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mercoledì 30 marzo 2011

Sucker Punch


Sucker Punch (2011)
Emily Browning: Baby Doll.
Vanessa Hudgens: Blondie.
Jamie Chung: Amber.
Jena Malone: Rocket.
Abbie Cornish: Sweet Pea.
Carla Gugino: Miss. Gorski.
Jon Hamm: High Roller.
Scott Glenn: The Wiseman.
Oscar Isaac: Blue.
Gerard Plunkett: The Stepfather/ Padre O’Rourke.
Regia: Zack Snyder.
Soggetto: Zack Snyder.
Sceneggiatura: Zack Snyder, Steve Shibuya.
Fotografia: Larry Fong.
Montaggio: William Hoy.
Musiche: Tyler Bates, Marius De Vries.
Costumi: Michael Wilkinson.

Donne, sangue e rock’n roll: ecco la formula del successo della nuova pellicola di Zack Sneyder, che, per questo suo quinto film, unisce i concetti grafici cui ci ha abituato, ad un cast dalla spiccata sensualità e a un intricato intreccio psicologico, che lascia lo spettatore spaesato, quasi sperduto in questo “strano mondo”.
Alla morte della madre, la giovanissima Baby Doll (Emily Browning) deve tener testa ad un patrigno (Gerard Plunkett) malvagio e dalle strane perversioni, desideroso di appropriarsi dell’eredità che la donna ha lasciato alle due figlie, Baby Doll e sorella, appunto. Quando l’uomo attenta alla vita della minore delle figlie, cercando probabilmente anche di approfittare di lei, Baby Doll è costretta ad intervenire ma nella tensione del momento, uccide la sorella. Il patrigno scorge allora la possibilità di liberarsi anche della maggiore: conduce la figliastra presso un centro di igiene mentale per sottoporla, previo un losco pagamento, alla lobotomia. Prima del giorno fatale, la ragazza ha però cinque giorni di tempo. Durante questo breve periodo, Baby Doll conosce le altre pazienti dell’ospedale e trasporta se stessa e le altre in una schizofrenica realtà parallela, la cui origine rimane incerta. Il manicomio diventa, così, un bordello degli anni ’50, e le giovani donne delle sensualissime ballerine di alto borgo, invischiate in un mondo squallido di strofinamenti e sudori. Come in una matriosca, i confini della realtà del bordello diventano labili, per lasciare spazio ad un ulteriore piano d’azione, in cui le ragazze intraprenderanno un viaggio per la libertà, tra i più disparati scenari bellici. Condotte alla meta da un’insolita guida (Scott Glenn), le cinque ragazze, Rocket (Jena Malone), Sweet Pea (Abbie Cornish), Blondie (Vanessa Hudgens), Amber (Jamie Chung) capitanate da Baby, affronteranno terribili scontri e prove mozzafiato, solo per ritornare al punto di partenza, quella realtà da cui tanto si erano alienate.
Opera prima del maestro del genere Sneyder, lo “steampunk drama” è il primo soggetto del regista a non essere tratto da opere preesistenti. Tuttavia, sono quantomeno palesi contaminazioni grafiche così come concettuali. La pellicola unisce le caratteristiche d’immagine dei classici manga giapponesi (di chiara ispirazione, in tal senso, è l’aspetto di Baby Doll e compagne), alla ripartizione in “livelli” propria dei videogames: la scena sembra comporsi, infatti, di missioni, con un proprio “nemico specifico” ed un “premio finale”. L’azione, poi, pare prendere spunto, in modo anche abbastanza spudorato, da capolavori come l’onnipresente “Matrix” e “Kill Bill”, così come da cult fantasy come “Il Signore Degli Anelli”.
Per quanto riguarda le vicinanze concettuali, Sneyder prosegue il filone che mette al centro dell’attenzione il “sesso debole”; impossibile non cogliere l’ispirazione tratta da “Ragazze interrotte”, con Angelina Jolie e Winona Ryder: nella pellicola di James Mangold, al centro della scena è un gruppo di giovani donne rinchiuse in un manicomio, che, tra “immaginifici ripieghi mentali” e scherzi di vario genere, tenteranno la fuga dalla reclusione dell’ospedale. Ciò che unisce in modo particolare i due film, è la percezione “amplificata” della realtà, che fa da sfondo ad entrambe le vicende.
Sneyder, inoltre, cavalca la recente fortuna che il dramma psicologico sta vivendo, interpretando, anche se in modo opaco, l’attrazione che stabilisce sul pubblico.
Tirando le somme, il risultato è una chimera fatta delle maggiori tendenze degli ultimi dieci anni di cinema.
