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giovedì 28 aprile 2011

Speciale Cineteca: Sidney Lumet






Quinto Potere (1976)

Peter Finch: Howard Beale
Faye Dunaway: Diana Christensen
William Holden: Max Schumacher
Robert Duvall: Frank Hackett
Wesley Addy: Nelson Chaney
Ned Beatty: Arthur Jensen
Beatrice Straight: Louise Schumacher
Jordan Charney: Harry Hunter
Lane Smith: Robert McDonough
Cindy Grover: Caroline Schumacher
Marlene Warfield: Laureen Hobbs
Carolyn Krigbaum: Segretaria di Max
Lee Richardson: Voce narrante


Capolavoro del 1976 di Sidney Lumet, vincitore di un numero spropositato di premi internazionali, “Network” narra della storia di Howard Beale (Peter Finch), presentatore televisivo prossimo al licenziamento, che annuncia in diretta il suo suicidio: questo è il punto di partenza per un’intensa ed allegorica analisi del mezzo televisivo, dei media, del futuro dei mezzi di comunicazione e del loro impatto sulle persone.

L’immaginaria storia della rete televisiva tratteggiata nel film si intreccia con la storia di Howard, mettendo in mostra un sistema totalmente fuori controllo ed in continua evoluzione, una sorta di caos primordiale sanguinario ed alienante dove conta solo la notizia in se, svincolata da qualunque legame con la realtà ed offerta in sacrificio per una divinità terribile e volubile: l’audience. L’informazione non esiste, è solo un’azienda.

Howard nella sua vicenda diventerà un canalizzatore, un personaggio messianico, “un Savonarola dei nostri tempi”, denunciando le ipocrisie della società e dando corpo alla rabbia ed alla frustrazione della gente, criticando il sistema dall’interno.  Ma la Televisione è una macchina spietata e fuori controllo, governata dai media: sono una massa imperscrutabile e caotica dalla quale viene tutto il bene e tutto il male. Tutti si inginocchiano davanti al potere della Televisione, (come gli Ecumenici, spettacolarizzati), perché il potere della diffusione dei contenuti è enorme ed inarrestabile.

Diana Christensen (Faye Dunaway), responsabile dei programmi, è una cinica innovatrice e rappresenta alla perfezione il suo tempo: giudica con entusiasmo il video di una rapina in base al suo possibile valore televisivo e monetizzabile, tralasciando il piano umano. Ha già compreso l’essenza del Network e la piega che sta prendendo e cavalca l’onda con agilità e intuito. Mascolina, col complesso del padre (come ammette lei stessa), ossessionata dal lavoro che coincide con la sua vita e con se stessa: lei è la Televisione incarnata. Da un lato Howard è il profeta delle cause perse e rappresenta un’ipocrisia nell’ipocrisia perché le sue pretese di denuncia sono soltanto sfruttate dal Network per l’audience che ottengono; è una scheggia impazzita ma impotente, ed è in fretta riassorbito all’interno del sistema. La sua vicenda, soprattutto il drammatico finale, rappresenta la consegna del libero arbitrio da parte degli uomini a qualcosa a loro superiore, ad un Dio che essi stessi hanno creato ma che ha alla fine acquistato una autocoscienza.  Dall’alto, Diana vive per la Televisione e la Televisione vive in lei. È la prima Santa della chiesa nascente della comunicazione di massa, è lei la vera profetessa.

Opposto a lei, Max Schumacher (William Holden), superiore di Howard, cacciato dalla chiesa del Network per effetto della scalata al successo di Diana, intesserà con lei stessa una relazione, ma una relazione amorosa dei tempi della Televisione: il loro rapporto è scandito dai cambiamenti della programmazione televisiva e da aggiornamenti sulle nuove trasmissioni, riferiti con voce languida. Diana si esprime solo in termini televisivi, e cosi cerca di stereotipare il loro rapporto entro canoni televisivi. Max conosce il mondo televisivo, ma conosce anche la vita reale, abbastanza da capire che Diana ha stabilito per lui un ruolo ben definito nel suo copione, dal quale vuole sottrarsi.

