traduzione

domenica 27 marzo 2011

Il silenzio degli innocenti

Ciclo "Per non dimenticare" Allievo e Maestro


Il silenzio degli innocenti (1991)

Anthony Hopkins: Hannibal Lecter.
Jodie Foster: Clarice Starling.
Scott Glenn: Jack Crawford.
Anthony Heald: Dr. Frederick Chilton.
Ted Levine: Jame Gumb.
                                                                                                                                              Charles Napier: Tenente Boyle.
                                                                                    Frankie Faison: Barney Matthews.
                                                                                    Kasi Lemmons: Ardelia Mapp.
                                                                                   Brooke Smith: Catherine Martin.

                                                                                    Regia: Jonhatan Demme.
                                                                                    Soggetto: Thomas Harris.
                                                                                    Sceneggiatura: Ted Tally.
                                                                                    Musiche: Howard Shore.
                                                                                    Scenografie: Kristi Zea.
                                                                                     Fotografia: Tak Fujimoto.


Il cattivo vive solo del mondo che ritrova nelle stanze del Palazzo della Memoria. Una prigione di vetro e fredda pietra lo cingono in un abbraccio eterno. Quand’ecco che l’eroe, in questo caso l’eroina lo riporta nel mondo reale: ha bisogno di sondare il male che vive nel cuore del cattivo per poterne catturare un altro. In questo modo, i due condivideranno molto più di un’indagine, scoprendo che il confine tra bene e male non è poi così sottile.


Assennata e brillante, la studentessa Clarice Starling (Jodie Foster) si è già distinta durante la preparazione presso la sede d’addestramento delle reclute dell’FBI di Quantico. Quel che le serve è un’occasione per entrare nel “vivo dell’azione”, un’occasione che non tarda ad arrivare. Il killer seriale Buffalo Bill sta mettendo a dura prova le autorità federali poste al comando di Jack Crawford (Scott Glenn), che vede nella recluta Starling la possibilità di far luce sul caso: ancora prima di ricevere il distintivo, la invia nelle segrete del Chasepeak General Hospital a cercare l’aiuto dell’ex psichiatra e criminologo Hannibal Lecter, ormai ospite della prigione da otto anni, dopo gli efferati delitti di assassinio e cannibalismo di cui si è macchiato.
Nonostante la giovane età e l’inesperienza pratica, Starling tiene testa al genio che si trova di fronte, riuscendo anche ad ingannarlo: quando la figlia della senatrice Martin, Catherine, viene rapita da Bill, offre al Dottor Lecter una migliore “sistemazione”, accordo poi rivelatosi fasullo (e smascherato dal direttore del manicomio, Chilton, “nemesi” del cannibale), in cambio dell’identità dell’assassino, che pare lo psichiatra abbia conosciuto indirettamente anni addietro. I due sigleranno, dunque, un nuovo celato accordo: i segreti, i ricordi della giovane recluta, in cambio dell’aiuto, dei consigli del vissuto Dottore.


La storia è tratta dall’omonimo romanzo edito nel 1988 e  firmato Thomas Harris, autore della saga dedicata alla “avventure” di Hannibal Lecter. In particolare, “Il silenzio degli innocenti” è il secondo libro dello scrittore statunitense in cui compare la figura del’antropofago dottore: è preceduto da “Il delitto della terza luna”(1981), nel quale l’agente Will Graham, dopo aver provveduto alla cattura di Lecter, si occupa di un altro psicotico assassino seriale che si fa chiamare “Il Drago rosso”, e seguito da “Hannibal” (1999), che tratta le vicende seguenti alla fuga del Dottore durante le indagini per l’arresto di Buffalo Bill, e da “Hannibal Lecter: le origini del male” (2006), in cui Harris ripercorre le vicende che hanno fatto del giovane lituano un mostro senza passato. Di tutti i romanzi sono state realizzate delle trasposizioni cinematografiche, mai fedelissime, cui va aggiunta una prima versione de “Il delitto della terza luna”, quale “Manhunter- frammenti di un omicidio” (1986), in cui i panni di Hannibal Lecter sono indossati da un poco convincente Brian Cox. Delle varie pellicole, la più riuscita tra pubblico e cronaca è sicuramente la protagonista della nostra recensione.
Va, inoltre ricordato, che la figura di Buffalo Bill trae ispirazione dal tristemente famoso omicida Ed Gain, proprietario della “casa degli orrori” che, in un modo o in un altro, ripercorre le tappe del thriller criminologico moderno. Gain vive durante la prima metà del ‘900, figlio di un padre alcolizzato e di una madre luterana, una fanatica religiosa, che tiene in isolamento dal mondo i due figli, il maggiore Henry e lo stesso Ed. Col tempo, Henry comincia a ribellarsi ai precetti della madre, cercando di portare dalla sua parte anche il fratello; tuttavia, durante un incendio scoppiato nella fattoria Gain (1944), Henry muore in condizioni misteriose. Dopo la morte del padre (1940), Ed rimane da solo con la madre che , però, lo abbandona un anno dopo l’incendio. Rimasto solo al mondo, Ed da libero sfogo al mostro addormentato dentro di se: durante le indagini per la sparizione della commessa Bernice Worden, le autorità rinvengono la sopracitata casa degli orrori, in cui Gain conserva, tra altri macabri manufatti, un gilet chiamato “veste mammaria” fatto di una vagina e delle mammelle cucite insieme ed un intero guardaroba fatto di pelle umana. Come vedremo tra poco, i riferimenti al seriale Bill sono effettivamente molto espliciti; tuttavia, si denota un certo grado di contaminazione anche nella realizzazione cinematografica di Hannibal Lecter, come per il sorriso beffardo che accomuna i due e che portano come una maschera rivolto al mondo che li circonda.