Nonostante la natura articolata del film, è possibile stabilire la presenza di due messaggi abbastanza chiari. Da una parte, la volontà di portare alla ribalta quel sesso debole, che di debole dimostra ben poco nella pellicola. Dopo il lavoro tutto al maschile di “300”, Sneyder si affida al Girl Power di Baby e delle altre ragazze, che dimostrano come l’action movie possa funzionare anche senza ondeggianti pettorali e ispide barbe. È pur vero che le ragazze non hanno avuto trattamenti di favore: prima dell’inizio delle riprese, il cast è stato sottoposto a dodici settimane, cinque giorni la settimana,di duro allenamento comprendente preparazione fisica, arti marziali, coreografie di combattimento e utilizzo delle spade; gli allenamenti sono stati diretti dalla “87eleven”, da trainers come Damon Caro e Logan Hood, che già avevano sottoposto ad estenuanti work-out Gerard Butler e gli altri “spartani”. La stessa Jamie Chung, all’arrivo alle palestre di Los Angeles, preoccupata afferma:”Oddio, ma dove mi sto cacciando?”
In secondo luogo, un’esigenza ineluttabile di libertà muove tutto il girato, partendo dalla sceneggiatura dell’avventura delle ragazze, alla “costruzione” delle ambientazioni tetre e lugubri del manicomio, prima, opprimenti e squallide del bordello, poi. Per raggiungere l’agognata libertà, le giovani protagoniste sono pronte a combattere contro giganteschi samurai, draghi sputa fuoco, hitleriani zombie che in verità esistono solo nella loro menti: sembra che la vera libertà non sia uno stato di fatto ma una condizione dello spirito che può raggiungersi anche tra gli antidepressivi di un manicomio o le danze burlesque di una casa chiusa.
Pezzo forte dell’opera, le scene d’azione dimostrano (se ce n’era ancora bisogno) la genialità e tutto lo stile di Snyder, ai cui concetti grafici siamo stati abituati dai suoi lavori precedenti, in particolare “300” e “Watchmen”. In quest’esperienza, il regista trova il supporto del co- sceneggiatore Steve Shibuya, la cui influenza è palpabile nella caratterizzazione dei combattimenti, spettacolari nella forma, assai particolari per protagonisti ed ambientazione. La firma dello statunitense marchia un progetto la cui “paternità” è assolutamente deducibile; tuttavia, in quest’occasione i duelli diventano un po’ troppo noioso e ripetitivi, a tratti anche confusionari. Inoltre, mentre nel racconto spartano e nella riproposizione del fumetto di Moore e Gibbons l’azione non toglie il posto a contenuti e dialoghi, “Sucker Punch” risulta più povero, sotto questo punto di visto: la narrazione, seppur originale e interessante, non riesce a ritagliarsi lo spazio che meriterebbe, oppressa da mitragliatori e sensuali danze (almeno nella versione originale: molte scene sono state infatti tagliate durante il montaggio finale, come vedremo tra poco). La diversa profondità è rintracciabile nella voce che accompagna prologo e epilogo, quasi distaccata dal resto del girato, assolutamente lontana dallo spessore delle parole messe in bocca all’orbo Delios (David Wenham), uno dei trecento “uomini liberi” di Leonida.
Per Sneyder, la vita è un grande spettacolo teatrale: le protagoniste abbandonano la proprio identità per salire sul palcoscenico e diventare sexy lolite piuttosto che sanguinarie combattenti. L’analogia, sapientemente rappresentata dal prologo, fa delle giovani donne delle eroine senza volto, capaci di saltare da un piano all’altro della “realtà”, pur di raggiungere il proprio scopo, abbandonare la vita al bordello, abbandonare il manicomio.
Confusionario nell’esplicazione della narrato, Snyder centra in pieno il suo obiettivo: “La cosa più folle che abbia mai scritto” così descrive il film il regista, che continua:”Un “Alice nel Paese delle Meraviglie” con le mitragliatrici”.
Nonostante gli 82 milioni destinati alla realizzazione della pellicola, sembra che gli incassi non siano quelli sperati dalla Warner Bros, che pure non si aspettava guadagni da record: l’impietoso botteghino americano colloca “Sucker Punch” al secondo posto, alla prima settimana di visione, con un incasso di 19 milioni, nettamente superato dalla commedie per ragazzi “Diary of a Wimpy Kid: Rodrick Rules”, a quota 24 milioni. L’abisso qualitativo tra i due non colma le tasche dei contribuenti, che si preparano al terzo flop economico del regista, dopo “Watchmen” e “Il Regno di Ga’Hoole”. E pensare che Snyder aveva preso in considerazione l’idea di riversare il film in versione 3D: a riprese cominciate, la possibilità era stata tenuta in conto da regista e casa di produzione, tuttavia dopo aver visionato la riproposizione in 3D realizzata da varie aziende, Snyder, poco convinto dal risultato, ha preferito mantenere il film nella versione originale, come annunciato da lui stesso al Comic-Con del 2010.
