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sabato 2 aprile 2011

A beautiful mind

Ciclo "Per non dimenticare" Compleanni di celluloide: Ron Howard







A beautiful mind (2001)

Russel Crowe: John  Nash.
Jennifer Connelly: Alicia Lerde/Nash.
Ed Harris: William Parcher.
Paul Bettany: Charles Hermann.
Vivien Cardone: Marcee Hermann.
Adam Goldberg: Richard Sol.
Anthony Rapp: Bender.
Josh Lucas: Martin Hansen.
Christopher Plummer: Dott. Rosen.
Regia: Ron Howard.
Soggetto: Sylvia Nasar.
Sceneggiatura: Akiva Goldsman.
Produzione: Brian Grazer, Ron Howard.
Fotografia: Roger Deakins.
Scenografia: Leslie Rollins.
Musiche: James Horner.


Indagare la mente umana è sempre un’esperienza sconvolgente ed illuminante ad un tempo. Perdersi nei suoi recessi può cambiarci per sempre. Se poi la mente è quella di un genio della matematica come John Forbes Nash Jr., ritrovare la strada del ritorno può risultare impossibile. Perciò accomodiamoci e lasciamo che Ron Howard e co. ci guidino in questo affascinante e drammatico viaggio.



Il misterioso genio del West Virgina, John Nash (Russel Crowe) approda a Princeton nel 1947, grazie ad una borsa di studio. Carico di aspirazione e ambizione, comincia a lavorare all’”idea innovativa” che può valergli il successo agognato. Così facendo si allontana dal mondo che lo circonda, acuendo le sue già manifeste difficoltà ad interagire con le persone: ha solo due amici fedeli, il “prodigo compagno di stanza” Charles (Paul Bettany) e la matematica. La sua genialità si manifesta quando, con un’intuizione rapida e decisa, si rende conto di poter stravolgere anni di studi economici, modificando le incomplete teorie di Adam Smith: con una tesi di sole 27 pagine, si aprono davanti al giovane Nash le migliori opportunità di affermazione su quella  “torre d’avorio” che è il mondo matematico, oltre che rosei scenari lavorativi. La sua impareggiabile abilità nel codificare messaggi diviene oggetto di interesse anche da parte dell’esercito, che lo assolda, in piena Guerra Fredda, per collaborare ad alcuni progetti governativi. Intanto, compie la scoperta più importare della sua vita: l’amore. Sposa una giovane studentessa, Alicia Lerde (Jennifer Connelly), che rimarrà al suo fianco anche nei momenti più bui della sua vita.

Dopo il successo dei primi incarichi militari, viene avvicinato dall’”eminenza grigia”, William Parcher (Ed Harris), per sventare una missione segreta sovietica, votata allo sterminio in suolo statunitense. 

Il genio che tanto gli aveva dato, però, stava per rivoltarsi contro di lui, gettandolo in un’esistenza drammatica ed infernale. Riuscirà a sopravvivere solo grazie ad Alicia, amorevole e costante  presenza, e alla sua tenace volontà di risolutore di problemi. Ritornerà, così, al mondo accademico di Princeton, dove verrà raggiunto da un funzionario svedese che lo informerà della sua candidatura al Premio Nobel. I Nash avevano vinto.




Il film romanza la vita del matematico ed economista John Forbes Nash Jr., traendo spunto dalla meticolosa biografia redatta da Sylvia Nasar , trasposta da un entourage veramente unico, sia davanti che dietro le cineprese.

John Nash nasce il 13 giugno 1928 da una famiglia medio borghese, in una piccola città della Virginia occidentale. Gli anni della giovinezza non sono felici, causa proprio la sua tendenza all’isolamento e alla sua limitatissima socialità; si sente più a suo agio tra i libri, in particolare quelli di chimica, materia cui è avvicinato dal padre. Il geniale talento gli vale la rivincita durante la frequentazione del liceo, periodo nel quale si rende conto che la sua vera vocazione è la matematica: in particolare, si dimostra un elegante ed originale risolutore di problemi complessi. Dopo il bruciante insuccesso alla Putnam Mathematical  Competition, la strada verso il successo è in discesa: da Princeton, all’MTI fino al Wheeler. Conosce intellettuali del calibro di Einstein e Von Neumann, la sua “Teoria dei Giochi” diviene il fondamento internazionale delle trattazioni economiche. 

