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domenica 22 maggio 2011

Rosencrantz e Guildenstern sono morti

Ciclo "Per non dimenticare": Coppie in costume

Rosencrantz e Guildenstern sono morti (1990)

Gary Oldman: Rosencrantz
Tim Roth: Guildenstern
Richard Dreyfuss: Capocomico
Joanna Roth: Ophelia
Iain Glen: Amleto
Donald Sumpter: Claudio
Joanna Miles: Gertrude

Regia: Tom Stoppard
Soggetto: Tom Stoppard, William Shakespare
Sceneggiatura: Tom Stoppard
Fotografia: Peter Biziou
Musiche: Stanley Myers
Scenografie: Vaughan Edwards, Ivo Husnjak

“A qualcuno tocca di recitare e a qualcun altro di guardare e pagare. Sono due facce della stessa medaglia o, per meglio dire, la stessa faccia di due medaglie”, queste le parole recitate nel proemio della pellicola. In questa “vichyssoise verbale che vira verso il verboso” si può scorgere il motivo trainante dell’opera: è la vita che si fa rappresentazione teatrale, che a sua volta si fa pellicola. Ci si avvicina a smarrirsi, ma se è questo il vero disorientamento, allora lasciamoci trasportare.

Due insoliti compagni, Rosencrantz (Gary Oldman) e Guildenstern (Tim Roth) vagano a cavallo, consci della propria meta ma senza alcun ricordo circa il motivo del loro viaggio e la loro vita passata: ricordano i loro nomi, ma non sanno quale appartiene a chi. Nel mentre, si imbattono nella carovana di un gruppo di attori di tragedie che, senza troppe cerimonie, imbastiscono il proprio palcoscenico e invitano i due compagni a godersi lo spettacolo e a prendervi parte, se lo desiderano.  L’invito mosso dal capocomico (Richard Dreyfuss) non viene disatteso. Rosencrantz e Guildenstern giungono al palazzo di Elsinore, in Danimarca, alla corte del nuovo Re Claudio (Donald Sumpter), zio del principe Amleto (Iain Glen) e prossimo sposo della madre dello stesso, Gertrude. I due compagni, apprendono, così, la propria missione: sono stati convocati a palazzo dal Re in persona, che, preoccupato per Amleto e per il suo atteggiamento al limite della pazzia, affida loro, amici di vecchia data del principe, il compito di svagarlo e di comprendere i motivi del suo disagio. I colloqui col giovane sembrano non portare i risultati sperati, ma, almeno, i due riescono a distrarlo, consigliandogli di assistere alle messe inscena dei teatranti incontrati lungo la strada, giunti ad Elsinore. Quando si palesa il movente di così tanto squilibrio, l’amore non corrisposto della giovane Ophelia (Joanna Roth), ormai è troppo tardi: Claudio, preoccupato più per la sua persistenza sul trono, mette Amleto su una nave per l’Inghilterra, chiedendo a Rosencrantz e Guildenstern di accompagnarlo e consegnare al Re una missiva. Nonostante la storia sembri ormai conclusa , i due dovranno ancora fare i conti con un epilogo “surreale”.

