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giovedì 28 aprile 2011

Apocalypse Now

Ciclo "Per non dimenticare:" Le grandi collaborazioni




Apocalypse now (1979- Apocalypse now redux 2001)

Martin Sheen: Cap. Benjamin L. Willard.
Marlon Brando: Col. Walter E: Kurtz.
Robert Duvall: Ten. Col. William “Bill” Kilgore.
Dennis Hopper: fotoreporter.
Francis Ford Coppola: regista televisivo.
Vittorio Storaro: operatore tv.
Dean Tavoularis: fonico tv.
Harrison Ford: Coll. Lucas.
Scott Glenn: Cap. Richard M. Colby.
Albert Hall: George Philips.
Sam Bottons: Lance B. Johnson.
Tyrone Miller: Laurence Fishburne.
Frederic Forrest: Jay “Chef” Hicks.
Roman e Giò Coppola: comparse.

Regia: Francis Ford Coppola.
Soggetto: Joseph Conrad.
Sceneggiatura: F. F. Coppola- Michael Herr- John Milius.
Fotografia: Vittorio Storaro.
Musiche: Carmine Coppola- F. F. Coppola- Mickey Hart- The Doors.
Scenografia: Dean Tavoularis- Angelo Graham- George Nelson.

Mettete insieme uno dei registi più grandi del cinema americano, un cast ed uno staff d’eccezione, un capolavoro letterario  e lo scenario crudo del Vietnam sporco di sangue. Avrete un capolavoro senza tempo,un emozionante dramma umano prima che un racconto di guerra, capace di tracciare a chiare linee l’ennesima pagina buia della nostra storia.

“Si sta lasciando andare in attesa di una missione” il Cap. Williard (Martin Sheen). Di ritorno da Saigon, abbandonata la moglie, il soldato sia da all’alcol, incapace di vivere lontano dagli spari e dal napalm, bisognoso di sentirsi di nuovo se stesso su un campo di battaglia. Viene subito accontentato: a rapporto dal Col. Lucas (Harrison Ford), gli viene assegnata una difficile missione sotto copertura. Risalire il corso del fiume Nung, arrivando in Cambogia, dove il Col. Walter Kurtz (Marlon Brando), ex membro dei berretti verdi e aspirante generale, ha abbandonato la ragione divenendo un semi-dio tra la popolazione locale. Willard comincia, così, a bordo di un’imbarcazione della marina, una navigazione giammai tranquilla: incontrerà il Ten. Col. Kilgore (Robert Duvall), strano interprete del conflitto e amante del surf; verrà coinvolto in vari scontri a fuoco, in cui perderanno la vita alcuni membri della “ciurma”; banchetterà con dei soldati francesi, occupanti di una vecchia piantagione. Ma il confine cambogiano è ormai vicino, l’incontro con lo spietato Col. Kurtz inevitabile.

Il film è liberamente ispirato alla fortunatissima opera “Cuore di tenebra” di Joseph Conrad, edita nel 1902. Il libro tratta di un viaggio in Africa compiuto da un certo Marlow, narratore delle vicende, allo scopo di raggiungere la Compagnia, una società che si occupa del contrabbando di avorio; tra i membri di spicco della Compagnia, Kurtz, un uomo molto malato ed in preda alla follia, che, però, impone la propria venerata presenza grazie al suo aspetto imponente e, soprattutto, alla voce. Il romanzo segue due fili conduttori molto precisi: se da una parte imposta una forte critica al colonialismo (non solo americano, ma di tutto il Vecchio Continente), dall’altra si addentra in una profonda analisi sulla natura umana, sulla compresenza di bene e male. Conrad da prova della volontà di onnipotenza dell’uomo occidentale: l’essere moderno si trasforma in un mostro quando nessuna regola, nessuna convenzione impedisce la sua libertà. Come vedremo, Coppola rimarrà fedele al romanzo per le tematiche, con una fondamentale differenza: il Kurtz di Conrad decide di ritornare in patria ma muore di morte naturale durante il viaggio, pronunciando le famose parole “Orrore! Orrore!”: che si sia reso conto degli orrori compiuti e sia in cerca di redenzione?
Per quanto riguarda la pellicola, l’idea originale è di John Milius che, nel 1969, comincia a scrivere una sceneggiatura riguardante un gruppo di soldati che risalgono un fiume in Vietnam. Viene a sapere del progetto George Lucas, che suggerisce l’idea di raccontare di soldati appassionati di surf. Nello stesso periodo, Carroll Ballard, amico di Milius, Lucas e dello stesso Coppola, ipotizza la realizzazione di un film tratto da “Cuore di tenebra”.
Milius decide, allora, di accorpare i progetti, ma nel 1975 sia lui che Lucas si dedicano ad altri lavori. L’idea, rimasta orfana, trova il vero padre in Coppola che riprende la sceneggiatura con Michael Herr, ex corrispondente dal Vietnam ed autore di “Dispacci”, definito “Il più bel libro sul Vietnam”.
Nonostante l’impegno iniziale, Coppola comincia le riprese senza una sceneggiatura definitiva: completava e rifiniva la storia con l’avanzare della realizzazione.
Ad una prima versione, del 1979, segue un “restauro” della pellicola, presentato fuori concorso al Festival del Cinema di Cannes, in cui vengono aggiunti 53 min. e viene proposto un nuovo montaggio, arricchito da scene scartate inizialmente e da un finale leggermente diverso; nella versione italiana, viene riproposto anche il doppiaggio, che impreziosisce un’opera che non sembra mancante in nessun frangente.

