò il giudizio felice della moglie di Stallone, che non approvava l’atmosfera troppo dark che trasudava lo scritto: Stallone si impegnò immediatamente per una rivisitazione, da cui scaturì la caratterizzazione quasi ultima del pugile. Nello stesso periodo, Stallone (con soli 106 dollari in banca) prendeva parte a dei provini alla corte di Irwin Winkler e Bob Chartoff: alla fine dell’incontro, poco soddisfacente, Stallone si propose, oltre che come attore, anche come sceneggiatore, sottoponendo ai due produttori la lettura della trama di Rocky: lo scritto fu accolto con inaspettato entusiasmo e subito la “macchina del cinema” si mise in moto. Nonostante candidature di pregio elevatissimo (come quelle di Robert Redford e Ryan O’Neal), Stallone sentiva che quello era il suo momento: riuscì a convincere Winkler e Chartoff della sua interpretazione del protagonista, una scelta che sicuramente i due non hanno rimpianto. Fu, poi, il momento di scegliere il resto del cast. Meritano, sicuramente un cenno, i provini della Shire e di Weathers. Dopo numerosi  tentativi, il ruolo di Adriana fu affidato a Talia Shire che dimostrò da subito affinità evidenti con il personaggio: “Mi piaceva questa creature timida e fragile. Era incredibile!”, così ricorda Stallone le sue primissime impressioni dell’attrice. Da ridere, invece, il provino di Carl Weathers: dopo aver provato qualche battuta, a Carl fu chiesto di boxare con Stallone; dopo qualche “scambio”, Weathers, annoiato, chiese di poter collaborare con un vero attore per poter dimostrare al pieno le sua qualità durante il provino. Stallone, divertito, riconobbe nella spavalderia di Carl quella di Apollo e lo volle assolutamente nel cast. Considerato il limitatissimo budget a disposizione (appena 1,1 milione di dollari), alle riprese parteciparono anche componenti della famiglia Stallone: troviamo Frank Jr., fratello di Sylvester, nelle vesti del cantante di strada, Frank, il capofamiglia, ha il compito di suonare la campana a bordo ring, e Butch è interpretato dal cane di Sylvester. Superati i casting, cominciarono le riprese, anch’esse gravate dai tagli economici. Per questo motivo alcune scene furono improvvisate o alterate rispetto alla sceneggiatura originale: nella scena dell’allenamento di Rocky, un commerciante gli lancia un’arancia, si tratta, appunto, di una scena improvvisata, e il gesto sorprese anche Stallone, che pensava di essere oggetto del lancio di oggetti della folla, scocciata dalla presenza invadente della troupe; inoltre, la scena sulla pista di pattinaggio richiedeva originariamente la presenza di 300 comparse, proprio per l’impossibilità di reperire e, soprattutto, pagare uno numero così spropositato di interpreti, Stallone si risolse nel riscrivere la scena, raggiungendo un ulteriore obiettivo: è quello il momento in cui si stabilisce la vicinanza tra Rocky e Adriana, “due metà costrette necessariamente ad incontrarsi”.
A riprese terminate, la pellicola venne proiettata per l’Associazione dei Registi: Stallone, presente in sala con la madre, si rese subito conto dello scarso interesse che la storia suscitava in quei 900 “intransigenti giurati”. Rimase da solo in sala, alla fine della proiezione, abituandosi già all’amara conclusione di quel sogno; si incamminò verso l’uscita, scese la prima rampa di scale, la seconda, ed arrivò alla fine della terza, dove l’aspettava una sorpresa. Tutti gli spettatori, erano lì: non appena lo videro vibrarono un applauso sincero e convinto. Stallone, con le lacrime agli occhi, si rivolse alla madre: “Come hai potuto dubitare di me, mamma? Mi stupisci!”.

Padre dell’opera è, senza alcun dubbio, Sylvester Stallone, responsabile della stesura della storia, della sua sceneggiatura e di un’interpretazione straordinaria: non è un caso che sia quest’opera a lanciarlo nel mondo del cinema che mai più abbandonerà. Lo accompagnano, oltre a i parenti, giovani promesse ed attori affermati. Talia Shire si dimostra degna dell’artistico sangue che gli scorre nelle vene: fa parte di quella famiglia italiana capitanata da Carmine Coppola e arricchita, nel corso degli anni, dei talenti di Francis Ford, Nicolas Cage e Sofia Coppola. Carl Weathers e Burt Young rimangono tutt’ora impressi nel cuore degli spettatori, merito questo di caratterizzazioni di elevatissima qualità, non solo in questo primo capitolo ma anche nei seguenti. Spicca l’immenso Burgess “Buzzy” Meredith: l’icona di Hollywood aveva intrapreso la propria carriera cinematografica negli anni ’30 ma questo non gli impedì d’affrontare “Rocky” con un entusiasmo giovanile e contagiante; ne possiamo comprendere il talento, nell’improvvisazione della scena del confronto tra Mickey e Rocky, nella stanza del secondo.
Nonostante le direttive molto precise di Stallone, non manca il lavoro dietro le cineprese, che contribuisce all’alto livello del prodotto. Il regista John Avildsen interpreta e realizza le idee di Sylvester, il direttore della fotografia James Crabe ne tratteggia le visioni, il responsabile del montaggio Scott Conrad mette insieme il tutto e Bill Conti ne orchestra le musiche, producendo una colonna sonora semplicemente leggendaria.
Il risultato? Tre premi Oscar, al Miglior Film, alla Miglior Regia ed al Miglior Montaggio, e la strepitosa accoglienza del pubblico di tutto il Mondo. Dispiace solo per la candidatura non realizzatasi di Crabe, che non sarebbe giunta immeritata.
Quanto di ognuno di noi ci sia in Rocky? È forse questo il valore aggiunto di questa leggenda cinematografica che, nel suo piccolo, si fa portavoce di un ottimo motto: aggrappati a quell’occasione e guarda in faccia la vita fino a quando non suona la campana.

VOTO 8/10
Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano





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