traduzione

venerdì 24 giugno 2011

Sette anni in Tibet (1997)


Ciclo "Per non dimenticare": I Grandi Viaggi



Brad Pitt: Heinrich Harrer
David Thewlis: Peter Aufschnaiter
Ingeborga Dapkunaite: Ingrid Harrer
Dorjee Tsering: Tenzin Gyatso a 4 anni
Sonam Wanhchuk: Tenzin Gyatso a 8 anni
Jamyang Jamtsho Wangchuk: Tenzin Gyatso a 14 anni
Jetsun Pema: Madre del Dalai Lama
Mako: Tsarong
B.D. Wong: Njawang Jigme
Regia: Jean- Jacques Annaud
Soggetto: Henrich Harrer, Becky Johnston
Sceneggiatura: Jean- Jacques Annaud, Iain Smith, John H. Williams
Musiche: John Williams

Un uomo si inerpica sul sentiero della vita, superandone gli ostacoli come valichi di montagna. Attraversa le stagioni del tempo, osservando il cambiamento fuori e dentro di se. Il viaggio diviene vita e la meta si confonde quella stessa vita, non appena la pace agognata ci si pone davanti così prepotentemente che non ci accorgiamo nemmeno di averla raggiunta.
Superuomo sportivo, membro del Partito Nazionalsocialista, l’arrogante scalatore Heinrich Harrer si prepara all’impresa della vita, il raggiungimento della vetta del Nanga Parbat, il 9° vertice del Mondo indomito fin a quel momento. Nell’affrontare la sfida, ne abbandona, però, un’altra: lascia a casa la moglie, Ingrid (Ingeborga Dapkunaite), in attesa del suo primogenito. Il pensiero rivolto alla famiglia e le asperità della scalata mettono a dura prova il gruppo, guidato da Peter Aufschnaiter (David Thewlis); ben presto, le tormente di neve impediscono l’avanzamento della spedizione e costringono ad un repentino dietrofront. Sulla strada del ritorno, Harrer, Peter e compagni vengono catturati e imprigionati dai soldati inglesi: durante l’assenza dall’Europa, è scoppiata la Guerra tra Inghilterra e Germania e loro sono diventati nemici. Per due lunghi anni, Heinrich è costretto alla detenzione, resa ancor più amara dall’arrivo della richiesta di divorzio mossa dalla moglie, decisa a sposarsi con un altro uomo. Dopo svariati e rocamboleschi tentativi, ad alcuni dei compagni che insieme avevano cominciato la spedizione nel 1939, riesce la fuga. Nonostante la ritrosia iniziale, figlia di un carattere schivo e altezzoso, Harrer accetta la compagnia di Peter: i due si dirigono verso il Tibet, raggiungendo la “città proibita”, Lhasa. Qui, gli stranieri vengono accolti con calore dai tibetani, che aprono loro le porte di un mondo sconosciuto e lontano; in questo ricovero di pace, Harrer trova la forza di ascolta il cuore e cerca epistolograficamente, il figlio mai conosciuto. Il cuore, però, gli viene spezzato da una lettera molto dura del primogenito che nega qualsiasi parentela con quell’uomo di cui non aveva nemmeno mai visto il volto. Quando sembra di nuovo vicino lo sconforto, Harrer viene insignito di un grande onore: diviene il precettore del Dalai Lama, un quattordicenne molto interessato alla cultura europea. Nella giovane guida, Harrer intravede quel figlio che non ha mai conosciuto: si legherà così tanto a lui da sentire il bisogno di proteggerlo, al momento dello scoppio della guerra tra il Tibet e la Repubblica Popolare Cinese, per poi rendersi conto che il suo viaggio non si è ancora concluso.
La pellicola è liberamente ispirata al libro autobiografico scritto da Heinrich Harrer e pubblicato nel 1953, in cui lo scalatore austriaco ha riunito i ricordi relativi ai sette lunghi anni trascorsi in Tibet. L’adattamento cinematografico dell’opera, curato dal regista francese Jean- Jacques Annaud, perde il rigore narrativo del “diario di cronaca” per lasciar spazio ad un intricato sistema tematico. Così, il Viaggio diviene opportunità di cambiamento, in cui il sentiero porta al cambiamento, quasi alla “purificazione”, di un uomo che non ha mai ascoltato il proprio cuore, vestendosi della rigidezza e della superbia di quelle stesse vette che tanto lo affascinano. Il percorso porta l’uomo verso un nuovo modo di concepire l’esistenza, verso una nuova saggezza, senza la quale il cambiamento sarebbe rimasto incompiuto. Prende forma un attento gioco di paragoni tra culture lontanissime, riunite nel posto e nel modo meno probabili, come a testimonianza di un miracolo. Si trova spazio, inoltre, per una digressione critica nei confronti del peso dei conflitti bellici, arrivati a deturpare una pace ben più radicata che in qualsiasi altro luogo. Il tutto è arricchito da riprese di paesaggi che ammutoliscono per bellezza e candore. Il proposito poetico dai molteplici livelli, che la pellicola si propone, si sgretola miseramente dinanzi ad una narrazione poco interiorizzata, quasi “documentaristica”, in cui i sentimenti sembrano accennarsi e mai svelarsi nella proprio pienezza. A ciò, si aggiunge un’eccessiva durata che lede nel godimento della pellicola.
La direzione di Annaud e la rivisitazione cinematografica del romando condotta da Becky Johnston sembrano allontanarsi troppo dall’opera di Harrer. La sensazione vale anche per l’interpretazione di Pitt, il cui cambiamento, da muscolare interprete di un’ideologia politica ad uomo finalmente cresciuto, risulta privo di veridicità e forza emotiva. Buona la prova di Thewlis, che si spiana il terreno per lavori successivi. Spiccano, dietro le cineprese, le fatiche dell’intramontabile maestro John Williams e la fotografia di Robert Fraisse, vivida e d’impressione.
All’uscita, il film fu accolto da una critica particolarmente negativa e venne condannato dalla Repubblica Popolare Cinese, che accusò la produzione tutta d’aver realizzato un’opera di parte. Non è un caso se il regista e i due attori principali sono stati banditi per sempre dalla Cina.
Una curiosità: fu dichiarato che il film era stato girato in Argentina, per la maggior parte, e in Nepal, Austri e Canada; due anni dopo la realizzazione della pellicola, il regista svelò che alcune riprese erano state fatte segretamente in Tibet, per un totale di 20 minuti di girato.
Considerati l’entourage tecnico ed il cast, le location e la storia, ci si aspettava probabilmente qualcosa di più. La tensione emotiva sempre accennata, il vertice narrativo mai raggiunto e una storia fatta di varie anime tenute insieme con poco collante, non permettono l’ingresso dell’opera nel paradiso del successo.
VOTO 6/10
Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano

Nessun commento:

Posta un commento