Coppola unisce l’azione di guerra all’analisi psicologica con estrema maestria. L’esaltazione in chiave antimilitarista del belligerante mito americano (che non resterà impunita da parte del governo), si innesta perfettamente in quel clima di dissenso che accompagnava la campagna in Vietnam, dagli esiti sempre più disastrosi. La guerra alberga nel cuore del protagonista come in quello del suo antagonista, che incarna l’immedesimazione totale dell’uomo nel soldato, dell’animale nella sua tana: “Magari è in una fabbrica dell’Hoio che voi riuscireste a trovare voi stessi”afferma Willard/Sheen riferendosi ai compagni di viaggio, ma non lui che ha costruito la sua casa con fucili e munizioni. Ma purtroppo chi vive di guerra, se la porta anche dentro: la luce e le ombre combattono duramente li dove “le cose si confondono, il potere, gli ideali”. “Non è detto che vinca sempre il bene”, viene recitato nella pellicola ed è forse questa la vera essenza del girato che trova la sua affermazione quando, al momento dell’uccisione di Kurtz, Willard viene acclamato come il nuovo “Dio”: il male è sostituito da un nuovo male, come se trasformazione e disfatta si potessero inseguire per sempre.
In un viaggio che rappresenta quel percorso verso la scoperta della vera natura, costellato di esperienze che già ne mettono in luce le pieghe, l’uso degli strumenti narrativi risulta perfetto: una fotografia poetica, i dialoghi, le musiche, le scenografie rendono vivo il dramma, facendocene partecipi non solo come spettatori.

Molteplici le curiosità per i cinefili più voraci.
Il nome “Benjamin Willard” deriva dai nomi dei figli maggiori di Harrison Ford mentre il “Col. Lucas” è un omaggio al grande regista George Lucas, che pure ha messo lo zampino nel film.
Le riprese si svolgono nelle Filippine, sul fiume Pasanjan, nonostante le opposizioni iniziali del governo di Ferdinand Marcos. Le riprese andarono avanti con estreme difficoltà. Nel 1976, un tifone distrusse la maggior parte dei set che si dovettero ricostruire da capo: questo perché Coppola voleva girare nella stagione delle piogge. Il ritmo lento con cui proseguivano le riprese, i dubbi della produzione, l’opposizione del governo americano, portarono allo stress l’intero entourage, che cominciò a fare uso di droghe: in particolare Martin Sheen fu colpito da infarto e si dovette usare una controfigura inquadrata di spalle durante la convalescenza, mentre Coppola entrò in un grave stato di depressione, perse 30 chili, tentò il suicidio e divorziò dalla moglie Eleanor.
Dopo un anno e mezzo di riprese ed una spesa di 30 milioni di dollari (di cui 1 solo di compenso a Marlon Brando), la Zoetrope, la casa di produzione del regista, dopo aver sfiorato il fallimento durante la realizzazione della pellicola, incassò 150 milioni, 78 sono in USA.
In una delle scene che ritrae l’arrivo di Willard al campo di Kurtz, su un muro appare la scritta “Our Ghetto: Apocalypse now”: il titolo del film compare solo in quest’occasione per proteggerne il copyright.
Coppola compie, a quanto pare, un solo errore nella rivisitazione bellica: i fucili M16 impiegati dai suoi soldati hanno caricatori da 30 colpi mentre quelli usati in Vietnam erano dotati di caricatori da 20 colpi: gli appassionati di storia sapranno che il caricatore da 20 colpi fu additato come una delle cause della sconfitta americana.
L’assassinio di Kurtz può essere valutato come un omaggio al film “Sciopero!”, del 1925, di Sergej MIchajlovic: in entrambe le pellicole la morte viene paragonata alla macellazione di un toro.
Nelle scene iniziale del film, Coppola fece realmente ubriacare Martin Sheen e la scena della rottura del vetro venne “improvvisata” dall’alterato attore. Sul proseguo della vicenda ci sono versioni discordanti: se Coppola abbia deciso di far continuare le riprese anche se preoccupato per la salute dell’attore o se Sheen abbia fermato il regista, che voleva chiamare un medico, non ci è dato sapere.
In ultimo, dobbiamo ricordare che, nella versione italiana del 1979, durante i titoli di cosa compariva l’aviazione americana intenta a bombardare il villaggio di Kurtz. Coppola non aveva mai pensato a questa scena: gli aerei erano, in verità, intenti nella distruzione dei set, come stabilito dalle direttive del governo delle Filippine. Alla fine del girato, Coppola decise di usare le riprese per la versione in 35mm.