Tuttavia, la sua vita viene profondamente sconvolta dalla schizofrenia, di cui sarà affetto dagli anni di Princeton. La malattia lo terrà lontano dalla matematica, lontano dal mondo reale, per quasi trent’anni; ricoveri, medicinali distruttivi e invadenti terapie di elettroshock insulinico non porteranno alla guarigione: il Professore non potrà fare altro che imparare a convivere con il disturbo. Alternando acuti deliri a periodi di lucidità, Nash riuscirà a sopravvivere supportato dalla moglie, Alicia, cui dedicherà, nel 1994, il Premio Nobel per l’Economia.




Delicato come una poesia ma, allo stesso tempo, forte ed incisivo, “A beautiful mind” si pone in maniera del tutto nuova al problema delle malattie mentali. Il trend seguito per il film prevedeva, fin dall’inizio delle riprese, un’attenzione decisa all’impatto che un disturbo come la schizofrenia può avere sulla vita e sulla psiche di un uomo, come può cambiarlo, allontanandolo lentamente dalla realtà, gettandolo in un’esistenza disperata. “Vivere una realtà alternativa, senza però accorgersene fino ad un determinato momento”: in queste parole del produttore Grazer, si può ritrovare la vera essenza del film, interpretata in maniera superba dallo sceneggiatore Akiva Goldsman, che a sua volta: “John non ricorda molto di quando era devastato dalla malattia. Questo mi ha dato un’opportunità interessante. In questa vita esteriore così dettagliata, ho potuto costruire la vita interiore, offrendo al pubblico uno squarcio di cosa potesse significare soffrire di questa malattia”. Il regista, Ron Howard, ha le idee molto chiare rispetto alla trasposizione della malattia sullo schermo: lungi dal girare un’analisi clinica sulla situazione del paziente, confeziona un dramma umano, permettendo allo spettatore di interiorizzare le dinamiche del disturbo e di calarsi nei panni nel goffo professore. Quella che viene riprodotta sulla pellicola, è una storia di umanità e rispetto: non a caso, Howard e Grazer sono insigniti, nel 2002, del Premio per la Sensibilizzazione.

Protagonista del girato è, anche, l’intensa storia d’amore tra Nash e la studentessa Alicia Lerde. Si tratta di un affetto fiabesco che unisce i due protagonisti indissolubilmente, li tiene a galla quando tutto spinge alla loro separazione. Ma più della storia d’amore, viene esaltata la figura di Alicia, incrollabile  e fedele, che trova il coraggio di non abbandonare quell’uomo che già da tempo l’aveva, a suo modo, abbandonata. Nonostante la disperazione, il senso di ineluttabilità, trova la forza di credere che “qualcosa di straordinario sia possibile”.  La donna, interpretata da una Jennifer Connelly matura ed intensa, ricalca quasi perfettamente la “vera” Alicia Nash. È giusto dire, in quest’occasione, dietro un grande uomo, c’è sempre una grande donna.

Da parte sua, il Professor Nash, nonostante gli effetti del disturbo, non perderà mai quell’orgoglio, quella tenacia d’animo che da sempre lo hanno contraddistinto. Combatte la malattia come se fosse un altro problema da risolvere, vuole arrivare alla soluzione solo con le proprio forze, come ha sempre fatto. Si ritira per lungo tempo a vita privata, vergognandosi di mostrarsi al mondo dopo quello che gli è accaduto: sarà quello stesso mondo a riaccoglierlo a braccia aperte, riconoscendo in lui un genio brillante ed un grande uomo.




Howard capisce di aver realizzato un vero capolavoro, alla prima visione della pellicola in compagnia dei coniugi Nash. John, leggermente annoiato per la prima metà della pellicola, alla scena dell’ elettroshock insulinico, girandosi in lacrime verso il regista, gli porge i suoi ringraziamenti, ammettendo di non aver mai ricordato quel momento della sua vita. 

