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lunedì 14 marzo 2011

Il Rito



Il Rito (2011).
Anthony Hopkins: Padre Lucas Strevant.
Colin O’ Donoghue: Michael Kowak.
Alice Braga: Angelina.
Toby Jones: Padre Matthews.
Ciaran Hinds: Padre Xavier.
Rutger Hauer: Istvan Kowak.
Marta Gastini: Rosaria.
MariaGrazia Cucinotta: zia Andria.
Regia: Mikael Hafstrom.
Soggetto: Matt Baglio.
Musiche: Alex Heffes.
Il Diavolo torna nuovamente sulle scene, in un periodo che l’ha visto più volte protagonista, ma mai come in questa pellicola targata Mikael Hafstrom. Lasciati alle spalle effetti speciali da film d’azione e gli altalenanti giochi di tensione, “Il Rito” trova il suo valore in un forte lascito psicologico, che affonda le proprie radici nell’immortale dicotomia tra scienza e fede, tra empirico e sovrannaturale; una dicotomia che si risolve solo quando la fede è resa possibile dall’esperienza diretta.
Il giovane americano Micheal Kowak (Colin O’ Donoghue) affianca da sempre il padre nell’attività di famiglia: “servire i morti”. Fiaccato dalla prospettiva di vita che gli si pone davanti, decide di percorrere l’unica strada alternativa: intraprendere il sacerdozio con la prospettiva di un’educazione gratuita. Al volgere del termine del seminario, Michael si rende tuttavia conto di non aver ancora trovato il suo posto; redige una e-mail per informare della propria rinuncia, della propria mancanza di vera fede. La sua decisione però è scossa: dopo aver assistito a un mortale incidente, benedice la vittima dello stesso, infondendo su di lei la benedizione di un dio a cui sembra non credere veramente. Il suo carattere fermo e la mente brillante, lo rendono dunque soggetto della richiesta vaticana di rinfoltire nuovamente le file degli esorcisti delle diocesi mondiali e accetta così di raggiungere Roma, per godere più del soggiorno nella città che della preparazione nella sede papale. Straniero nella capitale della fede, l’”americano” non approccia nel migliore dei modi al corso, dubitando della reale presenza del maligno, le cui apparizione associa a disturbi mentali da sottoporre all’attenzione di uno psichiatra più che alle cure di un prete. L’incrollabile razionalismo con cui affronta la questione viene a scontrarsi con l’esperienza del gesuita Padre Lucas Strevant (Anthony Hopkins), cui viene presentato da Padre Xavier, titolare del corso. Insieme cominceranno un percorso a suon di esorcismi, durante il quale il canuto Lucas dimostrerà più e più volte la presenza del maligno al giovane americano: davanti agli occhi di Michael si dispiegheranno le forze del male ma questi rimarrà cieco fino a quando non sarà diretto strumento della forza del bene sui demoni che infestano il nostro mondo.
La storia s' inspira al libro del giornalista Matt Baglio che seguì direttamente il percorso di formazione alle pratiche esoteriche di Padre Gary Thomas, inviato nella sede Regina Apostolorum ed affidato niente di meno che alle “cure” di Padre Carmine, con cui compirà più di ottanta esorcismi (ai quali partecipa lo stesso Baglio), prima di ritornare in patria ad esercitare la professione.
Il film risulta più vicino al dramma psicologico che all’horror di genere: non manca la tensione e cruda è la narrazione delle pratiche esoteriche (anche se condita da particolari al limite del ridicolo, come la telefonata cui risponde Padre Lucas durante un esorcismo). La vicenda ruota attorno a due fulcri: il primo,(leggermente più implicito), è il passaggio di consegne dall’anziano ed esperto gesuita al giovane e dubbioso americano. Lucas ha guardato negli occhi il male, l’ha combattuto e non sempre è risultato vincitore, la sua fede è invecchiata con lui, l’insormontabile ma umano bastione del credo vacilla; forze nuove servono alla causa del bene, ma come sempre, per una mente aperta e indagatrice la via della verità è sempre di più difficile percorrenza. Il secondo in particolare permea di se il girato: è l’eterna lotta tra religione e materia, che prendono qui le vesti di esoterismo e psicologia, dimostrando come credere sia l’unica soluzione. “Scegliere di non credere non ti proteggerà da lui” afferma Padre Lucas; il male è intorno a noi, si insinua in ogni nostro gesto ed il solo modo per combatterlo è abbracciare la verità della sua esistenza, scegliendo di leggerne i segni.
Nonostante l’abuso del soggetto la pellicola è arricchita dalla riflessione che pone in essere la stessa narrazione e da un cast che, seppure giovane (tranne il maestro Anthony Hopkins) si dimostra all’altezza, in particolare O’Donoghue alla sua prima uscita, e Marta Gastini, una delle poche italiane in tenera età a varcare le soglie dell’olimpo hollywoodiano. Il valore aggiunto è ovviamente Hopkins, magistrale e sempre realistico, nei cui occhi si intravedono sempre le ombre del polidattilo cannibale lituano che mai ha lasciato i cuori dei suoi fan più appassionati; riesce a dare profondità ad un personaggio facilmente banalizzabile, fornendo un’ottima guida anche al resto del cast. Da ricordare la partecipazione, anche se minima, di Maria Grazia Cucinotta.
Un’ultima occhiata va gettata ai numerosi ed interessanti riferimenti abilmente richiamati da Halfstrom. Primi fra tutti la rana che scandisce le apparizioni del male: da sempre associata nella pittura medievale al maligno, qui l’animale, con le sue metamorfosi, rappresenta anche l’evoluzione psichica, emotiva e spirituale che l’uomo compie nella vita; uovo, girino, batrace, rana, sempre verso un’accresciuta consapevolezza. Similmente la presenza del gatto, anch’esso da sempre collegato al mondo magico, è un rimando alla religione e all’esoterismo. L’intuizione più acuta si coglie, però, nella battuta di Padre Lucas/Anthony Hopkins ( molto vicino nell’estetica all’esorcista per eccellenza Alex Von Sydow) che ammonendo Michael prima del loro prima esorcismo, gli ricorda che non vedranno “zuppa di piselli” ma segni reali della presenza del diavolo.
Tutto sommato, ne risulta un film godibile anche se limitato rispetto alle aspettative di rivalsa per un soggetto reinterpretato in troppe salse, tutte troppo vicine.
VOTO 5/10

Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano

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