“Rosencrantz e Guildenstern sono morti” è la trasposizione cinematografia dell’omonima tragicommedia teatrale di Tom Stoppard, che ne cura anche la realizzazione sul grande schermo, scritta in un unico atto nel 1964, per divenire un’opera in tre atti messa in scena per la prima volta nel 1966. A sua volta, Stoppard, si era ispirato alle vicende di due personaggi secondari della tragedia “Amleto” di William Shakespare, facendone dei protagonisti prima in teatro e poi sul grande schermo, nel 1990.
L’opera, in entrambe le sue forme, supera il piano della regolare narrazione per approdare a nuovi e meno tangibili risultati. Fin dall’inizio, Rosencrantz e Guildenstern, nel tentativo di motivare la mancanza di ricordi della propria vita fino a quel momento, affrontano motivi classici che hanno permeato la cultura letteraria: nel lanciare innumerevoli volte una moneta, questa ricade sempre mostrando la “testa”, ciò è motivo di discussioni riguardo il ruolo della fortuna nella vita. Poco dopo, hanno la possibilità di fugare i dubbi relativi le proprie origini ed il proprio passato, tuttavia il loro destino non è quello di fermarsi adesso (chiariremo tutto a tempo debito): nel momento in cui scelgono di collaborare con gli attori incontrati lungo la strada, la vicenda  diviene una surreale opera teatrale, di cui nemmeno i due compagni hanno sentore. Vengono improvvisamente trasportati al castello di Elsinore. Ne visitano le stanze, tutte simili a palcoscenici tra quali Rosencrantz e Guildenstern sembrano spostarsi senza meta, come paralizzati sulla “scena” fino al prossimo atto. Ne approfittano per continuare la propria opera di cultori ed intellettuali. Rosencrantz, in particolare, compie le esperienze più interessanti: prima sperimenta la forza di gravità di Galileo, poi mette alla prova i vasi comunicanti di Archimede, quindi una mela gli cade sulla testa, come se fosse Newton; ma non si limita a questo: costruisce il modello di un motore a scoppio col torsolo di una mela e un rudimentale aeroplano di carta. Tutte le volte che è vicino all’enunciazione del principio che regola i suoi “esperimenti”, Rosencrantz sembra titubare, come a voler suggerire quella verità che verrà carpita solo a film concluso. Caratteristica di questa prima parte, la partita al gioco delle domande, che ha luogo su un primitivo campo da tennis: Stoppard ne approfitta per dimostrare le enormi qualità di sceneggiatore e teatrante, che non manca di mettere in mostra in tutta la pellicola. Lo svolazzare di spartiti segna il movimento della scena: così dal castello il palcoscenico si sposta sulla nave (quando l’arazzo dietro il quale i compagni spiano la conversazione tre Amleto e sua madre, viene abbassato a mo di sipario davanti ai loro occhi): i due ormai spaesati compagni, cominciano ad interrogarsi sulla fine delle proprie avventure. Dovrebbero portare alla memoria le parole che il capocomico aveva pronunciato durante uno spettacolo nel palazzo di Elsinore: “Per i buoni finisce sempre bene, per i cattivi finisce sempre male”, ma comunque il sipario cala solo quando tutti quelli che devono morire, sono trapassati. In vero, proprio durante la rappresentazione suddetta, gli attori mettono in scena le vicende future della corte di Danimarca e il fato dei due amici. Abbandonare la scena risulta impossibile ai due, se non dopo la loro morte: la loro impiccagione porta a termine la narrazione e riporta, almeno idealmente, alla narrazione vera e propria. Rosencrantz e Guildenstern hanno vissuto il dramma della vita dell’attore, dimentico della propria stessa persona quando mette piede sul palco, costretto a prestarsi stoicamente alla continuazione della storia, dandosi al proprio pubblico, il cui unico comando è l’unica verità, oltre alla trama. Si tratta di un esercizio di teatro nel teatro: viene marcata a chiare tinte una linea di demarcazione tra la realtà ed il palcoscenico. Nonostante ciò, sembra ci sia comunque un alito di vicinanza sui due piani, poeticamente rappresentato dalla lacrima che scorre sulla guancia di una marionetta, utilizzata durante l’ennesima rappresentazione al palazzo.

Un piacevole ritorno per Gary Oldman, un’ottima avventura per Tim Roth: entrambi, forti delle mirabili qualità di caratteristi, si prodigano in una prova eccellente, dimostrando un talento che troverà largo consolidamento nel corso del tempo. Condividono il successo dell’opera, principalmente con il regista e sceneggiatore Tom Stoppard: il suo valore sta proprio nell’aver portato il palcoscenico sul set, senza ledere nessuna delle due parti, ma al contrario, esaltandole nella mistione. Una curiosità sul suo conto: voci lo vogliono collaboratore di George Lucas nella pulizia di parte del testo di “Star Wars Episodio III: La vendetta dei Sith”, ma, ad oggi, queste voci non hanno trovato conferma. Lo accompagnano nel viaggio, Peter Biziou, alla fotografia, e Stanley Myers, giustamente riconosciuto dai più come il “padre della musica da film”: collabora in giovinezza con John Williams, un monumento, ed è responsabile della formazione di Hans Zimmer, anch’esso compositore di gran talento.
Nonostante le critiche con cui viene inizialmente accolta, la pellicola si aggiudica il Leone d’Oro come Miglior Film alla 47° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica.

Capolavoro per l’amante del teatro, forse un po’ meno godibile per in cinefilo che, comunque, non ne può negare l’elevata qualità nella fattura stilistica così come nel tessuto.

VOTO 8/10

Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano


1 commento:

  1. Il bellissimo film di Stoppard, a seguito della sua omonima commedia, testimonia ancora di più che i giochi di specchi, i rimandi annidati, le situazioni ricorsive sono la manifestazione del genio. La stessa non codificata partitura della rappresentazione teatrale della commedia nel tempo, testimonia la genialità dell'opera. Difatti il "non finito" è un'altra manifestazione caratteristica del genio. Cfr. Ebook di Ravecca Massimo. Tre uomini un volto: Gesù, Leonardo e Michelangelo. Grazie.

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