Il film sembrerebbe basarsi su di un canovaccio classico: l’eroe, da una parte, il cattivo, dall’altra, il tentativo di fermare i suoi oscuri propositi. Nel mezzo, l’ambigua figura dell’anti-eroe, diviso tra le due fazioni. È proprio questa presenza a stabilire la brillantezza del girato così come del romanzo, in precedenza. L’attenzione è tutta diretta su Hannibal Lecter, cucito alla perfezione dal regista Demme per calzare ad uno spettacolare Hopkins, che riesce ad immortalare uno dei villain più famosi e chiacchierati della storia. Riesce a rapire la scena Lecter, geniale e orripilante, saggio e spietato a un tempo. Estremamente cortese, è una persona dagli innumerevoli interessi e dalla mente brillante, capace come nessuno altro di sondare la psiche umana; non riesce però a dirigere questa “potente intuizione” verso se stesso, al contrario si fa gioco di quanti tentino di capire il perché della sua persistenza nelle ombre. Dall’altra parte la recluta Starling che, fresca di studi, dovrà abbandonare ogni schema convenzionale nel trattare col Dottore, scoprendo, come lei stessa ammetterà, di poter solo imparare dallo psichiatra. Anche Clarice, però, è sotto i riflettori dello show di Lecter, che passeggia nella sua mente come fossero le stanze della proprio dimora: la rivolta come un guanto mostrando la sua debolezza più grande, il suo orgoglio di arrampicatrice sociale, da una degradante origine a donna in carriera. Ma è proprio nella risposta di Clarice che Lecter vede una grande forza d’animo, che la giovane accompagna alla dedizione e all’intelligenza. Il Dottore capisce di potersi rapportare alla recluta come ad un suo pari, la guida sapientemente verso la soluzione del caso, come il maestro fa con l’allievo. Ma da lei pretende un compenso: Starling gli rivela della morte del padre quando lei era ancora una bambina, della breve permanenza nel ranch degli zii, da cui fugge quando scopre gli agnelli piangere nel mattatoio familiare. Lecter gioca con la sua “vittima”, ma il suo atteggiamento apparentemente distaccato non impedisce la nascita di un rapporto dalle tinte chiaroscure. Clarice comincia a rivolgersi al Dottore come ad una figura “familiare”, come a voler colmare quel vuoto creatosi anni addietro alla morte del padre. Da parte sua, Lecter si avvicina sempre più alla giovane donna, ne segue i passi come un parente apprensivo, vede in lei quel confronto che gli è sempre mancato; dalle sbarre della cella, sfiora la sua mano con un dito, memore forse di un’emozione umana che sembra essere scomparsa dal suo petto. Dimostra il suo “particolare” attaccamento quando telefona alla donna, sul finire del girato, per chiederle se “gli agnelli hanno smesso di urlare”. 
Ci si perde così tanto tra le infinite sfumature del Dottor Lecter e tra gli alchemici intrecci che muovono lo stesso e la giovane Clarice in una funambolica danza psicologica, che si dimentica il “vero cattivo” contro cui lotta la nostra eroina, Buffalo Bill. Cresciuto da una prostituta alcolizzata tra maltrattamenti di vario genere, Bill sviluppa per la sua persona una spiccata ritrosia, desiderando un cambiamento che viene ottimamente rappresentato dalla Acherontia stix, un raro esemplare di farfalla che lo stesso Bill alleva nel suo sotterraneo degli orrori. Un particolare a tal proposito, l’immagine del lepidottero presente sulla copertina altro non è che una foto artistica di Philippe Halsman e Salvador Dalì, “In voluptas mors”, che imprime sette nudi di donna: il riferimento è alla volontà di Bill di cambiar sesso.
In linea con la narrazione cartacea è, anche, la caratterizzazione del Dottor Chilton, stravagante direttore della prigione di Lecter: sembra che tra i due ci sia una competizione molto strana, alimentata dalla frustrazione di Chilton, la cui analisi non è mai riuscita a superare le barriere mentali del Dottore, che, invece, si prende gioco di lui, ridicolizzandolo.
Da notare anche la presenza sempre formale ma sottilmente amorevole di Crawford, superiore diretto della Starling. Jack crede in lei, le da un’opportunità, superando i clichè maschilisti che l’FBI dell’epoca non aveva ancora abbandonato. La sua fiducia è assolutamente ripagata, anche se sembra che Clarice abbia scelto un altro mentore.
Soggetto indiscusso della pellicola è il male, interpretato nelle sue forme è reso splendidamente non solo da un cast formidabile, ma da atmosfere spettrali, a tratti opprimenti, e da una colonna sonora lugubre e carica di tensione. L’oscurità preme tra le cornici dello schermo avviluppando lo stesso spettatore. Ma tra le
ombre c’è sempre una crepa da cui filtra la luce.


