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giovedì 20 ottobre 2011

This must be the place (2011)


“This must be the place”, primo film americano di Sorrentino, è il risultato della sua collaborazione con Sean Penn. Questo incontro è stato reso possibile dalla stima che Penn ha del regista, conosciuto a Cannes dove era chiamato a giudicare il suo “Il divo”, che lo ha impressionato molto positivamente.
Come ammette lo stesso Sorrentino, egli non riesce a non avvolgere i personaggi dei suoi film in un velo di malinconia, ed è proprio sui personaggi e sulla loro vividezza che si basa il girato.
Cheyenne (Sean Penn) è un ex-cantante maledetto dall’appariscente stile dark-goth, vive una vita abitudinaria ed agiata, portando sempre con se un carrello (poi una valigia), forse simbolo tangibile delle sue insicurezze. È afflitto da un sentimento che non riesce a spiegarsi, una sorta di depressione mista a noia, un generico male di vivere che col proseguire del film si andrà sempre più chiarendo.
Il personaggio a cui Sean Penn dà vita è favolosamente tridimensionale: ha un passato da rockstar alle spalle, del quale mantiene soltanto il makeup, astenendosi da alcol, droghe, sesso extraconiugale ed addirittura musica: è l’antirockstar.
Parla in maniera estremamente lenta, con una vocina tenue e buffa, una risata risibile e cammina sempre leggermente curvato (‘Deve avere la stesso incedere dei ricchi che si sentono in colpa’, secondo Penn).
Sembra possedere l’ingenuità di un bambino, ed in effetti lo è. Il film è anche un’opera di formazione sulla figura di Cheyenne, anzi questo è forse il suo carattere più palese, dal momento che il suo essere bambino è riferito da uno dei personaggi stessi, ed il finale di crescita e maturazione è evidente da molti segni disseminati durante il film, che sono portati a compimento nel finale.
Ma ci sono altri due elementi che fanno grande questo film, oltre all’apparentemente indecifrabile Cheyenne: la ricchezza delle sottotrame, appena accennate ma così dense e vivide da rimanere impresse (si guardi la scena-senza parole- dell’indiano), che fanno della pellicola un lavoro corale (con un capo-coro d’eccezione). Ulteriori elementi notevoli, la regia e la fotografia: i cambi di scena non sono mai banali e sono sempre significativi, combaciano perfettamente con la colonna sonora, per la quale si deve ringraziare un grande David Byrne, presente nel film nella parte di se stesso.
Il film tratta di tematiche molto variegate, che vanno dal disagio adolescenziale, nella figura della ragazzina (Eve Hewson) che accompagna l’ex-rocker, nello stesso Cheyenne, per passare a dolori più “adulti”, come quello della separazione da un figlio, la crisi di mezza età, quando si passa dal “un giorno farò” all’ “ormai è così”, per finire con la vendetta, che può consumare un’intera vita.
Interessante notare come ogni accenno di crisi, ogni climax raggiunto in una scena è immediatamente interrotto proprio al suo culmine, come un susseguirsi di singhiozzi lungo un film che è anche un road movie.
Fortunatamente la pellicola sta anche sbancando ai botteghini, il pubblico sta premiando la qualità, una volta tanto.
VOTO 8/10
Pier Lorenzo Pisano
Marco Fiorillo

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