C’è bisogno veramente di parlare di “grande collaborazione”, se si tratta di “Apocalypse now”. Un Martin Sheen intenso ed introspettivo scalza attori del calibro di H. Keitel (che pure prende parte alla prima settimana di riprese, ma viene poi sostituito da Coppola) ed Al Pacino, aggiudicandosi il ruolo che gli vale la definitiva consacrazione. Dopo l’iniziale scelta di Jack Nicholson, per il ruolo di Kurtz viene preferito Marlon Brando, il quale, abbandonate le ritrosie iniziali, decide di accettare a patto che le riprese vengano effettuate sempre nella penombra, per evitare che si noti il decisivo aumento di peso: purtroppo l’attore, al momento delle riprese, era già afflitto dall’obesità che, accompagnata a gravi perdite familiari, lo condurrà in un periodo particolarmente buio. Al fianco dei due protagonisti/antagonisti attori affermati e giovani promesse: Robert Duvall, nel ruolo del fanatico Ten. Billy Kilgore, Dennis Hopper, strambo fotoreporter suddito del Dio-Kurtz, un giovanissimo Laurence Fishburne ancora lontano dal successo di “Matrix”, e ancora i camei di Harrison Ford e Scott Glenn.
Il novero delle “grandi collaborazioni” continua quando ci si sposta dietro le macchine da presa. La vivida fotografia dell’italiano “cinematografo” Vittorio Storaro, vincitore dell’Oscar proprio con “Apocalypse now”, partecipa all’eternità del film, così come le scenografia di Dean Tavoularis e le musiche.
Il motore dell’opera è costituito dalla famiglia Coppola quasi al completo: Carmine, il capofamiglia padre di Francis, si occupa del sonoro aggiudicandosi un Oscar meritatissimo; alla regia, il figlio, che infonde tutto il suo genio alla pellicola, sacrificandone in salute ed affetto. Fanno la loro comparsa sullo schermo, anche Roman e Giancarlo, i giovanissimi figli di Francis. Ricordiamo che alla famiglia Coppola appartengono anche Talia Shire, sorella di Francis, al secolo Adriana Pennino moglie del pugile più famoso del grande schermo Rocky Balboa, Sofia Coppola, figlia di Francis, che ha seguito le orme del padre alla regia, e Nicholas Kim Coppola (meglio conosciuto con lo pseudonimo di Nicolas cage), figlio di August Coppola secondogenito di Carmine.
Oltre che lavorare per gli attori, Coppola figlio, Storaro e Tavoularis si regalano un breve cammeo: interpretano nel film il regista, l’operatore ed il fonico addetti alle registrazioni delle scene di guerra come corrispondenti.
Oltre i due Oscar, il film vince la Palma D’oro , nonostante sia ancora un work in progress, in ex aequo con “Il tamburo di latta” di Volker Schlondorff. Si aggiudica anche tre Golden Globe, e gli viene soffiato via il terzo Oscar a miglior film dal pluripremiato “Kramer vs Kramer”, risentendo anche della recente realizzazione di un’altra fortunatissima pellicola incentrata sulla guerra in Vietnam, il “Cacciatore”. Inoltre, l’American Film Institute lo inserisce prima al 28° posto, nel 1998, e poi al 30°, nel 2008, nella lista dei cento migliori film statunitensi di tutti i tempi.
I sacrifici cui si sottopone lo staff tutto non sono assolutamente vani: siamo al cospetto di un vero capolavoro senza tempo, di quelli che non si vedono più.

VOTO 9/10

                                                                                                                                                            Marco Fiorillo

 Pier Lorenzo Pisano

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