Vanno ricordate alcune differenze fondamentali tra il romanzo e il film.
 Prima di tutto, cambiano nella versione di Ted Tally le vicissitudini che portano all’incontro tra Hannibal e Bill: nel libro, la testa che Clarice trova nel magazzino “dentro te stesso” è quella di un certo Klaus, amante di Benjamin Raspail, paziente del Dottor durante gli anni di esercizio della professione; pare che sia stato proprio Bill ad uccidere l’amante di Raspail, geloso del nuovo compagno. Nel film, la testa appartiene allo stesso Raspail se non si fa alcun riferimento a Klaus.
Non si fa riferimento, ne “Il silenzio degli innocenti” come nelle altre trasposizioni cinematografiche della saga di Harris, alla polidattilia di Lecter. Il Dottore presenta un medio di troppo alla mano sinistra: provvederà all’eliminazione del difetto, quando, scappato in Brasile, si sottoporrà anche ad un lieve intervento di plastica facciale, alterando minimamente le sue caratteristiche somatiche ma che basterà a farlo diventare un’altra persona.
Nel film non compare la figura di Bella, moglie di Crawford, in coma per una malattia in stadio terminale. Di conseguenza, manca il tormentato  stato di preoccupazione di Jack che permetterà anche un ulteriore avvicinamento con Clarice.
Infine, la pellicola si conclude con la telefonata di Hannibal a Clarice, conclusasi con il cenno all’imminente omicidio di Chilton. Nel romanzo, Lecter invia una lettere a Clarice ed una a Crawford per porgergli le condoglianze per la morte di Bella; il corpo di Chilton verrà ritrovato solo nel libro successivo.

Va rivolta l’attenzione, a questo punto, ad alcune curiosità particolari su girato ed entorurage.
Il sinistro risucchio fatto a denti stretti dal Dottore, al momento di ricordare un terribile omicidio, è frutto di una riuscitissima improvvisazione di Hopkins, che dimostra ancora una volta la sua grandissima capacità di immedesimazione. A tal proposito va anche ricordato che, Hopkins si è preparato alle riprese assistendo a moltissimi processi e accuse ad assassini; non ha mai ascoltato, però, i nastri riportanti l’audio delle torture registrati da alcuni killer durante i propri crimini, preparati appunto per Hopkins e per Jodie Foster dal regista Demme; nemmeno la Foster utilizzerà le registrazioni. Inoltre, Hopkins, ha riprodotto quell’immobilità dello sguardo che aveva notato in Charles Manson, il quale sbatte raramente le palpebre quando parla.
Oltre che a Ed Gain, il personaggio di Buffalo Bill si ispira ad altri famosi criminali, tra i quali Jerry Brudos, Ted Bundy, con cui condivide il modus operandi (adescare le proprie vittime fingendo menomazioni articolari), Gary M. Heidnik e Edmund Kemper,  per la simile infanzia triste e turbolenta e l’assassinio dei nonni; tuttavia, Kemper si avvicina anche al personaggio di Lecter: gli viene calcolato un Q.I. di 136, dimostrandosi furbo e scaltro anche nel manipolare le persone a lui vicine, e sarà lui stesso ad ammettere di aver mangiato la sua terza vittima: “Effettivamente ho divorato in parte la mia terza vittima. Ho tagliato dei pezzettini di carne che avevo conservato nel congelatore. Una volta scongelata, ho cotto la carne in un pentolino con delle cipolle. Poi ho aggiunto della pasta e del formaggio”.
Interessanti sono anche le vicissitudini che hanno portato la Foster a partecipare alle riprese del film. Va innanzitutto ricordato che la Foster rischia di lasciare le scene, quando, il 30 Marzo 1981, Jonh Hinckley Jr., un giovane fortemente attratto dall’attrice, che aveva già tentato di avvicinare durante gli anni a Yale, attenta alla vita del Presidente Ronald Reagan, ferendo quattro persone tra cui il presidente stesso. Fortunatamente la Foster si riprende dall’accaduto dopo aver meditato l’abbandono. E la ripresa è delle migliori: il suo primo Oscar. Medita, quindi, di comprare i diritti del romanzo di Thomas Harris “The silence oh the lambs”, ma viene preceduta. La direzione del film viene inizialmente affidata a Gene Hackman, che sceglie per il ruolo di Clarice Michelle Pfeiffer; subentra, poi, alla direzione, Jonhatan Demme che recluta, invece, Meg Ryan. Successivamente il posto rimane nuovamente vacante, e proprio la Foster a richiedere almeno la proprio partecipazione al girato, divenendo la seconda attrice più giovane a vincere due Oscar come miglior attrice. Al momento della premiazione con la seconda statuetta, e la stessa a dimostrare forte spirito femministico,dedicandola: “Alle donne che sono venute prima di me e che, a differenza di me, non hanno avuto nessuna chance, alle sopravvissute, alle emarginate.”


