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lunedì 6 giugno 2011

Patch Adams (1998)

Ciclo per non dimenticare: "Eroi senza costume"


Robin Williams: Hunter Patch Adams
Daniel London: Truman Schiff
Monica Potter: Carin Fisher
Philip Seymour Hoffman: Mitch Roman
Bob Gunton: Decano Walcott
Josef Sommer: Dr. Eaton
Ellen Albertini Dow: Aggie Kennedy
Irma P. Hall: Joletta
Michael Jeter: Rudy
Regia: Tom Shadyac
Soggetto: Hunter Adams, Maureen Mylander
Sceneggiatura: Steve Oedekerk
Fotogragia: Phedon Papamichael
Musiche: Marc Shaiman
Scenografie: Linda de Scenna

Prendete muscoli d’acciaio, poteri mutanti, costume e mantello, esperimenti governativi e disfatevene. Prendete un fucile, un distintivo, una manichetta o un seggio elettorale e disfatevene. Togliete il camice, i buoni propositi e le parole pompose. Per essere degli eroi a volte basta indossare una camicia variopinta e un largo sorriso, armarsi di pazienza e voglia d’ascoltare. Una lezione per il cinema ma, soprattutto, per la vita.
In preda alla depressione ed allo sconforto, Hunter Adams, tenta il suicidio. Spaventato dalle possibilità della sua coscienza, decide di internarsi di sua volontà, speranzoso di ricevere sollievo da medici e medicine. Di certo l’ospedale impone un cambiamento drastico, tuttavia il sollievo cercato arriva dai pazienti stessi: posto di fronte alla vera sofferenza, comprende la vera fortuna che ha nel vivere la propria vita. Prendersi cura dei nuovi amici vuol dire per Hunter sgombrare la mente dal dolore che si porta dentro. Così Hunter diviene “Patch” secondo la definizione del “malato” Arthur, ex magnate industriale affetto, ora, dalla sindrome del genio. Patch matura, così, la voglia di portare l’entusiasmo, il sorriso e l’aiuto che può dare, fuori dalle mura dell’ospedale; comincia gli studi di medicina, sconvolgendo quell’ambiente referenziale e austero, impersonato dalla figura del Decano Walcott (Bob Gunton) con la sua allegria e i suoi metodi anticonvenzionali. Supportato dai compagni Truman (Daniel London) e Mitch (Philip Seymour Hoffman) e dalla bella Carin (Monica Potter), con cui vivrà un’intensa storia d’amore, darà forma al suo sogno: un ospedale gratuito dove il paziente è anche medico, dove la prima cura è la compassione e l’empatia ed un abbraccio. Purtroppo, Patch non ha ancora finito di pagare il proprio debito alla vita e gli è riservata ancora una parte di dolore: verrà posto di nuovo dinanzi ad una scelta, abbandonarsi al dolore o fare di quell’allegria anche la propria cura.
La pellicola è tratta dal libro “Gesundheit: Good health si a laughing matter”, autobiografia di Hunter Adams, riconosciuto a tutti gli effetti come l’ideatore di quella particolare forma di terapia olistica, la “clown terapia”, che ha sconvolto radicalmente l’approccio dei medici alle malattie e ai malati.
Sullo schermo ci viene presentato un Adams fortemente provato da vicissitudini solo accennate. Ricordiamo che ,a soli sedici anni, Hunter, dopo aver ritrovato il padre di ritorno dalla guerra, lo perse per sempre, causa infarto; raggiunse lo zio in Virginia ma qui la “riabilitazione” fu impossibilitata dal sopraggiungere di un’ulcera (mal curata) e dal suicidio dello zio. Hunter privo di qualsiasi appiglio, tentò più volte il suicidio, poco convinto. Così lo ritroviamo internato volontario in un ospedale psichiatrico: Hunter scampa alla dipartita e prepara, in questo modo, il terreno per una vera e propria rinascita. Seppur breve, la permanenza in ospedale gli permette di capire che forma ha il vero dolore, il dolore di quei malati abbandonati all’indifferenza di un Mondo che li rifiuta. Dimentica le proprie sofferenze occupandosi di quelle della sua nuova famiglia che, inconsapevolmente, sta dando vita a qualcosa di grandioso: Hunter si rivolge ai “pazienti” col sorriso e non con un referto medico, ascolta le loro parole sconnesse e ne fa un gioco, donando aiuto e calore umano. Al ritrovato entusiasmo vanno strette le mura dell’ospedale, così, Patch, comincia gli studi di medicina, convinto di poter ottimizzare al meglio la propria teoria: “Per diventare medici dobbiamo curare il paziente oltre che la malattia!”