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giovedì 13 ottobre 2011

La pelle che abito (2011)




Pellicola ricca di richiami al noir (a partire dalla presentazione del titolo), ispirata dal romanzo breve “Tarántula” di Thierry Jonquet, “La piel que habito” è il 18esimo lungometraggio diretto dal regista Pedro Almodòvar.

Il film si alterna tra differenti suggestioni registiche e varia molto spesso ritmo. La sua maggiore peculiarità è l’impossibilità di collocarlo in un genere ben definito, poiché spazia dal thriller al drammatico, dalla fantascienza all’horror, a costituire un unicum molto complesso ma omogeneo.
 A volte i momenti del film si sostanziano di silenzio e precisione, gesti precisi e simmetria, come le api. Altre volte sullo schermo c’è una realtà drammatica e lacerante che non può non lasciare scosso lo spettatore. Certe volte l’orrore non è nella violenza fisica, ma nei meandri della mente umana.

Robert Ledgard (A. Banderas) è un chirurgo e biologo di chiara fama, che ha sviluppato un tipo di pelle estremamente resistente. Robert è un uomo cinico e determinato, ma soprattutto un manipolatore; gioca con la natura e la assoggetta alle sue regole, controlla tutto ciò che gli passa vicino, da un bonsai ad una giovane donna, Vera (Elena Anaya, già celebre per i suoi ruoli controversi), che tiene “prigioniera” per motivi sconosciuti insieme alla governante Marilia (Maria Paredes).
Questa è la situazione iniziale, dalla quale scaturiranno una cascata di colpi di scena, in uno dei migliori twist-movie degli ultimi anni.

Il film trae la sua forza dalla ricchezza delle sotto-trame, ma anche dalle azioni che si verificano nel presente, tanto sconvolgenti quanto ciò che le ha precedute. Sicuramente la pellicola ha un grosso debito nei confronti del romanzo anche se a nostro parere alcune modifiche hanno evidenziato certi tratti in maniera ancora più efficace.
Almodòvar crea un nuovo complesso edipico, una nuova perversione, più moderna e più adatta ad incarnare la sfrenatezza della società moderna. Un nuovo mito, che incarni l’uomo del 2012, anno in cui è ambientata la vicenda.

Quanto l’apparenza può davvero influire sulla psiche? E qual’è il limite all’orrore e agli abissi nei quali può sprofondare la mente umana? Ed è peggiore il vuoto interiore od esteriore? Una “marionetta” può assemblare altre marionette?
Questo è uno di quei casi in cui il film non ci lascia una volta usciti dalla sala, anzi ricorre nelle nostre riflessioni per la sua potenza. Finalmente un prodotto recente che riesce a scuotere le coscienze intorpidite dai blockbuster.

Voto: 7/10

Pier Lorenzo Pisano
Marco Fiorillo

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