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mercoledì 16 marzo 2011

Era mio padre

Ciclo: "Per non dimenticare" Festa del papà
                                                                                         Era mio padre (2002)

Tom Hanks: Michael Sullivan.
Paul Newman: John Rooney.
Daniel Craig: Connor Rooney.
Jude Law: Maguire.
Jennifer J. Leigh: Annie Sullivan.
Tyler Hoeclin: Michel Sullivan Jr.
Liam Aiken: Peter Sullivan.
Stanley Tucci: Frank Nitti.
Ciaràn Hinds: Finn Mcgovern

                                                                                    Regia: Samuel A. Mendes.
                                                                                    Soggetto: Max Allan Collins.
                                                                                    Fotografia: Conrad L. Hall.
                                                                                    Musiche: Thomas Newman.

Agli occhi di un figlio, il proprio padre è sempre un eroe. Lo sa bene il regista Sam Mendes che stilla questa sua seconda perla, sussurrando appena all’orecchio del suo pubblico i meccanismi alchemici che confondono padre e figlio in una sola cosa. Un viaggio verso la salvezza che avrà come meta finale l’accettazione e l’affetto, di quello che solo padre e figlio possono condividere.

Illinois, 1931. L’America del protezionismo fa da scenario alla vita di Micheal Sullivan (Tom Hanks) e della propria famiglia. Mike è uno degli uomini di fiducia del boss mafioso John Rooney (Paul Newman): l’uomo l’ha accolto come un figlio quando non aveva nemmeno una famiglia e Mike non può fare altro che dimostrargli lealtà e riconoscenza. La durezza del suo carattere trova spazio anche tra le mura che ospitano una moglie devota e due figli, segretamente incuriositi dal “lavoro” del padre. Sarà proprio questa curiosità a spingere Michael Jr. ( Tyler Hoeclin), il maggiore, a seguire il padre una notte in cui era in programma un sanguinoso regolamento di conti. Il giovane assiste all’assassinio, scoprendo in verità che il padre non indossa il costume dell’ “eroe al servizio del presidente” ma le vesti del carnefice.  Preoccupato della possibile testimonianza del figlio, ma forse mosso più dall’odio verso l’usurpatore dell’affetto paterno, il dispotico figlio di Rooney, Connor ( Daniel Craig), uccide la moglie e Peter, il figlio minore, convinto di aver eliminato Mike Jr. Distrutto dalla perdita, Mike si reca nella malavitosa Chicago, cercando la strada per arrivare al cuore dell’organizzazione ed infine ai colpevoli dell’omicidio della famiglia; al suo seguito il figlio, vicino ad un padre che non aveva mai conosciuto veramente. Tra improbabili rapine, scontri a fuoco e rocambolesche fughe dal sicario Maguire ( Jude Law) assoldato dai Connor, padre e figlio rimarranno sempre insieme, per non allontanarsi mai più l’uno dall’altro.

Il film trae ispirazione dalla graphic novel di Max Allan Collins, pubblicata a partire dal Giugno nel 1998,  di cui lo stesso autore ammette: “avevo immaginato il racconto come una storia alla John Woo, ma ne hanno fatto il Padrino e va bene lo stesso!” Gli eventi riguardano le vicende del boss John Looney, americano emigrato in Irlanda; la vicenda è traghettata da Mendes dall’Irlanda agli Stati Uniti perché: “in Gran Bretagna non puoi mettere due persone in un'auto e suggerire l'idea che si siano perse, dopo mezz'ora comunque arrivi al mare!".
La pellicola è attraversata da un unico filo conduttore, il rapporto padre-figlio, affrontato da tre diversi punti di vista. Nonostante l’estrema diversità, John Rooney non smette mai di voler bene a Connor, anche quando si macchia dell’omicidio di innocenti così vicini alla propria famiglia: giustifica il figlio, lo protegge in maniera morbosa, confidando in un legame familiare che in realtà scorre solo nelle vene. Il vero figlio del boss malavitoso è, in verità, un orfano accolto in casa Rooney e cresciuto tra le ali protettrici dello stesso John, che insegna a quel giovane l’onore, il rispetto, il senso della famiglia, infondendo in quell’estraneo più di quello che avrebbe infuso alla propria prole. Solo così quel giovane orfano può diventa Michael “Mike” Sullivan, figlioccio del boss e padre di famiglia; una famiglia da cui rimane sempre velatamente distaccato, fino a quando gli eventi non lo mettono necessariamente a confronto con un figlio che è così simile a lui, un figlio che si illumina solo quando volge lo sguardo verso il padre e vede il proprio futuro.
La cellulosa imprime in maniera realistica e poetica l’intricato groviglio che costituisce quel mondo che si crea tra padre e figlio. Un mondo fatto di silenzi, di parole mai dette, di affetto sussurrato, di timore nel veder svanire la propria virile pudicizia, eppure un affetto che è tangibile e che si palesa quando le difficoltà avvicinano i due protagonisti. Gli occhi di Mike sono pieni di orgoglio quando insegna al figlio a guidare mentre quelli di Michael Jr. sono amorevoli e preoccupati mentre si prende cura del padre ferito in uno scontro. L’affetto reciproco diviene a mano a mano un’aspirazione ed il “padre” diviene, nel bene o nel male, un modello, a testimonianza che ciò che siamo dipende da ciò che è stato prima e dentro di noi.

Il film è consacrato a capolavoro dal magistrale entourage che vi prende parte. L’ultima fatica di Paul Newman ricalca le glorie raggiunte dallo stesso durante la lunga e brillante carriera; Tom Hanks è probabilmente all’apice della forma, lanciandosi in un’interpretazione forte e commovente; fa il suo ingresso sulle scene il giovanissimo Tyler Hoeclin, che fornisce un’ottima prova confermando la fiducia accordatagli; in buona forma anche Daniel Craig, per la prima volta nelle vesti del cattivo, e di Jude Law, bravissimo nel caratterizzare la figura del sicario avvezzo ad una macabra ossessione.
Unica pecca un ritmo molto lento che caratterizza la pellicola fino al punto di svolta dopo il quale gli eventi si rincorrono freneticamente in un crescendo verso l’epilogo.
Si tratta, però, di un film che era in ogni modo destinato alla grandezza: a modellare ed impreziosire la pellicola il trio Mendes (regia)- Hall (fotografia)- Newman (musiche), consolidato dall’acclamato American Beauty (1999) premiato con l’Oscar per la miglior regia e per la miglior fotografia. Questa volta ad essere premiato con l’Oscar è solo Conrad Hall (il film riceve sei nomination agli Oscar) che purtroppo muore prima della premiazione: sarà l’amico Mendes a ritirare il titolo, dedicandogli la pellicola.

Considerati i fattori, ciò che ci viene restituito è una splendida pagina del cinema americano, tratteggiata con dovizia e cura dall’ottimo Mendes, e reso ottimamente da un cast in stato di grazia.

VOTO 7/10
Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano

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