Anthony Hopkins, superbo in questa interpretazione, da eternità ad un personaggio che sembra nascere dalla penna di Harris per essere impersonato solo da lui: riceve (forse ingiustamente) l’unico Oscar della sua carriera proprio partecipando al “Silenzio degli innocenti”, suggellando la fine della crisi che l’aveva visto afflitto da alcolismo già dalla metà degli anni ’70. E pensare che recita effettivamente per soli 16 minuti, ottiene anche il primato per l’”Oscar più breve della storia”. L’eccezionalità della performance passa anche per il magnifico doppiaggio di Dario Penne, voce ufficiale di Hopkins durante l’arco della sua carriera. La sua magnifica controparte, Jodie Foster, non può che seguirlo sul palcoscenico Hollywoodiano, portando a casa il suo secondo Oscar: nonostante la sua giovanissima interpretazione in “Taxi Driver” e il suo primo Oscar, a premiazione dell’interpretazione in “Sotto accusa” (1989), è Clarice Starling a consacrarla definitivamente nell’olimpico mondo del cinema americano. I due interpreti dimostrano un feeling consolidato, una vicinanza quasi tangibile, frutto di una preparazione impeccabile; tuttavia, Hopkins lavora di sua iniziativa quando, analizzando a fondo la giovane Foster, colpendola nel segno conoscendo il vero trascorso dell’attrice, da vita ad una delle scene indelebili del film, dimostrando il suo immenso talento e dando un importante lezione alla Foster , che sentitamente ringrazia il “maestro” a cineprese spente.
Il cast è completato da ottimi elementi, come Ted Levine,  Anthony Heald e Scott Glenn, che sono un’ottima cornice per il duo principale.
La conta degli Oscar non è, però, finita. Il regista, Jonhatan Demme, è il migliore dell’anno: la narrazione curata nei minimi dettagli, i dialoghi brillanti, le atmosfere pesanti, i giochi di tensione, giustificano un Oscar veramente meritato. Anche la sua “spalla”, Ted Tally, porta a casa l’Oscar per la migliore sceneggiatura non originale, riadattando in maniera fluida e diretta il romanzo di Harris; come tutti i “riadattamenti”, ci sarebbe da ridire circa qualche particolare omesso ma , l’essenzialità della trama di Harris viene mantenuta ed il risultato è un premio meritato. Meritano assolutamente menzione Kristi Zea, alla scenografia, e Tak Fujimoto, alla fotografia. La prima da vita alle agghiaccianti atmosfere redatte da Harris, raggiungendo l’apice nella costruzione della gotica prigione di Lecter e nella realizzazione del labirinto sottostante la casa di Bill, in cui egli sevizia le sue vittime e affronta la Foster. Il secondo riesce ad immortalare splendidamente alcuni momenti della pellicola che rimangono impressi nella memoria e nel cuore dello spettatore.
L’ultimo premio spetta al prodotto finito, l’Oscar a miglior film, a testimonianza delle’elevazione della pellicola a capolavoro senza tempo.

VOTO 8/10.


Marco Fiorillo
                                                                                                                                                      
Pier Lorenzo Pisano

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