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martedì 19 aprile 2011

Poetry

Poetry (2011)

Regia: Lee Changdong
Sceneggiatura: Lee Changdong











“Poetry” è uscito nelle sale italiane l’1 aprile, ha vinto all’Asian Film Awards di Hong Kong (gli Oscar orientali) il premio per la Miglior Regia e il premio per la Miglior Sceneggiatura, sceneggiatura premiata anche a Cannes.
Il film, nel quale troviamo reminiscenze del passato da scrittore del regista, è una favola colorata ma amara, ambientata in un mondo duro e fin troppo reale, dove l’unico rifugio è rappresentato dalla bellezza alienante e poetica dei fiori.

L’acqua è simbolo di morte in Lee Changdong (basti pensare a “Peppermint Candy”), ed anche in questo caso entra prepotentemente nella narrazione fin dall’incipit, quando è un fiume a trascinare il cadavere di una ragazzina. La protagonista Yang Mija, una nonna giovane e piena di interessi, lavora come domestica presso un vecchio malato ed ha sempre il sorriso sulla fronte, anche quando le è diagnosticato un probabile inizio di Alzheimer. Vive insieme al nipote, un adolescente chiuso in se stesso, col quale ha grandi difficoltà di comunicazione,  e si tiene in contatto telefonico con la figlia, che si è trasferita dopo aver divorziato. Un giorno si iscrive ad un corso di poesia e da allora comincia a cercare di “vedere” davvero dentro e fuori di se stessa, portandosi sempre dietro un taccuino dove annota pensieri poetici. Improvvisamente la sua vita è sconvolta dalla notizia che suo nipote, insieme ad altri, ha violentato una ragazzina per mesi fino a  spingerla al suicidio mostrato all’inizio della pellicola.

Yang Mija ha un rapporto contrastato con l’esterno: la sua ingenuità fanciullesca la rende affascinata dalla bellezza dei fiori e della natura, ma anche incapace di rapportarsi con le persone; proprio come una bambina le sue osservazioni infarcite di sorrisi cadono nel vuoto; quando si tratta di proteggere il futuro di suo nipote ed evitargli il processo, mentre tutti i genitori si organizzano concretamente, lei fugge nel suo mondo, dove ci sono i fiori a fare da scudo.
Ogni volta che la sua mente si sofferma sulla ragazzina morta, il suo sorriso scompare. Supererà lo choc solo quando concretizzerà le sue sensazioni nella foto della ragazzina, trovata e trafugata in casa della madre, che conserverà con cura, sentendosi in debito per la giovane vita ed accollandosi una colpa cosi grande che il nipote non riesce e non vuole nemmeno concepire.
Lentamente i suoi rapporti con le persone si fanno più evanescenti, spesso mediati dall’elemento del telefono, che ad esempio le permette di mantenere l’illusione di un rapporto con la figlia che in realtà non esiste più (e lei ne ha acquisito consapevolezza quando non è stata in grado di dirle cosa ha fatto il nipote). La drammaticità della sua situazione si esplicita nel suo ricordo più felice, che si rivela essere la voce della sorella che chiamava il suo nome: un rapporto umano, cioè quello che le manca di piu. Il legame col mondo esterno si fa sempre più labile, mentre in compenso la donna acquisisce una crescente sensibilità poetica che la mette in contatto con la natura e che si riflette sulle sue osservazioni e annotazioni sempre più filosofiche. Alla fine le rimarrà solo la poesia, ovvero  la sua interiorità, ma forse non è nemmeno questa la soluzione, perché i fiori sono belli, ma possono anche essere finti.
Il film tocca l’apice della sua poesia quando Yang Mija in riva al fiume prende il taccuino per scrivere le sue impressioni, ma è la pioggia a riempirlo, non le sue parole: la natura la sopraffà con la sua bellezza, ed inonda la sua interiorità, facendola sentire vuota dentro. Ed infatti cederà alla grottesca proposta di sesso del vecchio malato.
L’incontro di Yang Mija con la madre della ragazzina ci da uno spaccato della vita in Corea, della bellezza terribile delle campagne, apparentemente incantevoli, nascondono una realtà di sangue, sudore e stenti. La premiata sceneggiatura costruisce alla perfezione l’evoluzione del personaggio di Yang Mija, e seppure il film risulti in certi punti lento, ciò è necessario ai fini della narrazione e dello stile della pellicola stessa. Interessante la carrellata di brevi metastorie delle persone del corso di poesia, che ammicca a “Nuovo cinema paradiso”, film ammirato dal regista. Il finale aperto leggermente schockante ed altamente interpretabile rimarrà sicuramente impresso nello spettatore.

Voto:7

Pier Lorenzo Pisano
Marco Fiorillo

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