A produzione terminata il film ha subito pesanti tagli nel montaggio, causa censura, che hanno determinato l’eliminazione di 18 minuti di pellicola, tra ulteriori scene d’azione e alcune danze seducenti. Nel girato omesso, anche le canzoni “Love is the drug” di Roxy Music (che vede in duetto Carla Gugino e Oscar Isaac) e “White Rabbit” di Jefferson Airplane, che costituiscono le due tracce incluse nella colonna sonora cantate direttamente dal cast. Ricordiamo, infatti, che al di là degli estenuanti allenamenti fisici, la preparazione al film ha compreso anche lezioni di canto e di danza.
Uno dei pochi cenni positivi va, sicuramente, alla colonna sonora che “Nella storia, è la cosa che ti lancia all’interno di questi mondi fantastici”, come ammette lo stesso Sneyder. Effettivamente, la scelta della musica appare assolutamente azzeccata e funzionale al processo di immersione dello spettatore nelle atmosfere del film. Per la realizzazione della stessa, Tyler Bates e Marius De Vries, si sono serviti di tracce audio preesistenti, arrangiandole; a queste si sono aggiunte alcune interessanti partecipazioni del cast.
Una particolare curiosità, infine: la scena in cui tre delle protagoniste, Rocket, Sweet Pea e Baby Doll, si lanciano dall’alto per atterrare su di un castello in cui infuria una battaglia tra orchi e uomini, ricorda moltissimo una tavola realizzata da Alex Ross per “Marvels, l’Era degli Eroi” in cui un manipolo di supereroi si lancia all’attacco di una medievale fortezza nazista. Sembra proprio che Sneyder, non riesca a stare lontano dal mondo del fumetto, dopo la trasposizione cinematografica delle opere di Frank Miller e di Moore e Gibbons.
Purtroppo le crepe che presenta la pellicola non vengono colmate da un cast che non sembra all’altezza. Emily Browning, scelta secondaria di Sneyder che inizialmente si era rivolto a Amanda Seyfried (“grande” a dette del regista!) costretta però a declinare l’offerta causa impegni presi in precedenza, risulta monocorde, esile; si esalta solo nel prologo che, comunque, risulta il momento più riuscito del girato. Il resto del cast femminile proviene da ruoli di relativamente poca importanza: Vanessa Hudgens, reduce dal successo di “High School Musical”, non sembra adatta per il ruolo; Abbie Cornish, la “nuova Nicole Kidman”, vanta comparsate di successo; lo stesso vale per Jamie Chung; discorso a parte per Jena Malone, sia per vissuto che per la parte in “Sucker Punch”. Impalpabile il cattivo di turno interpretato da Oscar Isaac. Spiccano, invece, Carla Gugino, che pure aveva lavorato con Sneyder in “Watchmen”, e Scott Glenn, la cui figura di guida, saggia e fatta di frasi fatte, è forse troppo stereotipata in questo caso.
La grande famiglia Sneyder si riunisce ancora una volta per l’occasione. Al regista si uniscono la moglie Deborah e l’amico Wesley Coller: i tre hanno fondato nel 2004 la casa di produzione Cruel and Unusual Films, il cui logo è attualmente costituito da un’immagine proprio di Baby Doll; ad oggi, l’azienda si è occupata della produzione dei tre precedenti del regista, tranne che di “Il Regno di Ga’Hoole”. Si aggiungono, Larry Fong, responsabile della fotografia, che aveva collaborato con Sneyder già in “Watchmen” e “300”, lasciando sempre una chiarissima impronta sul girato, così come accade per “Sucker Punch”, e Tyler Bates, compositore della colonna sonora de “L’alba dei morti viventi” e “300”; a tal proposito, ricordiamo che la realizzazione delle musiche di quest’ultimo film è stata accompagnata da forti critiche per la somiglianza con le tracce di “Titus”(1999), le cui musiche sono state composte da Elliot Goldenthal.
Nel tentativo di replicare il successo delle opere precedenti, Sneyder dedica quasi dieci anni alla preparazione di questa sua quinta pellicola. Il tentativo di riempire fino all’orlo il contenitore, però, non giova al risultato, un film saturo per quel che riguarda i contenuti e pesante sul versante action. Una coraggiosissima scommessa per Sneyder, che non permette via di mezzo: è un film che verrà accolto a braccia aperte dai fan del genere e del regista ma che farà storcere il naso al resto del pubblico. Ai posteri, l’ardua sentenza.
VOTO 6/10

Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano

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