Nonostante la volontà dell’entourage tutto di trattare in maniera interiore il momento della malattia, comunque ne hanno dovuto stabilire i sintomi da riportare sullo schermo. La scelta è caduta su alcune allucinazioni; dobbiamo, però, ricordare che i deliri più ricorrenti di Nash riguardano criptici messaggi inviategli dagli extraterrestri, la convinzione di essere il Governatore dell’Antartide, il piede sinistro di Dio e, infine, il Capo di una sorta di governo universale. La trasposizione meno pesante delle manifestazione del disturbo, testimoniano una scelta registica eccellente e riuscita, che permette realmente di capire gli effetti devastanti della schizofrenia, riuscendo anche di sensibilizzare il pubblico, oltre che di emozionarlo fin quasi alle lacrime.

Una curiosità, infine: un ruolo molto importante, nella realizzazione della pellicola, l’hanno Greg Cannom e Kevin Mack. Il primo, artista del trucco (già collaboratore di Howard per “Cocoon”), approfittando anche della costante presenza del “vero” Nash sui set, trasforma Crowe nel Professore, con ben nove fasi di trucco e abilissime tecniche di invecchiamento. Il secondo, tecnico degli effetti speciali, ultima la pellicola anche dal punto di vista grafico, nonostante pare che non siano presenti interventi digitali; in particolare, provengono da Mack, le idee che hanno permesso la realizzazione grafica dell’universo costituito dalla mente di Nash, interpretandone sullo schermo le intuizioni e i complicatissimi ragionamenti matematici. 




Contraddistinto da uno straordinario talento di caratterista, Russel Crowe, magnifico nella pellicola, da prova di una dimensione interiore e di un approccio al personaggio spettacolari; dalla recitazione piena e mai banale, indossa perfettamente i panni del Professor Nash, interpretando il brillante genio e il disturbato schizofrenico con medesima maestria. Purtroppo, la prestazione non gli vale l’Oscar, pronosticato dai più, che finisce però a Denzel Washington per “Training Day”. Intensa e sicura, Jennifer Connelly si cimenta in una prova difficile, superata a pieni voti: collima la grande umanità ad una grande alchimia con Crowe, ottenendo un giustissimo riconoscimento, l’Oscar a miglior attrice non protagonista. La coppia fa distogliere lo sguardo dal resto del cast, assolutamente all’altezza. Il duo Paul Bettany (unitosi in matrimonio alcuni anni dopo la pellicola proprio alla Connelly) Ed Harris, forniscono un ottimo apporto al Nash di Crowe; dopo la pellicola verrà notata anche la giovanissima Vivien Cardone, arrivata successivamente al successo, recitando nella serie “Everwood”, ottenendo la nomina, per quattro anni di seguito, a Miglior Giovane Attrice in una serie tv al “Young Artist Awards”; Christopher Plummer e Josh Lucas completano un cast davvero superlativo. 

La realizzazione della pellicola è diretta da un Ron Howard in grandissima forma (che si regala anche l’ultimo cameo della carriera), supportato da colleghi d’eccezione. Brian Grazer, produttore atipico, partecipa al processo creativo in maniera attiva, stabilendo un perfetto sodalizio con Howard: non arriva inaspettato l’Oscar a Miglior Film, che porta la firma di un’amicizia oltre che di una collaborazione lavorativa. L’Oscar arriva anche per Akiva Goldsman e la sua sceneggiatura non originale; da subito affascinato dal progetto, si propone con decisione ad Howard che non può far altro che affidargli la “parte”: la profondità conferita alla narrazione, il modo di rapportarsi alla malattia, le scelte stilistiche, stabiliscono la riuscita della scelta del regista. Un cenno va, anche, a Karen Kehela, co-presidente della Imagine Pictures, spalla perfetta di Akiva; sarà proprio lei, tra le altre cose, a costruire, con una brillante intuizione, la scena in cui Nash si rende della “verità” su Marcee. La pellicola è, infine, accompagnata da una colonna sonora meravigliosa, firmata James Horner; avvicinato al progetto da Howard, ne rimane subito entusiasta: il risultato è un accompagnamento musicale che da una forza ed un impatto ancora maggiore al girato.

Un capolavoro che rimane nella memoria, indelebile, ed è capace di emozionare come pochi.



VOTO 8/10





                                                                                                                                                 
Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano     




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