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sabato 1 ottobre 2011

Blood Story (2011)

Chloe Moretz: Abby

Kodi Smit-McPhee: Owen

Richard Jenkins: Padre di Abby

Jimmy “Jax” Pinchak: Mark

Sasha Barrese: Virginia

Chris Browning: Jack

Cara Buono: Mamma di Owen

Elias Koteas: Poliziotto

Seth Adkins: Seth

Dylan Minnette: Kenny

Regia: Matt Reeves

Soggetto: John Ajvide Lindqvist

Sceneggiatura: Matt Reeves

Fotografia: Greig Fraser

Musiche: Michael Giacchino

Scenografie: Ford Wheeler


Il titolo “Blood Story”, scelto per la distribuzione italiana in luogo dell’originale “Let me in”, può depistare lo spettatore preparatosi a due ore di terrore e suspances. Sfatate fin da subito le aspettative, ciò che si trova davanti è un delicato dramma adolescenziale che dell’horror conserva ben poche caratteristiche.

Owen (Kodi Smith-McPhee) è un introverso dodicenne che abita nella sperduta Los Alamos, in Nex Mexico, dove si divide tra le continue battaglie dei genitori, prossimi al divorzio, e i continui maltrattamenti dei compagni di classe. Sembra che l’unica che capisca il suo stato d’animo sia la coetanea Abby (Chloe Moretz), da poco trasferitasi insieme al padre. La giovane, nonostante ostenti una stranezza più evidente di quella di Owen, comprende la sua esigenza di amicizia e la sua voglia di rivalsa. Tra i due nasce un tenero sentimento diviso tra un’amicizia e un ingenuo amore, che prenderà una piega del tutto inaspettata: la stravaganza della ragazza nasconde un terribile segreto che l’ha accompagnata per tutti i suoi apparenti dodici anni.

“Blood Story” è il rifacimento dell’acclamatissima pellicola svedese “Lasciami Entrare”, diretta dal regista Tomas Alfredson. Entrambi i film si ispirano all’omonimo romanzo di John Ajvide Lindqvist, scrittore nato in Svezia principalmente orientato al genere horror, tanto da guadagnarsi il “titolo” di “Stephen King svedese”. Il libro vantava un’originalissima trasposizione dell’infanzia e dei suoi alchemici meccanismi in chiave “horror”, usufruendo di una vampira come protagonista: lo scalpore e le ottime critiche destate lo rese subito soggetto di una riduzione cinematografica. Il tutto, però, rimase confinato in terra svedese, scelta che ne lese il boom mediatico. Da questa considerazione, quasi del tutto commerciale e poco artistica, nasce il progetto del regista statunitense Matt Reeves,come confermato dalle sue stesse parole: “Ho letto il romanzo che mi ha veramente catturato, la storia non mi mollava. Mi ha ricordato la mia infanzia essendo cresciuto in quel periodo ma, ovviamente, non in Svezia. Così ho scritto a Lindqvist e gli ho detto che mi affascinava quella storia di adolescenti ed il modo meraviglioso in cui ha perso la figura mitica del vampiro e l’ha trasformata”. Così rapito dal prodotto di fondo, Reeves ha deciso di “tradurlo” per il pubblico patrio, rimanendo fedele al ritmo originale delle pagine, prima, e del grande schermo, poi.

Alla maniera americana, tutto diviene leggermente più accentuato: il rapporto tra i due ragazzini si fa più esplicito e concreto, i problemi dell’adolescenza vengono proposti con maggior chiarezza e, ovviamente, viene sparso più sangue. La chiave di lettura rimane, però, sostanzialmente la stessa: a dominare è un equilibrio di fondo, rispettato nonostante l’inserimento di alcune scene “d’azione/horror”. Se c’è qualcosa che cambia con maggior evidenza è lo spostamento dell’attenzione dal condominio che ospita la vicenda ai due giovani protagonisti, sui cui vengono costantemente puntati i riflettori in favore di una resa più intimistica tutta statunitense.

Dopo ben due pellicole, nel 2010 è stata annunciata una collaborazione tra la Hammer Film Productions e la Dark Horse Comics finalizzata alla realizzazione di una graphic novel, dal titolo “Let me in: Crossroads”, prequel agli eventi narrati da Lindqvist. Il romanziere non sembra aver accolto bene la notizia: “Nessuno mi ha chiesto nulla in proposito e penso che il progetto faccia schifo. Sto esaminando la questione e mi auguro che non abbiano alcun diritto di farlo”.

Il rifacimento curato da Matt Reeves, regista del poco apprezzato “Cloverfield”, ha il merito di portare sulla scena due talentuosissime promesse. La georgiana Chloe Moretz, che esordì nei due horror “Amityville Horror” e “The Eye”, suggella il proprio talento nell’ultimo anno, vestendo i panni della giovane eroina in “Kick-Ass” e di Abby proprio in “Blood Story”; al suo fianco Kodi Smith-McPhee, che impressiona per un’espressività fuori dal comune.

Nonostante il precedente svedese e le origini prettamente industriali del progetto americano, “Blood Story” si guadagna una medaglia d’argento più che meritata. Il duplice passaggio dal cartaceo al cinema poteva smarrire l’originale fascino del soggetto, strada che viene abilmente evitata.

VOTO 6/10

Marco Fiorillo

Pier Lorenzo Pisano

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