. Come il vero Adams, anche il Patch di Williams si dimostra impaziente nel cercare quel rapporto diretto col malato: poetiche e drammatiche le scene che lo ritraggono intento a portare sollievo in un reparto di oncologia infantile, dove terapie ed antidolorifici non reggono il confronto con un naso di gomma. Se è facile immaginare quanto l’atteggiamento anticonformista ed aperto dello studente possa aver imbarazzato e sconvolto l’ambiente dotto della medicina, possiamo capire le reazioni scatenate dal suo progetto di costruire un ospedale totalmente gratuito in cui accogliere a braccia aperte chiunque sia bisognoso di cure o conforto, a patto che questi si integri al personale stesso della struttura per offrire, a propria volta, cure e conforto. E’ da quest’idea che prese vita il Gesundheit Hospital, fondato nel 1971, che ancor’oggi è il centro di un attivismo di pensiero e di fatto del tutto avviato. Nella pellicola trovano spazio una critica, malamente velata, al rinomato problema assicurativo americano e una drammatica storia d’amore: Patch si lega profondamente ad una studentessa, Carin, la quale, per poterlo ricambiare, dovrà vincere prima i fantasmi del suo passato .
Nei panni del “medico” Patch, uno splendido Robin Williams capace, ancora una volta, di emozionare anche col sorriso, riuscendo di avvicinare ed amalgamare perfettamente il dramma e la commedia. Si dispiega attorno al protagonista un universo di personaggi/attori che contribuiscono in maniera evidente al successo dell’opera. Philip Seymour Hoffman e Monica Potter danno sfoggio di valido talento, così come si distinguono il giovane Daniel London ed i consumati Bob Gunton e Josef Sommer. Una menzione a parte la merita Michael Jeter: l’attore statunitense si consumò lentamente nella droga e nell’alcol, fino a quando non trovò la morte a causa di un attacco epilettico, nel 2003 (all’epoca aveva già contratto l’AIDS): al suo funerale lo ricordarono Kevin Costner, Tom Hanks e lo stesso Robin Williams.
Alla regia Tom Shadyac trova l’unico dramma della carriera, si era dedicato, in precedenza, e si dedicherà, in seguito, a lavori meno “impegnati”. Vanno ricordati Papamichael, direttore della fotografia, ed il compositore Marc Shaiman, in lizza per l’Oscar di quell’annata.
Il film viene accolto dal plauso della critica e da incassi da record: solo negli USA viene raddoppiata la cifra stanziata per la produzione, circa 50 milioni di dollari. Non è così benevolo Hunter Adams: il medico si lamenterà a posteriori di come la pellicola abbia banalizzato sulla caratterizzazione del proprio personaggio, nel tentativo di mettere in moto una semplice “macchinazione economica”. In particolare, Adams si scagliò contro Williams: “Ha fatto 21 milioni di dollari per fingere di essere me per quattro mesi e non ha dato nemmeno 10 dollari per il mio ospedale gratuito!”
La critica del medico non sembra sminuire la poesia, la forza emotiva di una narrazione appassionata e mai banalizzata da un’ ”eccessiva allegria”. Una pagina eroica della storia del cinema.
VOTO 8/10
Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano

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