Frank Hackett (Robert Duvall), rappresentante della UBS, società che ha acquisito il controllo del Network, è un uomo d’affari estremamente pratico. È uno sciacallo, un lupo nel mondo medievale della Televisione, dove tutti si fanno le scarpe a vicenda. Non è addentro nei processi televisivi come Diana, ma ha un grande privilegio: ha un canale diretto con Dio in persona, Arthur Jensen (Ned Beatty), il Presidente della Rete. Un Dio distante, che dà poche indicazioni ai suoi Santi, se non una generica indicazione di mantenere alti gli ascolti, simile ad un “crescete e moltiplicatevi”.

Sono presenti scene molto forti, ad esempio lo slogan urlato alle finestre: ” Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più!”. Il profeta Howard lancia il suo messaggio al mondo e l’urlo delle masse obbedienti al suo comando rappresenta la loro disfatta totale. Un apparente grido di libertà, confuso col rumore dei tuoni e dal sapore apocalittico, è la resa dei media al Network: anche la loro rabbia è inscatolata, assorbita nel sistema e spettacolarizzata e ne diventa parte integrante, niente più che uno slogan ripetuto dal pubblico in sala prima dello show televisivo del profeta. La scintilla divina di indipendenza del profeta Howard è massificata: diventa “il pazzo profeta dell’etere”, le sue parole sulla Televisione, “La forza più grande di questo mondo senza Dio”, passano inosservate come le notizie delle morti giornaliere. “La Televisione non è la verità, è un circo” urla Beale, un circo di cui lui stesso ed il suo messaggio fanno parte, e che prospera anche grazie a lui: il pazzo profeta dell’etere è servito come innocuo programma sovversivo della sera; tutto è sotto controllo compreso il suo svenimento “post-sermone”, che strappa sempre un applauso al pubblico quando il profeta cade a terra come un fantoccio. Ed è questo ciò che è, un fantoccio. La Televisione diventa più reale della realtà, ma la Televisione è la realtà impazzita, è una follia di massa.

Un’altra scena è l’incontro tra Howard Bale ed Arthur Jensen, che si svolge nel “paradiso degli eroi”. I due sono opposti, l’uno seduto e l’altro in piedi in penombra. A Beale è fatto dono della visione totale delle cose. Jensen gli rivela il profondo sistema alla base del loro mondo, le vere “forze primordiali” del flusso e del riflusso, delle multinazionali, dei petrodollari, e li oppone alla visione limitata di Beale, ancorata sulle vecchie ideologie nazionali. Jensen fa leva sull’instabilità mentale di Beale e lo plagia riportandolo all’ordine.

Il profeta tuttavia arriverà a rappresentare una contraddizione interna nel sistema, perché rivelare il senso profondamente cinico della vita e la disumanizzazione del mondo moderno, fa calare gli ascolti. Il sistema comincia a fagocitare se stesso: Beale con i suoi messaggi diviene sgradito alle schiere dei Santi, ma non può essere scacciato, non perché protetto dall’aura divina degli ascolti, (e quindi in linea col diktat di Jensen), ma perché Jensen stesso vuole che il suo profeta continui a riferire il suo messaggio.

Contro il volere del Dio Jensen, intrattabile ed adamantino sulla questione Beale, la vicenda si concluderà drammaticamente e a tratti ironicamente, in una composizione ad anello con un finale annunciato (in tutti i sensi) ma disarmante.

Sidney Lumet ritorna su tematiche che aveva precedentemente introdotte, basti pensare a “Quel pomeriggio di un giorno da cani”, dove egli dimostra di aver già intuito le potenzialità della televisione. Il film è in realtà una sorta di storia su un mezzo che sta cambiando il mondo e sul mondo stesso, un’autoanalisi proposta ai media. Howard Beale, offerto sull’altare del nuovo Dio Televisione, è il primo. Ma è sottointeso un angosciante messaggio: non sarà l’ultimo. I titoli di coda con la musica dello show fanno sembrare il tutto un terribile documentario.
È interessante guadare un film del genere, con le sue visioni apocalittiche, e pensare a quanto stiano prendendo forma nel nostro mondo, in soluzioni anche peggiori e più totalizzanti, basti pensare a Facebook, il “Social” Network.

La società dove tutti gli uomini sono solo numeri da indagini di mercato e quindi ugualmente rimpiazzabili, profetizzata da Beale, non è più una distopia lontana, è il nostro mondo, qui e adesso.

VOTO 8/10

Pier Lorenzo Pisano
Marco Fiorillo

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