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martedì 4 ottobre 2011


A Dangerous Method (2011)
Viggo Mortensen: Sigmund Freud
Michale Fassbender: Carl Jung
Keira Knightley: Sabina Spielrein
Vincent Cassel: Otto Gross
Sarah Gadon: Emma Jung

Regia: David Cronenberg
Soggetto: John Kerr, Christopher Hampton
Sceneggiatura: Christopher Hampton
Fotografia: Peter Suschitzky
Musiche: Howard Stone
Scenografie: James MaAteer
Costumi: Denise Cronenberg

Una storia vecchia di un secolo incontra il Grande Schermo, dopo aver conosciuto le pagine di un romanzo e il palco teatrale. Opera di mediazione commerciale o appagamento di un’esigenza veramente conoscitiva, il risultato rimane estremamente positivo.

Zurigo, 1904. La giovane Sabina Spielrein (Keira Knightley) viene ricoverata a Burgholzli, ospedale psichiatrico che vede tra le file del proprio personale il ventottenne Carl Jung. Il dottore decide di sottoporre Sabina all’innovativa  “teoria delle parole”, ispirata dagli studi del maestro Sigmund Freud (Viggo Mortensen), allora conosciuto solo di fama da Jung. La terapia condurrà i due in una profonda ricerca che abbandonerà le sicure sponde della scienza analitica per raggiungere gli infausti scogli dell’amore e della passione fisica.

La vicenda narrata in “A Dangerous Method” fu desunta dal ritrovamento di alcuni cartigli andati perduti, testimonianza dei rapporti intrattenuti  dal trio di studiosi Freud- Jung- Spielrein. La scoperta ispirò dapprima il volume “A Most Dangerous Method”, pubblicato nel 1993 da John Kerr, poi “The Talkin Cure”, opera teatrale sceneggiata da Christopher Hampton nel 2002. Ad entrambe le produzioni fa riferimento il regista canadese David Cronenberg per la realizzazione della sua pellicola. Considerato uno dei principali esponenti del cosiddetto “cinema body horror”- ramo cinematografico attento all’esplorazione del terrore umano dinanzi alla mutazione del corpo ed alle contaminazioni della carne- ha abbandonato la sperimentazione più “corporale”, propria delle prime opere fantascientifiche e del terrore, per avvicinarsi ad un’interpretazione più psicologica dell’argomento. Incarna pienamente questo spirito il suo ultimo “A Dangerous Method”, in cui il regista sceglie di indagare due temi in particolare: da una parte il rapporto medico/ paziente, dall’altra quello allievo/maestro. Il tutto avvolto in un clima di continua ricerca scientifica, di dubbi, di interrogativi. L’esperienza carnale diviene protagonista nel bene e nel male mentre assume valore secondario la disputa tra i limiti della psicoanalisi e più “facili espedienti”, quali misticismi e oniriche credenze proposte a più riprese da Jung/Fassbender. I tre studiosi, più o meno consapevolmente, indirizzano la psicoanalisi verso un nuovo sentiero: un percorso mirabilmente proposto da Cronenberg, indagatore come sempre.

Considerata la natura tutta della vicenda, si tratta di una storia che non poteva sfuggire al regista canadese: definitosi personalmente un “filosofo esistenzialista”, la sua speculazione cinematografica si è spinta verso tematiche metafisiche, come testimonia la pellicola in questione. Al suo fianco, due storici compagni. Peter Suchitzky, direttore della fotografia, fu notato dopo la sua collaborazione con Lucas per la realizzazione de “L’Impero colpisce ancora”: da quel momento il regista l’ha sempre voluto con sé. Howard Stone, compositore canadese, ha raggiunto l’apice del successo realizzando le musiche della trilogia de “il Signore degli Anelli”, aggiudicandosi ben due Oscar.
A vestire i panni dei due famosissimi psicoanalisti troviamo l’oramai affermato Viggo Mortensen, anch’egli debitore nei confronti della riduzione cinematografica dei romanzi di Tolkien, e il talentuoso Michael Fassbender, approdato forse troppo tardi al Mondo del Cinema ma ancora in tempo per lasciare il segno. La giovane Spielrein è, invece, interpretata da un’ottima Keira Knightley: liberatasi definitivamente dell’ombra della” piratessa Elizabeth Swan”, mostra un talento ormai maturo che gli permette di interpretare il personaggio sia nei momenti di lucidità che nei momenti in cui è la nevrosi a prendere il sopravvento. Secondario l’apporto di Vincent Cassel, utile alla causa.

Ciò che abbiamo di fronte è un delicato affresco di vita vissuta. Un’esplosione di retorica che non manca di rapire lo spettatore usufruendo solo di dialoghi perfettamente sceneggiati e del giusto ritmo narrativo. Niente 3D, nessuna sequenza action, solo qualità recitativa pura e semplice.

VOTO 7/10
Marco Fiorillo
Pier Lorenzo Pisano






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